Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 5454 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 5454 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a DESIO il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/01/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen.si riporta alla memoria, conclude per il rigetto.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME NOME si associa alle conclusioni del Proc. Gen. chiede l’inammissibilità del ricorso e la conferma delle statuizioni civili, deposita conclusioni Nota spese.
L’avvocato COGNOME NOME si riporta ai motivi di ricorso, ne chiede l’accoglimento. L’avvocato COGNOME NOME si riporta ai motivi di ricorso, chiede l’annullamento della sentenza.
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 31/01/2023 la corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del tribunale che 1’11/11/2021 ha condannato COGNOME e COGNOME NOME per il reato di estorsione, aggravata ai sensi dell’articolo 416 bis. 1 cod. pen., in danno di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME (capo A) e il solo COGNOME anche con riguardo ad ulteriori episodi di estorsione, sempre aggravati ai sensi dell’articolo 416 bis, ai danni di COGNOME NOME (capo D) e COGNOME NOME (capo E)
2. Ricorrono per Cassazione gli imputati:
3. COGNOME NOME deduce:
3.1. violazione di legge con riguardo ai presupposti del reato di estorsione e contraddittorietà della motivazione stante le incongruenze dell’impianto motivazionale. Sostiene l’insussistenza del reato di estorsione non essendo i soggetti estorti COGNOME e COGNOME (titolari del 6% quote societarie CHR oggetto dell’estorsione) disponenti, essendo le quote societarie, oggetto di contestazione, di proprietà nella disponibilità esclusiva del trust DBS
Rileva che le quote CHR sono sempre rimaste all’interno del trust. La consegna di copia cartacea dei certificati azionari CHR a COGNOME NOME unitamente a una delega predisposta ad hoc per partecipare alla sola assemblea del 28 agosto 2018 non ha mai prodotto alcun effetto giuridico di trasferimento delle quote a favore del COGNOME per il principio di dematerializzazione dei certificati.
La Corte territoriale ha ritenuto di superare detto profilo sottolineando come fosse sufficiente tenere presente le finalità concrete delle condotte violente e minacciose tenute dagli imputati volte a garantire ai medesimi il controllo della società che gestiva l’albergo. Sostiene il ricorrente che tale affermazione è errata in diritto oltre ad essere apodittica. È errata in diritto perché l’unico soggetto c avrebbe potuto garantire il trasferimento delle quote azionarie, tra l’altr dematerializzate, era il trust attraverso il suo rappresentante. Si sarebbe quindi dovuto provare che dette condotte erano in grado di influire sulla volontà del reale titolare delle quote. Ma è anche apodittica perché non indica in quale modo le azioni asseritamente intimidatorie fossero funzionali ad acquisire il controllo della società considerato anche che ci si trova di fronte a copie cartacee di titol dematerializzati
Il ricorrente richiama le norme sottese al trust e il principio dematerializzazione dei certificati azionari sottolineando come nessun
trasferimento delle quote avrebbe potuto perfezionarsi con la sola esibizione del documento cartaceo.
Viene inoltre evidenziato che la copia cartacea dei certificati azionari rappresentanti il 6% delle quote CHR di proprietà del trust venne utilizzata da COGNOME un’unica volta, durante l’assemblea soci, unitamente alla delega a partecipare rilasciata dal dottor COGNOME, per esercitare il diritto di v nell’assemblea 28 agosto 2018 nella quale, grazie al voto del socio proprietario del 44% delle quote CHR, COGNOME NOME (quote in piccola parte già vendute ad una società di riferimento di RAGIONE_SOCIALE), veniva esautorato l’amministratore NOME COGNOME persona di riferimento di COGNOME NOME, vero amministratore per anni della società RAGIONE_SOCIALE, e nominato COGNOME NOME. Viene rilevato che la cordata formata da COGNOME, COGNOME e COGNOME è subentrata nella gestione a fine settembre 2018 mentre l’RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE è stato chiuso il 6 ottobre 2018. La struttura dell’RAGIONE_SOCIALE nei mesi di ottobre, novembre, dicembre 2018 e gennaio 2018 è rimasta chiusa per cui non ha prodotto alcun incasso alla data del 21 gennaio 2019. COGNOME viene nominato amministratore il 28/11/2018 ed è costretto a dimettersi il 21/01/2019 senza ricevere alcun compenso dalla società.
