Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 39252 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 39252 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SAN CIPRIANO D’AVERSA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/03/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
lette le conclusioni dei difensori dell’imputato, AVV_NOTAIO ed AVV_NOTAIO
NOME COGNOME, che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 4 aprile 2022 il Tribunale di Latina, in rito ordinario, ha condannato NOME COGNOME alla pena di 2 anni di reclusione e 10.500 euro di multa per il reato di cui all’art 76, comma 7, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, perché, quale soggetto sottoposto a misura di prevenzione personale, ometteva di comunicare la variazione patrimoniale derivante dalla vendita alla moglie separata di un bene immobile per euro 75.000, fatto avvenuto il 26 giugno 2013.
Con sentenza del 28 marzo 2024 la Corte di appello di Roma ha confermato, per la parte che interessa questo giudizio, la sentenza di primo grado.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l’imputato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi di seguito descritti nei limit strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo deduce violazione di legge, perché sull’imputato non gravava alcun obbligo di comunicazione della variazione patrimoniale, atteso che tale obbligo è stato introdotto soltanto nel 2010 e la misura di prevenzione nel caso in esame era stata applicata il 11 ottobre 2005, ed era divenuta definitiva il 6 marzo 2008, in data antecedente, pertanto, alla introduzione dell’obbligo di comunicazione; al momento in cui è stata applicata la misura il ricorrente non avrebbe potuto, conseguentemente, prevedere che agli obblighi che gli erano stati imposti con la sottoposizione a misura se ne sarebbe giunto un altro, sanzionato penalmente; in ipotesi subordinata, si chiede di sollevare questione di costituzionalità della norma sull’obbligo di comunicazione nella parte in cui è interpretata, secondo il diritto vivente, come applicabile anche alle misure di prevenzione eseguite prima della sua introduzione.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione, perché in ogni caso difetterebbe l’elemento soggettivo del reato, in quanto il ricorrente non sapeva, né poteva prevedere, che esistesse un obbligo di comunicazione della modifica del proprio patrimonio, la circostanza che abbia alienato il bene in modo formale davanti ad un notaio palesa la correttezza sul piano soggettivo della condotta del ricorrente.
Con il terzo motivo deduce violazione di legge, perché il reato contestato, che risale al 26 giugno 2013, si è prescritto ancora prima della sentenza d’appello, non essendo applicabili gli aumenti ex artt. 157 e 161 cod. pen. per la ritenuta esistenza della recidiva reiterata.
Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di applicazione della recidiva, atteso che le precedenti tre condanne da cui era gravato il ricorrente erano state espiate nella forma dell’affidamento in prova al servizio sociale, affidamento che ha avuto un esito positivo con conseguente dichiarazione di estinzione del reato avvenuta in data 19 aprile 2024, dopo la sentenza della Corte d’appello, ma prima del giudizio di cassazione, in cui la stessa è rilevabile a certe condizioni precisate dalla giurisprudenza di legittimità, che sussistono nel caso in esame.
Con il quinto motivo deduce violazioni di legge e vizio di motivazione sempre con riferimento all’applicazione della recidiva in quanto essa è stata ritenuta esistente con una motivazione che valorizza esclusivamente il titolo di reato;
infatti, desumere la maggior capacità criminale in cui si sostanzia la recidiva dalla pregressa sottoposizione dell’imputato ad una misura di prevenzione significa nel caso in esame farla dipendere dal titolo di reato; peraltro, si tratta anche di precedenti penali estremamente risalenti nel tempo.
Con il sesto motivo deduce violazione di legge sempre con riferimento alla dichiarazione di recidiva, atteso che il ricorrente è stato ritenuto recidivo reiterato, ma in realtà non era mai stato dichiarato recidivo semplice; è vero che, secondo l’orientamento attuale della giurisprudenza di legittimità, non è necessaria una precedente dichiarazione di recidiva per dichiarare la recidiva reiterata, però tale orientamento non era prevedibile nel momento in cui il ricorrente ha posto in essere la condotta.
Con requisitoria scritta il Procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso per l’accoglimento del ricorso e l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione del reato.
