Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8318 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8318 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato a Catania il DATA_NASCITA avverso la sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta in data 5/5/2023 visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; preso atto che il ricorrente è stato ammesso alla richiesta trattazione orale in presenza ma nessuno è comparso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udita la discussione dell’AVV_NOTAIO difensore della parte cuvile COGNOME NOME la quel si è riportata alle conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso con depositato della nota spese
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta indicata in epigrafe con la quale è stata parzialmente riformata, solo in relazione al trattamento sanzionatorio, la sentenza di primo grado
emessa dal Tribunale di Enna in data 27/1/2022, che ha condannato l’odierno ricorrente, in concorso con altri imputati non ricorrenti, alla pena ritenuta di giustizia per il delitto di estorsione aggravata posta in essere nei confronti di COGNOME NOME, ai sensi dell’art. 629, co.1 e 2, cod. pen., in relazione all’art. 628, co. 3, n.3, cod. pen. e all’art. 416 bis.1 cod. pen.
Entrambi i giudici di merito hanno ritenuto provata la penale responsabilità di COGNOME COGNOME NOME COGNOME perché, COGNOME in COGNOME concorso COGNOME con COGNOME altri, COGNOME facendo COGNOME parte dell’organizzazione criminale di tipo mafioso denominata ” RAGIONE_SOCIALE” minacciava COGNOME NOME amministratore della società RAGIONE_SOCIALE che stava effettuando lavori di scavo per la messa in opera della fibra in alcuni comuni della Sicilia, di frapporre ostacoli alla predetta attività impresa se non si fosse “messo a posto” , incassando detta protezione.
Impugna la sentenza COGNOME NOME deducendo mancanza e manifesta illogicità della motivazione ( art. 606 lett.e) cod. proc. pen.).
La Corte di appello ha disatteso la tesi difensiva volta a dimostrare che tra COGNOME e COGNOME vi era un preventivo ac:cordo per l’esecuzione dei lavori, posto che COGNOME non poteva figurare per l’affidamento degli stessi e propose a COGNOME di entrare nell’affare dietro pagamento di un utile.
Inoltre, secondo la difesa, la natura estorsiva del furto degli automezzi subìto dal COGNOME per costringerlo a pagare la protezione e la sua riconducibilità al COGNOME, come asserito dal giudice di merito, sarebbe una mera congettura: COGNOME agì nella convinzione di ottenere quanto gli spettava, sicchè la Corte di appello avrebbe dovuto derubricare il reato in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Con il secondo motivo lamenta violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza delle aggravanti di cui all’art. 628, co. 3, n. 3, cod. pen. posto che la condanna di COGNOME per il delitto di cui ali’art. 416 bis cod. pen., risale a risalente a 15 anni addietro, né è stata dimostrata la finalità agevolativa dell’associazione mafiosa.
Con il terzo motivo ci si duole del trattamento sanzionatorio: la pena irrogata sarebbe eccessiva e non in linea con la funzione rieducativa prevista dall’ art. 27 Cost.; ingiustificato, poi, sarebbe il diniego delle attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo che contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità denunciando la illogicità della motivazione non è consentito dalla legge, stante la preclusione per la Corte di cassazione non solo
di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, iakani, Rv. 216260).
Il giudice di merito, con motivazione esente da vizi logici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento, circa l’insussistenza di un previo accordo tra COGNOME e COGNOME per l’esecuzione del lavori di messa in opera della fibra in alcuni Comuni della Sicilia ed ha ritenuto, in base alle risultanze processuali, che il furto degl automezzi subito dal COGNOME fosse una modalità di coartazione della volontà, riconducibile a COGNOME ( si vedano, in particolare, pag. 12 e segg.) pertanto, correttamente ha qualificato il fatto ai sensi dell’art. 629 cod. pen., e non come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, rispondendo la vicenda al paradigma classico della cd. estorsione ambientale (Sez. 2, n. 22976 del 13/04/2017, Rv. 270175).
In particolare la Corte di merito, sul punto concernente la diversa qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 393 cod. pen. ha spiegato ( pag. 15) che la condotta non poteva essere derubricata in esercizio arbitrario elle proprie ragioni difettando la sussistenza di una società di fatto con il COGNOME e mancando nella specie un diritto giustiziabile davanti all’autorità giudiziaria (Sez. U n n. 29541 del 16/07/2020, Rv. 280027; Sez. 2, n. 52525 del 10/11/2016, Rv. 268764).
La Corte di merito ha altresì pertinentemente osservato che la giurisprudenza di legittimità ha di recente affermato, in un caso analogo a quello esaminato, che “si configura il reato di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, allorché il terzo incaricato dell’esazione di un credito agisca con condotta della quale sia stata accertata la finalità di agevolare anche l’attività di un’associazione di tipo mafioso, stante il perseguimento di un interesse ulteriore (che di per sé ben può avere natura non patrimoniale) rispetto al diritto illecitamente azionato. (Sez. 2, n. 5622 del 12/11/2021, Rv. 282594).
