Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7140 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7140 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari
e da
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO, di fiducia
rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, di
NOME, nato a Bari il DATA_NASCITA fiducia
avverso la sentenza in data 04/11/2022 della Corte di appello di Bari, terza sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli art 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112;
lette le memorie difensive con motivi aggiunti nell’interesse di COGNOME NOME (in data 30/12/2023, a firma AVV_NOTAIO e in data 03/01/2024 a firma AVV_NOTAIO);
viste le memorie difensive con produzioni documentali dell’AVV_NOTAIO trasmesse a mezzo posta elettronica rispettivamente in data 17/01/2024 ore 20.00 e in data 18/01/2024 ore 21.36;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, riportandosi alla memoria in data 04/12/2023, ha concluso chiedendo che, in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bari si disponga l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza con declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti nell’interesse degli imputati COGNOME e COGNOME ed irrevocabilità della condanna in relazione al contestato reato nei confronti di COGNOME, nonché in relazione al delitto di cui all’articol Divo 74/2000 contestato nei confronti di COGNOME;
udita la discussione delle difese dei ricorrenti, AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, che si sono riportati ai motivi di ricorso nonché ai rispettivi proposti motivi aggiunti chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 04/11/2022, la Corte di appello di Bari, in parziale riforma della pronuncia resa in primo grado dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bari in data 18/12/2019 all’esito di giudizio abbreviato:
-assolveva NOME COGNOME dai reati ascrittigli ai capi 3c), 3d), 3e) e 5), limitatamente ai reati di cui all’art. 640, secondo comma, cod. pen., 4 d.lvo 74/2000 e 5 d.lvo 74/2000 con riferimento all’evasione dell’IRAP e, con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, fatta eccezione per quella di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., rideterminava la pena nei suoi confronti per i residui capi 1), 2) e 5), limitatamente al reato di cui all’art d.lvo 74/2000 con riferimento all’evasione dell’IRES, in anni due, mesi sei e giorni dieci di reclusione;
-rideterminava la pena nei confronti di NOME COGNOME in relazione al reato ascrittogli al capo 1), con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti diverse da quella di cui all’art. 61-bis cod. pen. (esclusa) e con la già ritenuta insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., nella misura di anni uno e mesi quattro di reclusione;
-revocava nei confronti del NOME l’interdizione temporanea dai pubblici uffici;
-riduceva fino alla concorrenza della somma di euro 7.527.960,84 la confisca per equivalente ex artt. 322-ter cod. pen. e 11 d.lvo 74/2000; -revocava la confisca ex art. 240, primo comma, cod. pen. dell’azienda con sede in Bari INDIRIZZO e dell’azienda con sede in Altamura INDIRIZZO;
-confermava nel resto la sentenza di primo grado che riconosceva l’esistenza di un’associazione (capo 1) facente capo al COGNOME finalizzata, attraverso i c.d. Master, a realizzare in modo organizzato il reato di raccolta abusiva di cui al capo 2). I soggetti indicati come Master erano i protagonisti di questa raccolta abusiva, facente capo al NOME. Le condotte ed i proventi, per ciascuno di loro, sono riprodotti in entrambe le imputazioni.
Avverso la predetta sentenza, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari, NOME COGNOME e NOME COGNOME, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione per i motivi di seguito indicati, enunciati nei lim strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari.
Motivo unico: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’assoluzione del NOME dai reati ascrittigli ai capi 3c), 3d), 3e) e 5) con riferimento all’art. 640, secondo comma, cod. pen., alla revoca delle pene accessorie, alla riduzione della confisca per equivalente ed alla revoca della confisca delle aziende in INDIRIZZO (gestita da RAGIONE_SOCIALE) e dell’azienda con sede in Altamura INDIRIZZO (gestita dalla RAGIONE_SOCIALE). La sentenza di appello non si confronta con le motivazioni del primo giudice ed assume apoditticamente la mancanza della prova del dolo specifico in pieno contrasto con la ricchezza di elementi di fatto raccolti nelle investigazioni e richiamati nella sentenza di primo grado, ignorando altresì l’interesse documentato ad occultare i cespiti in ragione dei procedimenti pendenti a suo carico per reati che avrebbero giustificato i provvedimenti ablativi.
4. Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
Primo motivo: violazione degli artt. 125 e 192 cod. proc. pen. in relazione ai reati di cui agli artt. 416 cod. pen. (capo 1) e 4 I. 401/1989 per omessa valutazione di prove decisive e manifesta illogicità della motivazione. In sede di gravame erano state sottoposte alla Corte territoriale una serie di questioni relative all’effettivo svolgimento dei fatti, idonee a confermare l’assoluta indifferenza del ricorrente al sodalizio criminale di cui al capo 1. In particolare, emergenze processuali rappresentate comprovavano:
-l’inesistenza degli accordi riservati asseritamente sottoscritti a fine 2014 con il gruppo RAGIONE_SOCIALE, oggetto di contestazione;
-la sottoscrizione degli accordi del giugno 2015; l’oggetto e la causa degli stessi accordi; i bonifici disposti tra agosto 2015 e novembre 2016 agli stessi riferibili; le vicende relative agli stessi accordi, successivamente risolti per il mancato avveramento di alcune condizioni;
-gli effettivi rapporti intercorsi dal COGNOME con soggetti riferibili ai COGNOME e l’assoluta inesistenza degli elementi caratterizzanti un qualsiasi vincolo associativo finalizzato alla commissione di reati (inesistenza di condivisione di un programma di delinquenza; assenza di una strategia comune a quella dei COGNOME; consapevolezza del COGNOME circa la legittimità dell’operato delle società oggetto di interesse; inesistenza di una cassa comune dell’associazione alla quale il COGNOME avesse accesso; mancata partecipazione del COGNOME alla divisione degli utili dell’associazione RAGIONE_SOCIALE; mancata assunzione di ruoli riferibili alla titolarità delle quote delle società asseritamente acquistate, ovvero d gestione delle stesse; posizione e poteri di COGNOME all’interno della società RAGIONE_SOCIALE nei diversi periodi di interesse; ruolo e dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME e dell’AVV_NOTAIO).
Secondo motivo: violazione degli artt. 546 cod. proc. pen., 132 e 133 cod. pen., per motivazione apparente circa la determinazione della pena base, con specifico riferimento al diverso criterio sanzionatorio nei confronti del ricorrente (con base di partenza pari al triplo del minimo edittale) rispetto a quello applicato al capo/promotore COGNOME (con base di partenza quella del minimo edittale). Il diverso trattamento sanzionatorio tra il COGNOME ed il COGNOME risulta maggiormente apodittico, incoerente, irragionevole, illogico, arbitrario e, quindi, illegittimo, anche con riferimento al numero e alla gravità dei fatti contestati al COGNOME rispetto all’unico contestato al COGNOME.
5. Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
Primo motivo: erronea applicazione dell’art. 5 d.lvo 74/2000, degli artt. 73, comma 3 e 163 d.P.R. 917/1986 (TUIR), degli artt. 322-ter cod. pen. e 11 d.lvo 74/2000; inosservanza dell’art. 125 cod. proc. pen.; mancanza di motivazione. RAGIONE_SOCIALE (oggi in liquidazione) non ha mai operato in Italia attraverso una stabile organizzazione: essa è stata fondata ed ha operato come una società di diritto maltese che esercitava nel settore del gioco in diversi paesi europei (tra cui l’Italia) ed a livello mondiale. La raccolta delle scommesse operata sul territorio nazionale da parte della stessa rappresentava solo una delle attività economiche riconducibili alla stessa (non l’attività esclusiva). RAGIONE_SOCIALE non ha mai operato in Italia attraverso una stabile organizzazione. La rete commerciale costituita dai
punti di raccolta (o agenzie) allocati sul territorio italiano ha sempre operato in modo autonomo ed indipendente dalla società maltese. I rapporti tra i punti di raccolta e RAGIONE_SOCIALE venivano coordinati esclusivamente in via telematica, attraverso una organizzazione allocata sul territorio maltese. I singoli punti di raccolta hanno sempre assunto il proprio rischio di impresa, trattandosi di società e imprese individuali regolarmente iscritte alla RAGIONE_SOCIALE. I singoli punti di raccolta erano tenuti a presentare in Italia le rispettive dichiarazion dei redditi e pagare le imposte sul reddito di impresa/lavoro autonomo realizzato per l’esercizio dell’attività di raccolta delle scommesse. RAGIONE_SOCIALE, con riferimento ai redditi generati dalle attività svolte dalla rete dei punti di raccol ha correttamente pagato le imposte in Malta, dando evidenza nei propri bilanci dei suddetti flussi reddituali. Pertanto, non gravando sulla RAGIONE_SOCIALE alcun obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini dell’applicazione dell’Ires, reato di cui all’art. 5 d.lvo 74/2000 non era configurabile neppure con riferimento alla contestazione dell’omessa dichiarazione relativa all’Ires. Conseguentemente, andava rideterminato il profitto del reato utilizzato come parametro di riferimento per il calcolo dei beni da assoggettare a confisca ai sensi degli artt. 322-ter cod. pen. e 11 d.lvo 74/2000, operando lo scomputo anche dell’ammontare dell’Ires (asseritannente evasa dal 2012 al 2016) dal valore delle disponibilità vincolabili (per complessivi euro 7.527.960,84, secondo il calcolo operato dai consulenti del pubblico ministero).