Con separate note scritte i difensori dell’imputato, AVV_NOTAIO ed AVV_NOTAIO, hanno insistito per l’accoglimento del ricorso. L’AVV_NOTAIO ha evidenziato la necessità anche di revocare la confisca per equivalente di 75.000 euro disposta in primo grado.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato, nei limiti di quanto precisato in motivazione.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso, la cui valutazione è preliminare a quella del motivo sulla prescrizione, ai sensi dell’art. 129, connma 1, cod. proc. pen., in quanto relativi al giudizio di responsabilità, sono infondati.
Quanto al primo motivo, la giurisprudenza di legittimità ritiene che “l’art. 80, d. Igs. 6 settembre 2011, n. 159, relativo all’obbligo per i soggetti già sottoposti a misura di prevenzione personale di comunicare le variazioni del proprio patrimonio, la cui omissione è sanzionata dall’art. 76, comma 7, d. Igs. cit., si applica anche quando il provvedimento che ha disposto la misura è divenuto definitivo in data anteriore all’introduzione di tale obbligo”. (Sez. U, Sentenza n. 16896 del 31/01/2019, COGNOME, Rv. 275080).
Peraltro, nel caso in esame la questione era già stata proposta dal ricorrente in sede cautelare ed era stata respinta da precedente sentenza di questa Corte che aveva evidenziato che “in tema di misure di prevenzione, il termine decennale di durata dell’obbligo di comunicare le variazioni patrinnoniali eccedenti il limite di legge, oggi previsto dall’art. 80, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, decorre dalla
GLYPH
4
data di definitività del provvedimento applicativo anche nel caso in cui si tratti di misura di prevenzione personale per pericolosità generica disposta con provvedimento divenuto definitivo in data antecedente il 7 settembre 2010, data di entrata in vigore della legge 13 agosto 2010, n. 136 che ha introdotto detto obbligo per tale categoria di pericolosità sociale” (Sez. 1, n. 33859 del 28/05/2019, COGNOME, Rv. 277323).
La questione di costituzionalità proposta in via subordinata è manifestamente infondata, in quanto, come precisato nella pronuncia COGNOME sopra citata, la definitività del provvedimento applicativo della misura di prevenzione è soltanto un presupposto di mero fatto della condotta illecita, e non una integrazione formale del precetto, talché non vi è alcuno spazio per sostenere la esistenza nel caso in esame di una applicazione retroattiva di un precetto penale.
Il secondo motivo è infondato, in quanto l’argomento secondo cui l’obbligo di comunicazione della variazione patrimoniale non era prevedibile nel momento in cui è stato commesso il fatto, non resiste all’argomento speso nella sentenza di appello (pag. 2 della sentenza impugnata) che tale obbligo deriva direttamente dalla legge, e non dalle comunicazioni che vengono date al prevenuto nel momento della sottoposizione a misura.
L’ulteriore argomento, contenuto nello stesso motivo, in cui si deduce la buona fede dell’imputato sull’assunto che l’atto di vendita è stato redatto davanti ad un notaio è infondato, atteso che la giurisprudenza di legittimità ritiene che “il delitto di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali, da parte di sottoposto a misura di prevenzione, è configurabile anche nel caso in cui l’omissione abbia ad oggetto la stipulazione di atto pubblico soggetto a regime di pubblicità legale, in quanto tale formalità non assicura all’autorità competente la conoscenza dei mutamenti dello stato patrimoniale dell’obbligato” (Sez. 1, n. 44586 del 19/10/2021, Brazzise, Rv. 282227).
Il terzo ed il quarto motivo, che devono essere affrontati congiuntamente in quanto la soluzione del motivo sulla prescrizione dipende dalla soluzione del motivo sulla sussistenza della recidiva reiterata, sono, invece, fondati.
2.1. Dopo la sentenza di appello il Tribunale di sorveglianza di Roma, con ordinanza del 19 aprile 2024, ha rilevato l’esito positivo dell’affidamento in prova concesso al ricorrente il 20 gennaio 2022 e dichiarato l’estinzione dei reati che attraverso di essi erano stati, nella parte finale, espiati.
L’affidamento in prova era stato concesso il 20 gennaio 2022 per i reati in espiazione ricompresi nel cumulo del Procuratore generale dii Roma del 10 giugno
2019, che pone in esecuzione tre sentenze di condanna riportate dal ricorrente (quelle ai nn. 1, 3 e 5 del certificato penale).