Assolutamente generico il motivo con cui si contestano le aggravanti di cui all’art. 628 co. 3, n. 3 cod. pen e 416 bis.1 cod. pen.
È noto l’insegnamento di questa Corte, che ha avuto più volte occasione di affermare il principio secondo cui, per la ricorrenza dell’aggravante in parola, è necessario che sia accertata l’appartenenza dell’agente ad un’associazione di tipo mafioso, anche se non è poi richiesto che vi s2 stata una sentenza di condanna o una formale imputazione in ordine al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. (Sez. 2, n. 33775 del 04/05/2016, Rv. 267850; Sez. 1, n. 6533 del 01/02/2012, Rv. 252084; Sez. 5, 08/04/2009, n. 26542 , Rv. 244096).
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Nel caso di specie una sentenza sul punto vi è stata ed è stata di condanna rispetto all’accusa di cui all’art. 416-bis c.p. mossa al ricorrente.
La Corte di appello ha ricordato che l’estorsione era stata commessa da COGNOME quale esponente della “RAGIONE_SOCIALE“, condannato in via definitiva per il delitto associativo di stampo mafioso sia nel 1999 che nel 2018, per fatti commessi dal 2012 al 2017 ( cfr. pag. 16 della sentenza impugnata).
Quanto alle censure concernenti le aggravanti di cui all’art. 4.16 bis.1 cod. pen. contestate nella forma della finalità agevolativa dell’associazione di stampo mafioso e dell’uso del metodo mafioso, esse appaiono generiche.
In giurisprudenza è pacifico che la circostanza aggravante prevista dall’art. 628, comma terzo, n. 3) cod. pen., per essere la violenza o minaccia posta in essere da persona che fa parte dell’associazione di tipo mafioso, possa concorrere con la circostanza aggravante prevista dall’art. 7 D.L. n. 152 del 1991( oggi 416.1 cod. pen.) che si riferisce ad ogni delitto punibile con pena diversa dall’ergastolo commesso avvalendosi del c.d. metodo mafioso ovvero al fine di agevolare l’attività di un’associazione di tipo mafioso essendo le stesse ancorate a presupposti di fatto diversi. L’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen., consiste, infatti, nell’avvalersi delle condizioni previste dall’art. 416 bis, co pen., oppure nel fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose o camorristiche, mentre l’aggravante di cui all’art. 628, co. 3, n. 3 cod. pen. richiede l’appartenenza dell’estorsore o del rapinatore ad un’associazione prevista dall’art. 416 bis, cod. pen.
Per l’applicazione di detta aggravante, è sufficiente l’uso della violenza o minaccia e la provenienza di questa da soggetto appartenente ad associazione mafiosa, senza necessità di accertare in concreto le modalità di esercizio della suddetta violenza o minaccia, né, in particolare, che esse siano attuate utilizzando la forza intimidatrice derivante dall’appartenenza dell’agente al sodalizio mafioso, mentre, nel caso dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen., pur non essendo necessario che l’agente appartenga al predetto sodalizio, occorre tuttavia accertare in concreto che l’attività criminosa sia stata posta in essere con modalità di tipo “mafioso”. (Sez:. U, n. 10 del 28/03/2001, Rv. 218377; Sez. 2, n. 20228 del 23/05/2006, Rv. 234651).
Nel caso in esame, la Corte di appello ha sottolineato che l’estorsione era stata realizzata utilizzando il sistema della “messa a posto”, tipica concretizzazione del metodo mafioso consistente nella forza di intimidazione del vincolo associativo e nella condizione di assoggettamento che ne deriva. Infatti COGNOME, consapevole della minaccia rappresentata dall’organizzazione criminale che lo premeva, si è visto costretto al pagamento della somma di denaro avente come destinatario
COGNOME e, perciò, la sua associazione mafiosa operante nel territorio dell’attività dell’imprenditore, onde poter continuare i lavori.
Ulteriore manifestazione del metodo mafioso è stata ravvisata nell’episodio del furto degli automezzi riconducibile all’opera del COGNOME quale ritorsione al rifiuto del COGNOME di consentire l’ingresso dell’imputato nella società per l’esecuzione di ulteriori lavori.
Inoltre, ha osservato il giudice di merito, l’estorsione aveva come scopo quello garantire al RAGIONE_SOCIALE, l’influenza su un territorio in cui il COGNOME esercitava la sua attività imprenditoriale e l’organizzazione criminale esercitava il suo controllo, sicchè doveva ritenersi intergrata l’aggravante ( anche) sotto il profilo soggettivo della finalizzazione della condotta ad agevolare l’associazione di stampo mafioso di appartenenza ( cfr. pag. 17 della sentenza impugnata).
Anche l’ultimo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Gli aumenti e le diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientrano nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.
Nella specie l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si veda, in particolare pag. 18 della sentenza impugnata).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Roma, 12/1/2024
COGNOME
Il Consigliere estensore NOME COGNOME COGNOME
Il Presidente
Luci ein,periali