Secondo la difesa può quindi affermarsi che il controllo della società da parte del ricorrente è stato smentito dagli eventi societari successivi se è vero come è vero che l’odierno ricorrente è rimasto in carica quale amministratore per meno di due mesi.
3.2. insussistenza degli elementi soggettivi e oggettivi del reato contestato non essendo emersi in sede dibattimentale atti di violenza o minaccia a carico dei presunti soggetti estorti i quali hanno in più occasioni escluso di avere subito violenze e minacce dai soggetti imputati del presente procedimento
3.3. insussistenza dell’elemento patrimoniale dell’ingiusto profitto come contestato non avendo la locuzione “il controllo della società” di per sé alcun valore patrimoniale. La sentenza impugnata sostiene che l’ingiusto profitto sarebbe derivato dal controllo della società CHR, secondo la difesa l’affermazione è vuota di significato. In primo luogo, perché non è possibile ottenere il controllo di una società con una quota del 6%, in secondo luogo perché il controllo della società di per sé non ha un valore patrimoniale astratto. È semplicemente un mezzo e non il frutto dell’ingiusto profitto. I giudici di merito avrebbero dovuto dimostrare come dopo aver preso il controllo della società gli imputati avessero ottenuto dei benefici di natura patrimoniale. Ma nulla di ciò è stato dimostrato considerato che nel breve periodo della gestione COGNOME–COGNOME non è stato fatto un solo atto di disposizione patrimoniale in danno della società CHR;
3.4. vizio della motivazione avendo la Corte territoriale sposato integralmente la tesi accusatoria senza minimamente considerare le risultanze istruttorie totalmente difformi dalle quali emerge l’insussistenza di condotte intimidatorie.
Lamenta che la corte territoriale da un lato non ha fornito risposte alle precise obiezioni del gravame e dall’altro ha preferito optare per una valenza quasi fidefacente delle dichiarazioni di COGNOME, soggetto sospettabile di concreti interessi rispetto all’esito processuale ed in evidente contrapposizione con coloro i quali ne avevano bloccato la sistematica spoliazione del patrimonio. Evidenzia inoltre che nell’atto di appello sono stati fedelmente riportati i contenuti di inte scambi di mail tra COGNOME
COGNOME
COGNOME–COGNOME che vengono sinteticamente trascritti in ricorso e che dimostrerebbero come il COGNOME avesse tutto l’interesse a rappresentare una versione distorta e che il Canavese non potesse considerarsi in alcun modo soggetto estorto.
In sintesi, secondo il ricorrente la sentenza di appello confermativa della decisione di primo grado è viziata per carenza di motivazione limitandosi a riprodurre la decisione confermata dichiarando in termini apodittici di aderirvi senza dar conto degli specifici motivi di impugnazione che censurano in modo puntuale le soluzioni adottate dal primo giudice
4. NOME deduce:
4.1. incompetenza territoriale dell’Autorità di Milano. Sostiene che è priva di supporto giuridico la tesi dei giudici di merito secondo la quale il reato di estorsion contestato al capo A) si sarebbe consumato in Milano in data 28/08/2018 vale a dire nel momento in cui il COGNOME entrò in possesso dei certificati azionari di CHR per la semplice ragione che quei fogli di carta (semplici copie di titol dematerializzati) non incorporavano alcun titolo né attribuivano intrinsecamente alcun diritto ai possessori degli stessi
4.2. incompetenza territoriale dell’autorità giudiziaria di Milano anche con riguardo alle estorsioni di cui ai capi D) ed E) ritenuta sulla scorta del continuazione di cui all’articolo 12 lettera b) codice procedura penale. Sostiene che in relazione al capo D) la competenza doveva essere attribuita al Tribunale di Monza così come con riferimento al capo E) verificatosi in Desio;
4.3. nullità della richiesta di giudizio immediato e degli atti conseguenti ai sens dell’articolo 178 comma 1 lettera c) cod. proc. pen. per violazione del diritto d difesa collegato al mancato deposito di atti delle indagini preliminari con la richiesta di giudizio immediato. Erronea applicazione dell’articolo 454 cod. proc. pen.;
4.4. erronea revoca di una prova decisiva della difesa
Con i motivi sub 4.5) 4.6) 4.7) e 4.8) deduce insussistenza dell’estorsione di cui al capo A) per mancanza di condotte violente e minacciose nei confronti delle indicate persone offese;
4.9. insussistenza di condotta estorsiva nei confronti di NOME COGNOME per inattendibilità della persona offesa e assenza di comportamento minatorio. Insussistenza dell’aggravante del metodo mafioso
4.10. insussistenza della condotta estorsiva di cui al capo E) – estorsione in danno di NOME COGNOME mediante condotta minacciosa nelle forme di condizionamento ambientale derivante dalla percezione della pericolosità di NOME quale soggetto appartenente alla ‘ndrangheta.