Secondo motivo: inosservanza dell’art. 5 d.lvo 74/2000 quanto all’insussistenza dell’elemento psicologico del reato nonché mancanza/apparenza della motivazione sul punto. Dallo stesso capo di imputazione risulta che la società versava le imposte sui redditi in Malta.
Terzo motivo: violazione di legge in relazione agli artt. 132 e 133 cod. pen. rispetto all’aumento applicato per l’aggravante di cui all’art. 416-bis. 1 cod. pen.; motivazione omessa rispetto al devoluto nonché motivazione assente rispetto all’aumento applicato per l’aggravante di cui all’art. 416-bis. 1 cod. pen. Con l’atto di appello era stato censurato che il giudice di primo grado aveva applicato il massimo edittale con riferimento all’aumento ex art. 416-bis.1 cod. pen., e ciò era avvenuto senza addurre alcuna motivazione, ma anche sottolineando che l’estrema severità dell’aumento strideva con l’ottimo comportamento, sia nel corso del processo che successivamente, del reo. Si denuncia anche il mancato rispetto dei precetti della sentenza delle Sezioni Unite “COGNOME“, essendovi un eclatante contrasto tra l’individuazione della pena base nel minimo edittale, accompagnata dal riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione e, viceversa, dell’individuazione del massimo edittale per l’aggravante ad effetto speciale, immediatamente “confessata” dall’imputato.
Quarto motivo: inosservanza degli artt. 81 cpv., 132 e 133 cod. pen.; inosservanza dell’art. 125 cod. proc. pen.; mancanza della motivazione con riferimento all’aumento di pena a titolo di continuazione, il tutto in palese violazione della citata sentenza delle Sezioni Unite “COGNOME“.
Quinto motivo: erronea applicazione degli artt. 322-ter cod. pen. e 11 d.lvo 74/2000; violazione dell’art. 125 cod. proc. pen.; motivazione apparente ed omessa rispetto al devoluto, comunque carente in ordine alla confisca per equivalente di beni appartenenti a persona estranea al reato. La sentenza impugnata ha confermato la confisca dell’immobile sito in INDIRIZZO (in catasto al fg. 85, part. 170, sub. 77, cat. A/3) di proprietà di NOME, zia dell’imputato ed estranea al reato. Si tratta di bene che non può essere oggetto di confisca per equivalente in quanto, da un lato, appartenente a persona estranea dal reato e dall’altro, non avendone l’imputato alcuna autonoma ed effettiva disponibilità.
5-bis. Le difese di NOME COGNOME hanno presentato motivi aggiunti.
5-bis.1 Memoria AVV_NOTAIO in data 30/12/2023.
Primo motivo: violazione di legge in relazione all’art. 157 cod. pen. Per la dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 2012, il cui termine di presentazione andava a scadere il 29/12/2013, è maturata la prescrizione al 29/12/2023, essendo decorso il termine massimo di dieci anni, con conseguente obbligo di ridurre la pena inflitta per tale imputazione.
Secondo motivo (ad integrazione del primo motivo del ricorso principale): violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 163 d.P.R. 917/1986, 67 d.P.R. 600/1973, I. 304/1983 di ratifica della Convenzione tra Italia e Malta sul divieto della doppia imposizione, con riferimento all’art. 5 d.lvo 74/2000.
Terzo motivo (ad integrazione del primo motivo del ricorso principale): violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 5 I. 304/1983 di ratifica della Convenzione tra Malta ed Italia e del Modello OCSE, dell’art. 73 d.P.R. 917/1986 in relazione all’art. 5 d.lvo 74/2000.
Quarto motivo (ad integrazione del secondo motivo del ricorso principale): violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 5 d.lvo 74/2000 con riferimento all’art. 2727 cod. civ. e della circolare 16/e del 28/04/2016, ed insussistenza dell’elemento psicologico.
5-bis.2 Memoria AVV_NOTAIO in data 03/01/2024.