Come nota il ricorso, si tratta delle uniche tre precedenti sentenze di condanna definitive da cui era gravato il ricorrente (al n. 2 del certificato penale era annotata la sottoposizione ad una misura di prevenzione, al n. 4 un precedente cumulo), e, quindi, delle sentenze di condanna su cui era fondato il giudizio di recidiva.
La giurisprudenza di legittimità ritiene che “l’estinzione di ogni effetto penale determinata dall’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale comporta che delle relative condanne non possa tenersi conto agli effetti della recidiva” (Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Marcianò, Rv. 251688).
Nel caso in esame, l’estinzione si è verificata, però, dopo la sentenza emessa in grado di appello, che, pertanto, non contiene sul punto alcun vizio motivazionale.
La possibilità di tener conto dell’effetto estintivo anche direttamente nel grado di legittimità è stata, però, già sostenuta da questa Corte, con orientamento cui il collegio ritiene di dare continuità, secondo cui quando la dichiarazione di estinzione sia successiva alla sentenza impugnata “detta estinzione può essere rilevata nel giudizio di legittimità, qualora sia stata documentata dal ricorrente e riguardi un punto, oggetto di ricorso per cassazione, devoluto ai giudici di merito” (Sez. 3, n. 41697 del 08/05/2018, NOME., Rv. 273941).
Su cosa si debba intendere per “punto, oggetto di ricorso per cassazione, devoluto ai giudici di merito”, la motivazione della pronuncia n. 41697 precisa espressamente che “con l’atto d’appello era stata chiesto l’esclusione dell’aumento di pena per la recidiva”; in tal caso essa potrebbe essere rilevata nel giudizio di legittimità “concernendo un punto devoluto ai giudici di merito e oggetto anche di ricorso per cassazione, cosicché la recidiva ritenuta dai giudici di merito può essere esclusa da questa Corte, non richiedendo ciò ulteriori accertamenti in fatto”.
Agli effetti in esame, pertanto, deve concludersi nel senso che l’estinzione avvenuta nelle more del giudizio di legittimità – dei reati che erano stati posti a fondamento del giudizio di recidiva può essere fatta valere con il ricorso per cassazione se davanti al giudice della sentenza impugnata era stato incardinato il rapporto processuale anche sulla sussistenza o meno della recidiva, e se tale motivo di impugnazione era stato coltivato con il ricorso per cassazione, presupposti che sono presenti nel caso in esame, in cui alla esistenza o meno della recidiva sono dedicati il quinto e sesto motivo di ricorso.
Il quarto motivo di ricorso è, pertanto, fondato.
2.2. Dall’accoglimento di tale motivo discende anche l’accoglimento del terzo motivo sulla prescrizione.
Il reato di cui all’art. 76, connma 7, d. Igs. n. 159 del 2011, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.329 a euro 20.658.
Una volta caduta la recidiva, il reato si prescrive, quindi, ex art. 157, comma 1, cod. pen. in sei anni, aumentati ex art. 161, comma 2, cod. pen., a sette anni e sei mesi di reclusione, che, in presenza di un reato commesso il 26 giugno 2013 e in assenza di causa di sospensione, sono decorsi alla data in cui viene presa questa decisione.
La sentenza impugnata, pertanto, in assenza, per quanto sopra detto, di evidenti “cause di non punibilità” riconducibili all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., deve essere annullata senza rinvio ex art. 620, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., in quanto il reato è estinto per prescrizione.
L’annullamento della sentenza impugnata comporta anche la eliminazione della statuizione sulla confisca senza che ci sia bisogno di dettare ulteriori disposizioni.
Trattandosi di confisca per equivalente disposta ex art. 76, comma 7, terzo periodo, d. Igs. n. 159 del 2011, non è, infatti, possibile, in presenza di un reato commesso il 26 giugno 2013, applicare la disposizione dell’art. 578-bis cod. proc. pen., in quanto introdotta soltanto con l’art. 6 del d. Igs. 10 marzo 2018, n. 21 (cfr. Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284209: La disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen., introdotta dall’art. 6, comma 4, d.lgs. 10 marzo 2018, n. 21, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore; conforme Sez. 3, n. 39,157 del 07/09/2021, Sacrati, Rv. 282374).
p.Q.m.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
Così deciso il 4 ottobre 2024.