4.11. lamenta che la motivazione è meramente apparente e che comunque la sentenza non ha dato conto della sussistenza dell’evento del reato considerato che la dazione dell’autovettura da NOME a NOME aveva causale lecita
4.12. insussistenza dell’aggravante del metodo mafioso con riguardo a tutte le estorsioni
Con il tredicesimo motivo contesta il trattamento sanzionatorio e il diniego delle attenuanti generiche.
NOME ha presentato motivi aggiunti con riguardo alla sussistenza dell’aggravante mafiosa e memoria con la quale ha contestato le conclusioni del procuratore generale.
La parte civile NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte.
Considerato in diritto
Prima di esaminare i motivi di ricorso, considerato che entrambi i ricorrenti contestano la sussistenza del reato di estorsione loro contestato in concorso al capo A) è opportuno richiamare la ricostruzione dei fatti così come accertata nelle sentenze di merito e non disconosciuta dagli stessi ricorrenti.
Il Capo A) dell’imputazione è relativo alla vicenda dell’RAGIONE_SOCIALE e all’estorsione volta ad ottenere la consegna dei certificati azionari della società RAGIONE_SOCIALE che gestiva l’RAGIONE_SOCIALE al fine di partecipare all’assemblea dove sarebbe stato nominato l’amministratore.
Risulta dalle sentenze che l’azione degli imputati aveva preso avvio nell’aprile 2018, nell’ambito di un contesto societario conflittuale che vedeva contrapposte una compagine riferibile ad NOME COGNOME che disponeva del 44% del capitale sociale ed un’altra riconducibile a NOME COGNOME che aveva il 41%. La restante quota faceva capo a un trust riferibile ad NOME COGNOME e alla moglie NOME
NOME. Per cercare di superare tale contrasto, COGNOME era riuscito a convincere COGNOME a concludere un preliminare di cessione di quote nel tentativo di assicurarsi la maggioranza del capitale sociale ed aveva versato a COGNOME un anticipo di 10.000 € sul valore delle quote.
COGNOME aveva avviato un’interlocuzione con gli imputati inizialmente con il proposito di cedere le proprie quote a COGNOME.
Era iniziata così una presenza sempre più frequente di NOME in RAGIONE_SOCIALE che, senza alcun titolo e senza alcun investimento, si comportava come proprietario di fatto.
Il 26/04/2018 NOME in previsione dell’assemblea aveva minacciato COGNOME perché non si recasse in assemblea. La sua assenza avrebbe determinato la mancanza del numero legale.
Anche alla successiva assemblea del 12/6/2018 COGNOME non si era presentato a causa delle minacce ricevute che emergevano dalle conversazioni telefoniche.
Il 27/07/2018 COGNOME si era presentato in assemblea, quale delegato del trust riferibile a COGNOME e a COGNOME, ma la sua delega veniva ritenuta nulla dai sindaci e veniva richiesta l’acquisizione dei titoli del trust in originale.