Con l’unico motivo proposto (ad integrazione del primo motivo del ricorso principale) viene sviluppato il tema della “esterovestizione”, in considerazione del fatto che, con riferimento alla contestazione di cui all’art. 5 d.lgs. 74/2000 (limitatamente all’evasione dell’IRES), la Corte territoriale ha erroneamente riferito alla RAGIONE_SOCIALE tale situazione giuridica, valorizzandola, poi, i chiave confermativa della sentenza di primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il solo ricorso di NOME COGNOME è parzialmente fondato con riferimento al trattamento sanzionatorio; nel resto, il ricorso dello stesso, come quelli di NOME COGNOME e del Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari, risulta inammissibile.
Preliminarmente il Collegio ritiene di dover affrontare il tema dell’utilizzabilità della documentazione prodotta dalla difesa di NOME COGNOME in limine litis. Quest’ultima, in due distinte occasioni, rispettivamente due giorni prima ed un giorno prima dell’udienza di trattazione orale, con due separati inoltri a mezzo posta elettronica certificata, ha fatto recapitare – la prima volta – presso la cancelleria centrale della Suprema Corte e presso la segreteria della Procura generale e – la seconda volta – presso la sola suindicata cancelleria, una serie di documenti nuovi (ossia formatisi dopo la presentazione del ricorso per cassazione) o comunque non presenti agli atti (sebbene asseritamente formatisi prima della redazione del ricorso e anche della pronuncia della sentenza impugnata).
Detti documenti sono da ritenersi inutilizzabili per tardivo inoltro/deposito e, conseguentemente, non possono essere sottoposti al vaglio del Collegio.
Invero, nel procedimento trattato in sede di legittimità con il c.d. “Rito Covid”, i documenti (nuovi o comunque non presenti in atti) che la difesa intenda produrre al fine di chiederne la formale acquisizione per la loro successiva utilizzazione ai fini della decisione, vanno trasmessi alla Cancelleria della Corte di cassazione, a mezzo di posta elettronica certificata, improrogabilmente “entro il quinto giorno antecedente l’udienza”, poiché detto termine, previsto dall’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, conv. in parte qua senza modificazioni – in I. n. 176 del 2020, per il deposito delle conclusioni (e più favorevole di quello di “quindici giorni prima dell’udienza” previsto dall’art. 611 cod. proc. pen. – nel testo vigente prima della novella di cui al d.lgs. n. 150 del 2022 – per il deposito di motivi nuovi e memorie) ha, in difetto di una specifica disciplina riguardante le produzioni documentali, natura generale.
Il rispetto di detto termine è finalizzato non solo a consentire un’utile interlocuzione processuale delle altri parti (nella specie, rimasta del tutto frustrata anche per la riscontrata impossibilità da parte del pubblico ministero di accedere ai predetti documenti attesa l’imminenza dell’udienza e la mancata comunicazione al proprio ufficio della predetta trasmissione) e a garantire il rispetto del contraddittorio ma, ancor prima, a favorire più ponderate valutazioni di merito, anche in relazione al preliminare vaglio dei profili di ammissibilità e rilevanza, da parte dell’organo giudicante.
3. Ricorso di NOME COGNOME.
3.1. Manifestamente infondato è il primo motivo.
Questa Suprema Corte ha costantemente affermato che l’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all’estero, la cui omissione integra il reato previsto dall’art. 5 de d.lvo 10 marzo 2000, n. 74, sussiste se detta società abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano in territorio nazionale la gestion amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell’espletamento dei servizi (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 10098 del 27/11/2019, dep. 2020, Pavesi, Rv. 278536; Sez. 3, n. 17299 del 27/02/2014, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 32091 del 21/02/2013, COGNOME, Rv. 257043; Sez. 3, n. 7080 del 24/01/2012, COGNOME, Rv. 252102; Sez. 3, n. 29724 del 26/05/2010, COGNOME, Rv. 248109).
3.1.1. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tale principio e, pur senza richiamare espressamente l’art. 73 del TUIR che individua i criteri di determinazione dei contribuenti obbligati al versamento delle imposte allo Stato italiano, dopo aver evidenziato che lo Stato di Malta sin dal 2000 e proprio con riferimento alle case da gioco online, ha consentito la registrazione nonché rilasciato licenze con una fiscalità di favore, e dopo aver messo in luce la rilevanza della verifica del luogo ove ha operato il centro direttivo ed amministrativo della società, come centro di promanazione di atti giuridici rilevanti e di gestione della stessa, ha accertato che “la RAGIONE_SOCIALE, al di là della formale domiciliazione nello Stato di Malta e lo schermo di società estera, operava nel territorio italiano in stretti rapporti con le organizzazioni criminali anche di tipo mafioso operanti sul territorio e facenti capo alla famiglia COGNOME.
