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Esterovestizione: confisca annullata per irretroattività

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di esterovestizione a carico dell’amministratore di una società con sede formale in Bulgaria ma di fatto operante in Italia. Tuttavia, ha annullato parzialmente la sentenza riguardo la confisca. La Corte ha stabilito che il profitto derivante da un reato ormai prescritto non poteva essere confiscato, poiché la norma che lo permette (art. 578-bis c.p.p.) è stata introdotta dopo la commissione dei fatti e non può essere applicata retroattivamente. La causa è stata rinviata alla Corte d’Appello per la rideterminazione dell’importo da confiscare.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esterovestizione: Condanna Confermata ma Confisca Annullata

Il fenomeno dell’esterovestizione rappresenta una delle strategie più complesse di evasione fiscale, in cui un’impresa, pur operando di fatto in Italia, viene formalmente localizzata in un paese a fiscalità più vantaggiosa. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico, confermando la condanna per omessa dichiarazione a carico di un imprenditore ma, al contempo, annullando la confisca per un importante principio di diritto: l’irretroattività della norma penale.

I Fatti del Caso: Una Società Bulgara con il Cuore in Italia

La vicenda giudiziaria riguarda l’amministratore di fatto di una società, con sede legale in Bulgaria, accusato del reato di omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi in Italia per gli anni 2012 e 2013. Secondo l’accusa, la localizzazione estera era puramente fittizia.

Le indagini della Guardia di Finanza avevano infatti dimostrato che:
* Il vero centro decisionale e amministrativo dell’azienda si trovava in Italia, presso il domicilio dell’imputato.
* La sede in Bulgaria era un mero recapito formale.
* Tutta la documentazione contabile e gestionale, sia cartacea che elettronica, era custodita in Italia.

La società acquistava generi alimentari da noti produttori italiani per poi rivenderli a operatori francesi, che a loro volta li cedevano a imprese italiane. Nonostante le apparenti transazioni intracomunitarie, la merce rimaneva quasi sempre sul territorio italiano o transitava solo brevemente in un deposito in Slovenia, sfruttando indebitamente il regime di esenzione IVA.

La Decisione dei Giudici di Merito e il Ricorso in Cassazione

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano riconosciuto la colpevolezza dell’imprenditore per il reato di esterovestizione, confermando che la società doveva essere considerata fiscalmente residente in Italia e, di conseguenza, era tenuta a presentare le relative dichiarazioni dei redditi. La Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la prima sentenza, dichiarando prescritto uno dei reati contestati e rideterminando la pena per quelli residui.

L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione lamentando, tra le altre cose, un’errata valutazione delle prove sull’esterovestizione, un calcolo sbagliato dei termini di prescrizione e, soprattutto, la mancata riduzione dell’importo della confisca dopo che uno dei capi d’imputazione era stato dichiarato estinto.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato quasi tutti i motivi del ricorso, ritenendoli infondati. I giudici hanno sottolineato come le sentenze di primo e secondo grado (cosiddetta “doppia conforme”) avessero motivato in modo logico e coerente la sussistenza dell’esterovestizione, basandosi su prove concrete. Le critiche dell’imputato sono state considerate un tentativo inammissibile di ottenere una nuova valutazione dei fatti.

Il punto cruciale della sentenza, tuttavia, riguarda il quinto motivo di ricorso, che è stato accolto. La confisca disposta dai giudici di merito includeva anche il profitto del reato relativo a un’annualità che era stata dichiarata prescritta. La Corte ha osservato che la norma che consente al giudice di disporre la confisca anche in caso di estinzione del reato per prescrizione (l’art. 578-bis del codice di procedura penale) è stata introdotta nel 2018. Poiché i fatti contestati risalivano al periodo 2012-2013, tale norma non poteva essere applicata, in ossequio al principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole.

Le conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata, ma limitatamente alla quantificazione della confisca. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello, che dovrà ricalcolare l’importo da confiscare, escludendo il profitto relativo al reato ormai prescritto. Questa decisione riafferma due principi fondamentali: da un lato, la sostanza prevale sulla forma nella lotta all’evasione fiscale tramite esterovestizione; dall’altro, il rispetto del principio di legalità e irretroattività impedisce di applicare norme punitive successive ai fatti commessi, anche quando si tratta di misure patrimoniali come la confisca.

Che cos’è l’esterovestizione e perché è stata confermata in questo caso?
L’esterovestizione è la creazione di una sede legale fittizia all’estero per una società che in realtà opera e viene gestita in Italia, al fine di eludere il fisco italiano. In questo caso è stata confermata perché le prove hanno dimostrato che il centro decisionale, la gestione operativa e tutta la documentazione aziendale si trovavano presso il domicilio italiano dell’amministratore, mentre la sede in Bulgaria era solo un recapito formale.

Perché la confisca è stata annullata pur essendo stata confermata la condanna?
La confisca è stata annullata solo in parte. La Corte di Cassazione ha stabilito che non si poteva confiscare il profitto relativo a un capo d’imputazione che era stato dichiarato prescritto. La norma che lo consentirebbe (art. 578-bis c.p.p.) è entrata in vigore dopo i fatti e non può essere applicata retroattivamente, per il principio secondo cui la legge penale più sfavorevole non si applica al passato.

La motivazione di una sentenza d’appello può semplicemente richiamare quella di primo grado?
Sì, in caso di cosiddetta ‘doppia conforme’ (quando la sentenza d’appello conferma quella di primo grado), le motivazioni delle due sentenze si integrano. La Corte d’Appello può fare riferimento, anche tramite richiami, alla motivazione della prima sentenza, a condizione che dimostri di aver preso cognizione delle argomentazioni e di averle ritenute corrette e coerenti con la propria decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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