Il 29/08/2018 COGNOME ottenuti gli originali dei certificati li esibiva in assemble dove veniva nominato NOME COGNOME (“testa di legno” di COGNOME) quale amministratore della RAGIONE_SOCIALE impossessandosi poi dei certificati che non venivano restituiti. Sono stati trovati in possesso di COGNOME all’inizio del 2019 in occasion di una perquisizione presso la sua abitazione.
Nel corso dell’assemblea del 28/11/2018 COGNOME è stata sostituito nel ruolo di amministratore dallo stesso COGNOME a cui infine subentrava NOME COGNOME nell’assemblea del 21/01/2019.
Nel gennaio 2019 NOME denunciava i fatti ai carabinieri di Finale Ligure.
Ciò premesso in punto di fatto deve rilevarsi che entrambi i ricorrenti contestano la sussistenza del reato di estorsione di cui al capo A) per mancanza di atti di violenza e/o minaccia e per insussistenza dell’elemento patrimoniale dell’ingiusto profitto.
Come sottolineato da entrambe le sentenze di merito che, non essendovi difformità sui punti denunciati, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, il reato di estorsione in argomento deve ritenersi consumato con l’ottenimento dei certificati azionari da parte di COGNOME il giorno precedente la quarta assemblea, mentre le successive vicende intercorse tra il mese di settembre 2018 e la primavera 2019 rappresentano solo ulteriore conferma della correttezza della ipotesi accusatoria.
I certificati, consegnati a COGNOME per partecipare all’assemblea del 29/08/2018 con l’accordo che sarebbero stati restituiti il giorno dopo, erano stati invece trattenuti e trovati in possesso di COGNOME all’inizio del 2019 in occasione di una perquisizione presso la sua abitazione.
Le sentenze danno altresì atto del comportamento violento ed arrogante di NOME, fotografato dalle conversazioni intercettate, nella gestione dell’albergo.
La sua presenza aggressiva era volta ad affermare il suo predominio con un’azione intimidatoria verso i dipendenti, spaventati dalla sua condotta, ma anche a mandare un chiaro messaggio a COGNOME per indurlo a cedere alle pressioni di COGNOME.
COGNOME ha sostenuto l’inesistenza del reato di estorsione perché COGNOME e COGNOME non erano titolari del 6% delle quote societarie di CHR oggetto dell’estorsione essendo tali quote di proprietà e nella disponibilità esclusiva del trust DBS. Le quote non erano mai state trasferite a COGNOME che aveva solo usufruito di una delega a rappresentare le quote CHR nell’assemblea del 29/08/2018 rilasciata dal dottor COGNOME amministratore del trust. I certificat azionari cartacei erano stati consegnati a COGNOME da COGNOME e non da COGNOME e COGNOME. Il preliminare sottoscritto con COGNOME era nullo perché COGNOME non aveva alcun potere dispositivo sulle quote CHR. Ha precisato anche che il reato di estorsione richiede un atto di disposizione patrimoniale che produce effetti giuridici mentre la consegna delle copie cartacee di certificati azionari non dava a COGNOME la possibilità di disporre alla luce della normativa vigente sulla dematerializzazione delle quote azionarie. Né i certificati potevano aver valore per successive assemblee se non accompagnate da una specifica delega non rilasciata. Inoltre, le presunte vittime COGNOME e COGNOME avevano sempre negato di avere subito minacce e pressione (a tale fine aveva prodotto corrispondenza via mail tra COGNOME e COGNOME intercorsa nell’anno 2018 attestante l’esistenza di rapporti sereni e collaborativi tra le parti). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Dette doglianze non tengono conto che la sentenza impugnata ha dato atto di come il comportamento violento tenuto all’interno dell’RAGIONE_SOCIALE ( estrinsecatosi anche nell’aggressione a COGNOME) soprattutto da NOME, finalizzato ad incutere terrore a COGNOME e a COGNOME, ha portato COGNOME a disporre la consegna a COGNOME, attraverso il soggetto autorizzato a farlo in rappresentanza del trust, dei certificati azionari necessari per partecipare all’assemblea, finalizzata alla nomina del nuovo amministratore, che avrebbe fatto capo agli imputati.