In particolare, la raccolta cosiddetta “da banco” dei giochi e delle scommesse si concretizzava attraverso una ramificata rete di agenzie simulatamente inquadrate come meri Centri di Trasmissione Dati (CTD) collegati a “bookmakers” esteri privi di concessione RAGIONE_SOCIALE. Anche la software house
maltese RAGIONE_SOCIALE, ovvero la piattaforma informatica con server dislocati in paesi esteri, era riconducibile e gestita di fatto dai COGNOME. L’associazione era costituita, al vertice, da persone legate da vincoli familiari tutte residenti i Italia” (pag. 35 della sentenza impugnata). Sussistono – ha proseguito la Corte territoriale – “quegli elementi sintomatici in base ai quali è possibile individuare i concetto di sede dell’amministrazione: il luogo di residenza degli amministratori, avendo principale riguardo agli amministratori di fatto e non solo a quelli di diritto; il luogo di effettivo esercizio del potere di gestione dei conti bancari della società e, più in generale, delle sue disponibilità finanziarie; il luogo in cui è presente un apparato organizzato di beni e persone, dove viene esercitata l’impresa e da dove promanano le attività di direzione dell’ente …”.
La fattispecie ha in tal modo evidenziato la presenza di una “sede fissa di affari” costituente “stabile organizzazione”, smentendo la tesi difensiva secondo cui i punti di raccolta e RAGIONE_SOCIALE erano coordinati esclusivamente in via telematica attraverso una organizzazione allocata sul territorio maltese: al contrario, è risultato come tutti i punti di raccolta fossero tenuti a versare RAGIONE_SOCIALE gli incassi della raccolta, trattenendo soltanto le provvigioni.
3.1.2. Sulla base di tale accertamento di fatto, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che la società fosse obbligata alla presentazione della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi (adempimento omesso per le annualità dal 2012 al 2016), per cui era configurabile a carico degli amministratori il reato in contestazione, non essendo stato conseguentemente assolto l’obbligo di pagamento.
I rilievi difensivi svolti in proposito, oltre a risolversi in censure di f irrilevanti alla luce dell’assorbenza delle corrette considerazioni operate dai giudici di merito, non tengono conto di quanto accertato, e segnatamente del fatto che “… il NOME non indica le modalità con cui l’attività di coordinamento sarebbe stata effettuata direttamente a Malta né, concretamente, la gestione dei rapporti esclusivamente informatica e telematica che alla stessa sarebbe stata connessa, né specifica la struttura di dimensioni consistenti, dotata di uffici ed avvalendosi di numerosi dipendenti di cui parla NOME ed ai suoi familiari, in Italia, faceva capo la struttura obiettivamente idonea ad assumere decisioni relative all’andamento generale dell’attività di impresa in modo indipendente; il soggetto collettivo non residente agiva secondo modi e cadenze compatibili con quelli propri di un soggetto collettivo residente, ponendo in essere in Italia quanto meno un segmento rilevante e significativo della sua attività. Il giudizio non va riferito ai singoli punti di raccolta ma alla complessiva organizzazione creata dal NOME, al cui interno i punti di raccolta si inserivano in modo consapevole e adesivo, eventualmente anche con attività
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ulteriori. Non rileva, pertanto, l’assenza di identità personale tra i vertici RAGIONE_SOCIALE e quelli dei singoli punti vendita (o agenzie). Né rileva il fatto che il NOME ed i suoi familiari, spesso, fossero in viaggio per ragioni connesse alla propria attività. Altrettanto generica e palesemente apodittica è l’affermazione che RAGIONE_SOCIALE presentava regolare dichiarazione in Malta ed ivi pagava le imposte anche con riferimento ai redditi derivanti dalle attività di gioco raccolte in Italia attraverso i punti di raccolta ivi allocati; nessuna prova è stata addotta e/o acquisita sul punto, come sui bilanci in cui sarebbe stata evidenza ai suddetti flussi reddituali” (pagg. 36-37 della sentenza impugnata).
3.1.3. Va così riaffermato che, il senso reale dell’espressione “esterovestizione”, ha riguardo al fenomeno di un’impresa estera che abbia una sede fissa di affari nel territorio italiano, ove effettua la gestione amministrativa assume le decisioni strategiche, industriali e finanziarie ed ove programma tutti gli atti necessari affinchè sia raggiunto un fine sociale, senza tuttavia dichiarare all’autorità RAGIONE_SOCIALE i relativi proventi generati e ad essa direttamente imputabili è, per tali ragioni, che viene definita “artificiosa” la costituzione o il trasferimen della sede della società all’estero, in quanto l’operazione appare tale, nel senso della creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica.
