Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12525 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12525 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Palermo il 28/03/1979 avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo in data 26/03/2024 preso atto che il ricorrente è stato autorizzato alla trattazione orale in presenza; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni con le quali il Sostituto Procuratore 5enerale NOME COGNOME ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata udito l’avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME NOME anche in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME il quale ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Palermo con la sentenza impugnata, decidendo in sede di rinvio a seguito di annullamento disposto dalla Corte di cassazione con sentenza del 10/07/2023 ha confermato, per quel che qui interessa, la sentenza emessa dal Tribunale di Gela con la quale COGNOME NOME è stato
condannato per il delitto di estorsione aggravata (capo E), consistita nel costringere mediante minacce e anche facendo pesare la propria appartenenza al sodalizio criminale di stampo mafioso denominato “Cosa Nostra”, COGNOME NOME a saldare il proprio debito nei confronti di NOME e NOME NOME, appartenenti a cosa nostra di Gela.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione l’imputato tramite i propri difensori, articolando i seguenti motivi di ricorso:
2.1. Violazione di legge, mancanza ed illogicità della motivazione (art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen.). La Corte di merito non avrebbe colmato la lacuna motivazionale rilevata dalla sentenza rescindente quanto alla individuazione del ruolo svolto dal ricorrente nella vicenda estorsiva, limitandosi a valorizzare il contenuto della conversazione avvenuta in data 09/05/2016 tra l’imputato e tale NOME, identificato per COGNOME NOME NOME COGNOME, omettendo di considerare il contenuto della deposizione resa in dibattimento dal teste COGNOME che riferì che quella conversazione aveva avuto ad oggetto lecite esigenze lavorative e travisando il contenuto della intercettazione stessa laddove l’interlocutore (e non COGNOME), parlava del compimento di estorsioni.
In sostanza, la sentenza impugnata non avrebbe descritto, né accertato, il contributo del ricorrente alla consumazione del delitto di cui all’art. 629 cod. pen. non potendosi ricavare dalla avvenuta “messa a posto” dell’imprenditore ittico NOME COGNOME la conclusione che ciò sia avvenuto per effetto dell’intervento del Rosciglione.
2.2. Violazione di legge e illogicità della motivazione in relazione agli artt. 629 cod. pen. e 125 cod. proc. pen.
I giudici di merito avrebbero ritenuto provato il concorso dell’imputato nella vicenda estorsiva iniziata in data 09/05/2016 collegando l’intervento del COGNOME alla originaria pretesa estorsiva di COGNOME senza spiegare in cosa sarebbe consistito l’apporto causale del prevenuto; tanto più che la sentenza di primo grado aveva riconosciuto la legittimità del credito vantato dal COGNOME verso l’imprenditore ittico dal che deriverebbe, secondo la difesa, anche il vizio di mancanza di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del delitto di estorsione, in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
2.3. Mancanza di motivazione in relazione alla richiesta di derubricazione del reato di estorsione, in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni poiché COGNOME non agì per un proprio fine, ma allo scopo di soddisfare la pretesa creditoria lecita di NOME COGNOME.
2.4. Mancanza di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della aggravante mafiosa di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. La Corte di appello non avrebbe motivato sulla consapevolezza dell’imputato della finalità agevolatrice
dell’associazione mafiosa da parte del COGNOME e in ordine all’utilizzo della forza intimidatrice derivante dalla propria appartenenza all’associazione mafiosa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi non consentiti oltre che manifestamente infondati.
Preme anzitutto ricordare che, in tema di annullamento con rinvio per vizio di motivazione, il giudice di rinvio, investito di pieni poteri di cognizione, può – salv i limiti nascenti da eventuale giudicato interno- rivisitare il fatto con pieno apprezzamento ed autonomia di giudizio. Ne deriva che, in esito alla compiuta rivisitazione, ben può addivenire a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito, ma può anche condividerne le conclusioni, pervenendo ad identico epilogo decisorio, purché motivi il proprio convincimento sulla base di argomenti diversi da quelli ritenuti illogici o carenti in sede di legittimità (Sez. 5 n. 41085 del 03/07/2009, L., Rv. 245389; Sez. 2, n. 37407 del 06/11/2020, COGNOME, Rv. 280660).
Va poi ricordato che, in tema di processo indiziario, il giudice può fondare il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche sulla concatenazione logica degli indizi, dalla quale risulti che il loro complesso possiede quella univocità e concordanza atta a convincere della loro confluenza nella certezza in ordine al fatto stesso (Sez. 2, n. 45851 del 15/09/2023, COGNOME, Rv. 285441-02). Inoltre, la presenza di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nel provvedimento impugnato, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (Sez.1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227; Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267723; Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, COGNOME, Rv. 253445).
Tanto premesso, ritiene il Collegio che il ricorso pur avendo formalmente espresso censure riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, in realtà, non lamenti una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata del materiale probatorio (intercettazioni) (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217).
4. Il primo rilievo difensivo, con cui si contesta l’affermazione di responsabilità in ordine al delitto di estorsione deducendo un travisamento della prova inerisce all’intercettazione del 09/05/2016, il cui contenuto a sfondo estorsivo sarebbe smentito dalla deposizione resa in dibattimento dal teste COGNOME che la Corte avrebbe illegittimamente omesso di valutare e la cui riferibilità soggettiva sarebbe stata dal giudice di merito erroneamente invertita, è non consentito.