Condotta con cui si è concretizzata la consumazione del reato di estorsione.
La Corte d’appello ha sottolineato come il fatto che il contratto preliminare di cessione delle quote sottoscritto da COGNOME non fosse azionabile in sede
civilistica perché COGNOME e COGNOME non erano titolari delle quote confluite in un trust, non muta le conclusioni esposte circa l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato di estorsione. Basta tenere presente le finalità concrete delle condotte violente e minacciose tenute dagli imputati all’interno dell’RAGIONE_SOCIALE nei confronti dei dipendenti e finalizzate ad ottenere il pieno controllo della società che gestiva l’albergo. Messaggio minaccioso indirizzato a COGNOME come emerge dalle conversazioni intercettate riportate a pagina 21 e 22 della sentenza impugnata. Obiettivo preordinato e pianificato dagli imputati e finalizzato a dimostrare chi comandava davvero in RAGIONE_SOCIALE.
La tesi difensiva del COGNOME fondata sull’insussistenza del reato di estorsione in base al principio di dematerializzazione delle quote azionarie – con la conseguenza che la consegna delle copie non era sufficiente a conferire la possibilità di disporre delle stesse – risulta priva di fondamento considerato che la presentazione dei certificati azionari accompagnati dalla delega del trust era stata espressamente richiesta al COGNOME per consentirgli la partecipazione al voto in assemblea al fine di nominare un amministratore compiacente.
Correttamente è stato quindi affermato che l’estorsione si è consumata in Milano con l’ottenimento di detti certificati che hanno consentito al COGNOME di partecipare all’assemblea del 29/08/2018 e di procedere alla nomina di una persona di fiducia come amministratore della società, con conseguente pieno controllo della stessa.
Il fatto che la disponibilità di tali certificati cartacei non consentiva a COGNOME di disporre e di trasferire a terzi le quote non esclude che l’obiettivo perseguit dagli imputati fosse stato raggiunto, come reso evidente anche dalle conversazioni intercettate, intercorse fra COGNOME e COGNOME, dalle quali emerge come la finalità dei due fosse quella del controllo della società al fine di una gestione “personalistica” dell’albergo finalizzata a immediati vantaggi economici.
I motivi avanzati da COGNOME e da COGNOME (motivi sub 5),6),7) e 8) relativi alla sussistenza del reato di cui al capo A) sono pertanto infondati.
Correttamente è stata ritenuta la competenza del Tribunale di Milano con conseguenti inammissibilità dei motivi sub 1) e 2) sollevati da NOME in ordine alla competenza territoriale, individuata con riguardo ai reati di cui ai capi D) ed E) per ragioni di connessione ai sensi dell’articolo 12 lett. b) cod proc pen.
Con riguardo agli ulteriori motivi avanzati da NOME deve osservarsi che il motivo sub 3) è destituito di fondamento giuridico. Costituisce espressione di un orientamento ermeneutico consolidato quello secondo cui l’omessa allegazione di atti istruttori facenti parte del fascicolo del Pubblico Ministero non determina
alcuna violazione delle prerogative difensive, atteso che soltanto gli att formalmente acquisiti possono formare oggetto della decisione. Ne discende che le eventuali omissioni, quand’anche riscontrate, non determinano la nullità del decreto di giudizio immediato, essendo, più semplicemente, causa di inutilizzabilità degli atti non trasmessi, rilevante ai fini della decisione, che non può fondarsi su un compendio probatorio che non è stato ritualmente acquisito al fascicolo processuale. Occorre, in proposito, richiamare la giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi in tema di richiesta di rinvio a giudizio, che si ritiene applicabile caso in esame, affermando che il mancato deposito, unitamente al decreto di giudizio immediato, di una parte della documentazione relativa alle indagini preliminari espletate non integra una causa di nullità dello stesso decreto, non espressamente prevista, ma implica soltanto l’inutilizzabilità degli atti non trasmessi (Sez. 3, n. 49643 del 22/09/2015, COGNOME, Rv. 265552; Sez. 1, n. 19511 del 15/01/2010, Basco, Rv. 247192) ai fini dell’emissione del decreto che dispone il giudizio.