In linea con tale ricostruzione che valorizza quale parametro discretivo essenziale il luogo della effettiva amministrazione e gestione degli affari, si è condivisibilmente affermato (Sez. 3, n. 50151 del 13/07/2018, M., Rv. 274090) che, nell’ambito delle operazioni di “esterovestizione”, le società estero vestite non sono, per ciò soltanto, necessariamente sempre prive della loro autonomia giuridico-patrimoniale e, quindi, automaticamente qualificabili come “schermi” ovvero enti artificiosamente costruiti; invero, possono rientrare nel fenomeno della esterovestizione sia forme societarie del tutto apparenti (c.d. “società schermo”, come tali del tutto fittizie), sia altre forme comunque dotate di una propria autonomia giuridica ed operativa.
A fronte di tali dati di fatto certamente rinvenibili in capo alla societ RAGIONE_SOCIALE, le ulteriori deduzioni difensive non individuano omissioni rilevanti o travisamenti probatori che siano idonei a disarticolare l’unitario ragionamento che si ricava dalle sentenze di merito, in realtà essendo queste ultime incentrate sulla mera rivisitazione di aspetti che attengono al merito.
3.2. Del tutto generico è il secondo motivo.
Invero, la doglianza sul rilevato difetto dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 5 d.lvo 74/2000 è priva della necessaria specificità di critic essendosi la parte limitata ad affermare che “è principio pacifico che per la integrazione della fattispecie contestata oltre agli elementi costitutivi materiali
deve sussistere l’elemento psicologico rappresentato dal dolo specifico di evasione, e cioè che il soggetto agente sia animato dall’intento di evadere le imposte sui redditi. Sotto tale profilo la motivazione è totalmente assente proprio sotto il profilo grafico; tanto più che risulta dallo stesso capo di imputazione, che la società versava le imposte sui redditi in Malta, circostanza (che) elide in radice la ipotesi solo teorizzata”.
In ogni caso, appare utile riaffermare l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di omessa dichiarazione, se la mera consapevolezza dell’entità dell’imposta evasa non è sufficiente a provare la sussistenza del dolo specifico, richiesto per la configurabilità del reato, è tuttavia necessario – ma sufficiente – a tal fine, che ricorrano elementi ulteriori, quali mancato pagamento postumo di tale imposta in tempi ragionevoli o la reiterazione dell’omissione per più anni (come accaduto nella fattispecie), dai quali possa essere tratta la convinzione che l’omissione sia finalizzata all’evasione (Sez. 3, n. 44170 del 04/07/2023, Marra, Rv. 285221).
3.3. Parzialmente fondato è il terzo motivo.
L’imputato, in sede di appello, aveva censurato la decisione del primo giudice che aveva applicato il massimo edittale con riferimento all’aumento di pena ex art. 416-bis. 1 cod. pen. (anni uno e mesi sei, rispetto alla pena base di anni tre), segnalando non solo che tanto era avvenuto senza alcuna motivazione, ma anche sottolineando che l’estrema severità dell’aumento strideva con l’ottimo comportamento sia processuale sia susseguente al reato del NOME che aveva ammesso avanti al giudice che l’attività di raccolta delle scommesse in Italia avveniva anche secondo le modalità di cui all’art. 416-bis. 1 cod. pen. Sul rilievo difensivo in parola, la Corte territoriale nulla ha osservato. Detta mancanza, anche grafica, della motivazione, non altrimenti sanabile, va censurata ed impone l’annullamento con rinvio per verificare la ricorrenza o meno dei presupposti per il riconoscimento dell’aggravante de qua, con conseguenziale possibile nuova determinazione del trattamento sanzionatorio complessivo: statuizione che consente di far ritenere assorbito il secondo profilo di censura difensiva relativo al mancato rispetto del canone di proporzionalità tra la determinazione della pena base (individuata nel minimo edittale), accompagnata dal riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, e, di contro, la determinazione del massimo edittale per l’aggravante “confessata” dall’imputato.
3.4. Manifestamente infondato è il quarto motivo.
La pena irrogata al NOME è stata così determinata: pena base per il reato di cui al capo 1), anni tre di reclusione, aumentata ad anni quattro e mesi sei di reclusione ex art. 416-bis. 1 cod. pen., ridotta ex art. 62 -bis cod. pen. ad anni tre di reclusione, aumentata ex art. 81 cod. pen. per il capo 2) ad anni tre e
mesi sei di reclusione e per il capo 5) ad anni tre e mesi dieci di reclusione. Pena finale, ridotta per il rito, ad anni due, mesi sei, giorni dieci di reclusione: riduzio operata, peraltro, in misura maggiore rispetto al terzo consentito, ma non altrimenti rilevabile od emendabile in ragione della mancata impugnazione sul punto da parte del pubblico ministero.