La censura non attesta un travisamento della prova ma contesta il significato probatorio attribuito dal giudice di merito, al mezzo di prova che viene messo in dubbio dalla difesa in assenza di difformità contenutistiche rispetto al reale (Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, COGNOME, Rv. 237994), attraverso il richiamo al contenuto di una testimonianza, invero, non decisiva perché proveniente da un soggetto (COGNOME), all’evidenza interessato a smentire il contenuto a sfondo estorsivo della conversazione cui partecipava.
Quanto poi alla presunta inversione dei colloquianti ed alla trascrizione della frase “iu e me cuscinu per ora cughiemmu n’zemmula m’ Palermo” da intendersi ” mangiammu anseme ” e non ” raccogliere insieme”, la Corte di appello ha osservato come la segnalata difformità non avesse carattere di decisività ed ha evidenziato che a prescindere dalla frase erroneamente trascritta, dalla conversazione intercettata emergeva che i due parlavano di proventi estorsivi e che COGNOME riferì all’interlocutore, che a Palermo era lui stesso a tenere la contabilità delle estorsioni (cfr. pag. 54 della sentenza di primo grado e pag. 5 della sentenza impugnata).
Ciò detto, rileva il Collegio come, in relazione al secondo motivo di ricorso, non si rinvengono lacune nel percorso motivazionale poiché la Corte di merito per ritenere provato il concorso di COGNOME NOME nell’estorsione in danno di COGNOME NOMECOGNOME ha significativamente evidenziato una serie di ulteriori elementi indiziari tra loro convergenti e non contestati dalla difesa cioè che COGNOME risultava inserito nel consesso criminale dell’area palermitana; invero, lo stesso risultava legato in particolar modo a COGNOME NOME tanto che lo accompagnava, in qualità di autista, al summit con COGNOME NOME il 09/05/2016.
Ha ricordato altresì che oggetto dell’incontro tra COGNOME e COGNOME, riguardava appunto le pendenze di NOME COGNOME imprenditore legato alla cosca dei COGNOME, verso imprenditori ittici, in particolare COGNOME NOME la cui attività era ubicata a Porticeli°, in territorio rientrante nella competenza dell’articolazione di cosa nostra di Palermo cui il COGNOME apparteneva.
Ha riportato la conversazione tra COGNOME e COGNOME in cui il primo rassicurava il secondo circa il buon esito dell’operazione estorsiva verso Stassi, perché (questa volta) affidata “ai due che avevano accompagnato COGNOME e che erano più dentro la cerchia”( cfr. pag. 5 della sentenza).
Ha sottolineato, infine, che il contributo materiale posto in essere da COGNOME, al di là della descrizione delle modalità specifiche di esecuzione, era provato dalla comunicazione, successiva all’incontro del 09/05/2016 in cui di COGNOME diceva a COGNOME che la questione con il “fasularu” era risolta, ragionevolmente escludendo che ciò fosse imputabile all’intervento di COGNOME posto che questi, in precedenza, “non si era potuto spingere oltre” (cfr. pag. 6) .
I giudici di merito, dunque, hanno fatto corretta applicazione della giurisprudenza dominante in tema di concorso di persone nel reato avendo ritenuto COGNOME concorrente nel reato di estorsione in ragione dell’apporto materiale da lui prestato, con consapevole volontà, alla esecuzione dell’intimidazione voluta da COGNOME in danno di COGNOME dovendosi rimarcare come le condotte dei concorrenti risultino, con giudizio di prognosi postuma, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli agenti (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, dep. 2001, COGNOME, Rv. 218525; Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, COGNOME, Rv. 277773-03; Sez. 2, n. 18745 del 15/01/2013, COGNOME, Rv. 255260).
Reiterativa è la doglianza con la quale si contesta la mancata derubricazione del reato di estorsione in esercizio arbitrario delle proprie ragioni, avendo la Corte, come il primo giudice, valorizzato la mancanza di prova in ordine alla sussistenza di una legittima ragione di credito da parte di COGNOME nei confronti di COGNOME
Giustificata è anche la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, essendo provato che il reato è stato commesso al fine specifico di favorire l’attività dell’associazione mafiosa facente capo a COGNOME con la consapevolezza dell’ausilio prestato al sodalizio (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).
Parimenti manifestamente infondata è la doglianza con la quale si contesta la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso.
Occorre ricordare che la citata aggravante è configurabile quando si ponga in essere un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere anzidetto e ad esercitare sulle vittime del reato una particolare coartazione psicologica (Sez. 2, n. 39424 del 09/09/2019, COGNOME, Rv. 277222; Sez. 5, n. 22554 del 09/03/2018, COGNOME, Rv. 273190); essa può sussistere anche in assenza di una compagine mafiosa, essendo
sufficiente che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa (Sez. 2, n. 36341 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277033; Sez. 5, n. 21530 del 08/02/2018, COGNOME, Rv. 273025; Sez. 2, n. 49090 del 04/12/2015, COGNOME, Rv. 265515; Sez. 2, n. 17879 del 13/03/2014, COGNOME, Rv. 260007).
Nel caso esaminato la sentenza impugnata ha motivato in ordine alla portata intimidatoria delle minacce tese ad ottenere le dazioni di denaro puntualizzando che l’imputato aveva taglieggiato l’imprenditore facendo valere la propria appartenenza alla criminalità organizzata si trattava infatti di un soggetto che, come riferito da COGNOME, faceva parte della “cerchia”, era una cosa sola con la cerchia ed in tale qualità era intervenuto per risolvere la questione del “fasularu” (cfr. pag. 229 e 230 della sentenza di primo grado e pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata).
8. Per tutte le considerazioni che precedono il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28 gennaio 2025
Il Consigliere est.
Il Presidente