Manifestamente infondato e anche il quarto motivo con il quale NOME contesta la pronuncia dei giudici di merito in ordine alla revoca dell’ordinanza relativa alla ammissione della testimonianza di NOME COGNOME con riguardo al rapporto di collaborazione sussistente tra COGNOME NOME e COGNOME NOME considerata la valorizzazione della circostanza della presenza di quest’ultima in albergo da parte dei giudici di primo grado.
La revoca dell’ordinanza ammissiva di testi della difesa, resa in difetto di motivazione sulla superfluità della prova, produce una nullità di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., con la conseguenza che, in caso contrario, essa è sanata (Cass. N. 53823 del 2017 Rv. 271732 – 01, N. 18351 del 2012 Rv. 252680 – 01, N. 51522 del 2013 Rv. 257891 – 01, N. 9761 del 2015 Rv. 263210 – 01). Deve aggiungersi che il motivo è manifestamente infondato anche sotto un altro profilo. L’ordinanza in argomento dà, infatti, conto delle ragioni della revoca individuate nella superfluità dell’audizione, all’esito delle prove acquisite, ed stata emessa nel contraddittorio delle parti.
I motivi sub 9 10 e 11 i motivi sub 9),10) e 11) investono la motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla sussistenza delle condotte estorsive contestate ai capi D) ed E)
La funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati e di attingere il merito dell’an ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli eleme
probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici, con l’ulteriore conseguenza, costantemente affermata da questa Corte, che ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorché altrettanto logica.
Ciò detto nel caso in esame palese è la natura di merito delle argomentazioni difensive, giacché volte le medesime, a fronte di un’esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento delle vicende del tutto alternativo a quello logicamente accreditato con la sentenza impugnata.
Trattasi di motivi non consentiti in sede di legittimità, poiché il ricorrente s limitato a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio acquisito e valutato conformemente dai due giudici del merito, e comunque privi della necessaria specificità, poiché il ricorrente reitera più o meno pedissequamente doglianze già esaminate ed incensurabilmente disattese dalla Corte di appello.
Correttamente è stata ritenuta sussistente anche l’aggravante del metodo mafioso.
I giudici di merito hanno dato atto che sono emersi non solo elementi di vincoli familiari dell’imputato con soggetti di accertata appartenenza alla ‘ndrangheta, ma anche della spendita di tale rapporto da parte del Pio al fine di incrementare lo stato di intimidazione.
Con riguardo al capo A) deve rilevarsi che è lo stesso COGNOME che ha coadiuvato l’imputato in tale disegno evocando la pericolosità di avere a che fare con un soggetto legato “a persone pesanti”. Lo stesso COGNOME manifesta il timore di trovarsi “i mafiosi” sotto casa e le gravi conseguenze che potevano derivarne considerato i metodi utilizzati.
Venendo al tredicesimo motivo del ricorso di NOME deve osservarsi che la motivazione offerta dai giudici a quibus in tema di diniego delle attenuanti generiche e di valutazione della congruità del trattamento sanzionatorio si rivela., del tutto coerente e congrua, a fronte delle doglianze aspecifiche, dedotte sul punto in sede di ricorso.
I ricorsi devono pertanto essere respinti e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali,NOME deve essere condannato anche alla refusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio
dalla parte civile greco NOME che vengono liquidate in complessivi euro 3.686,00 oltre a accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, NOME COGNOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME che liquida in complessivi euro 3.686,00 oltre accessori di legge.
Roma, 9/11/2023
Il giudice estensore
COGNOME
NOME COGNOME COGNOME
p
NOME COGNOME
Imperiali