3.4.1. Orbene, il ricorrente censura il vizio motivazionale in ordine ai due aumenti di pena a titolo di continuazione, aumenti contenuti (considerata la diminuente per il rito) in mesi quattro di reclusione (per il capo 2) e in mesi due e giorni venti di reclusione (per il capo 5), evocando al riguardo la violazione dei precetti contenuti nella sentenza delle Sezioni unite n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, evidenziando in particolare come, in relazione al capo 5), la Corte territoriale, a fronte di una contestazione relativa a ben cinque annualità (2012, 2013, 2014, 2015 e 2016), senza specificare l’aumento riferibile a ciascuna di dette annualità nonostante le stesse costituiscano altrettante autonome condotte ex art. 5 d.lvo 74/2000, ha applicato un aumento unico complessivo.
Ritiene il Collegio che il giudice di merito abbia assolto all’onere di esprimere una specifica motivazione sull’aumento di pena per ciascuno dei reati satellite, sulla base dei precetti contenuti nella sentenza “COGNOME“, e ciò anche considerando che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e deve essere tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti 81 cod. pen. e che non si sia surrettiziamente operato un cumulo materiale di pene (Sez. 2, n. 49955 del 02/11/2023, COGNOME, non mass.): un aumento unitario, quale quello operato per il capo 5), è pienamente giustificato dall’identità delle condotte e fa presumere una legittima suddivisione paritaria della pena complessiva per le rilevate violazioni similari (giorni sedici di reclusione, già tenuto conto della diminuente per il rito, per ciascuna delle cinque violazioni di cui al capo 5).
3.4.2. Infine, non valutabile, perché non ritualmente dedotto e, comunque non validamente documentato, è l’ulteriore profilo relativo alla non corrispondenza al vero della circostanza secondo la quale il COGNOME sarebbe stato precedentemente condannato in via definitiva per art. 4 I. 401/1989, circostanza in fatto che avrebbe avvalorato il giudizio in ordine alla sua specifica attitudine delinquenziale.
3.5. Aspecifico e comunque inammissibile per carenza di legittimazione ed interesse è il quinto motivo.
La Corte territoriale, con riferimento all’appartamento sito in INDIRIZZO, ha rilevato come dalle investigazioni compiute fosse risultato che lo
(
stesso fosse “in realtà, di fatto di proprietà del NOME, come emerge da due inequivocabili conversazioni dell’imputato rispettivamente con la madre e con il cugino NOME COGNOME, dalla realizzazione a sua cura di lavori di ristrutturazione e di arredo, dalla stabile occupazione dell’immobile a decorrere dal 01/07/2011. In ogni caso l’imputato non è legittimato ad impugnare il provvedimento, in presenza della pacifica legittimazione riconosciuta al terzo proprietario rimasto estraneo al processo in sede esecutiva”.
Con queste argomentate valutazioni, parte ricorrente omette di confrontarsi, limitandosi sostanzialmente a reiterare il motivo di appello.
3.6. Va, inoltre, rilevato come la dichiarata inammissibilità dei motivi del ricorso principale, cui si ricollegano i motivi aggiunti proposti nelle memorie difensive nell’interesse del COGNOME (rispettivamente in data 30/01/2023 a firma AVV_NOTAIO, la prima e in data 03/01/2024 a firma AVV_NOTAIO, la seconda), idonei, in astratto, a colmarne i difetti, travolge tuttavia anche questi ultimi, non potendo essere tardivamente sanato il vizio radicale dell’impugnazione originaria; e ciò vale anche nel caso in cui il ricorso non sia integralmente inammissibile (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 8439 del 24/01/2020, L., Rv. 278387).
3.7. Va, infine, evidenziato che l’inammissibilità dei motivi relativi al reato di cui al capo 5), impedisce di valutare la dedotta prescrizione del reato asseritamente maturata – con riferimento a parte della condotta – successivamente alla pronuncia della sentenza di appello e prima della data odierna.
Ricorso di NOME COGNOME.
4.1. Manifestamente infondato e comunque proposto fuori dai casi consentiti è il primo motivo.
Il ricorrente riconduce, inammissibilmente, il vizio della motivazione alla violazione degli artt. 125, 192 cod. proc. pen., nonché agli artt. 416 cod. pen. e 4 I. 401/1989.
4.1.1. Deve al riguardo richiamarsi e riaffermarsi il seguente principio di diritto: “In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limit all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità” (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-04).
4.1.2. Fermo quanto precede, evidenzia in ogni caso il Collegio come il motivo dedotto, per altro verso, sia volto sostanzialmente ad introdurre una non consentita lettura alternativa del merito.
Invero, lungi dal delineare un effettivo vizio di legittimità, le doglianze iv articolate finiscono per contestare il giudizio di responsabilità, ovvero il risultat probatorio cui sono approdati i giudici di merito che, con valutazione conforme delle medesime emergenze istruttorie, sono stati concordi nel ritenere al contrario tali elementi pienamente e integralmente riscontrati all’esito della ricostruzione della concreta vicenda processuale. Ed in effetti, è utile ribadire che, ai fini della corretta deduzione del vizio di violazione di legge di cui all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., il motivo di ricorso deve strutturarsi sulla contestazione della riconducibilità del fatto – come ricostruito dai giudici di merito – nella fattispec astratta delineata dal legislatore; altra cosa, invece, è, come accade sovente ed anche nel caso di specie, sostenere che le emergenze istruttorie acquisite siano idonee o meno a consentire la ricostruzione della condotta di cui si discute in termini tali da ricondurla al paradigma legale. Nel primo caso, infatti, viene effettivamente in rilievo un profilo di violazione di legge laddove si deduce l’erroneità dell’opera di “sussunzione” del fatto (non suscettibile di essere rimessa in discussione in sede di legittimità) rispetto alla fattispecie astratta; nel secondo caso, invece, la censura si risolve nella contestazione della possibilità di enucleare, dalle prove acquisite, una condotta corrispondente alla fattispecie tipica che è, invece, operazione prettamente riservata al giudice di merito.
In sostanza, si contesta l’approdo decisionale cui sono pervenuti i giudici di merito nell’affermare la penale responsabilità dell’imputato, sottoponendo alla Corte di legittimità una serie di argomentazioni che si risolvono nella formulazione di una diversa ed alternativa ricostruzione dei fatti posti a fondamento della decisione.
4.1.3. Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, la valutazione dei dati processuali e la scelta, tra i vari risultati di pr di quelli ritenuti più idonei a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (cfr., Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623; Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362; Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, Fasciani, Rv. 278745).
In tal senso, va ribadito il principio secondo il quale è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da
contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (cfr., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099).
4.1.4. Ne consegue che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spesso della valenza probatoria del singolo elemento (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747).
4.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo.
Invero, in tema di ricorso per cassazione, il diverso trattamento sanzionatorio riservato, nel medesimo procedimento, ad altri imputati, anche se correi, non implica un vizio di motivazione della sentenza, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento di situazione prospettata come identica ovvero sull’uguale trattamento di situazioni ben differenziate, ovvero ancora su una impari valutazione di gravità, sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (cfr., Sez. 3, n. 9450 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 282839; Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, COGNOME Penna, Rv. 264020). Nessuna di queste situazioni risulta essersi verificata nella fattispecie.
Peraltro, al di là dell’irragionevolezza o del paradosso, il motivo è inammissibile anche sotto l’ulteriore profilo rappresentato dal fatto che non possono trovare accesso in questa sede valutazioni comparative che implicano necessariamente, ancora una volta, un non consentito giudizio di merito.
Ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari. Manifestamente infondato è l’unico motivo proposto.
Le censure proposte tendono ad una rilettura in fatto degli elementi storicofattuali posti a fondamento della decisione impugnata e tendono a prospettare un’alternativa decisoria. Detta sollecitazione nei confronti del giudice di legittimità non è consentita, essendo il relativo sindacato circoscritto alla verifica
dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari aspetti o segmenti del percorso motivazionale ivi tracciato: verifica il cui esito non può che dirsi positivamente raggiunto nel caso in esame.
6. Alla pronuncia consegue:
-l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente all’aumento di pena ex art. 416-bis. 1 cod. pen. per il reato di cui al capo 1), con conseguente rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bari;
-la declaratoria di inammissibilità nel resto del ricorso di NOME COGNOME; -la declaratoria di inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME, con sua condanna, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e, avuto riguardo ai profili di colpa evidenziabili nel ricorso, della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
-la declaratoria di inammissibilità del ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari, con esonero dal pagamento di spese in ragione della sua qualità di parte pubblica.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente all’aumento di pena ex art. 416-bis. 1 cod. pen. per il reato di cui al capo 1), con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bari. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore generale.
Così deciso in Roma il 19/01/2024.