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Estensione impugnazione: limiti per il coimputato

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi di due imputati. Per il primo, un accordo in appello limita la revisione del giudice. Per il secondo, che beneficiava dell’estensione impugnazione, la Corte chiarisce che tale istituto non gli conferisce il diritto di proporre un ricorso autonomo su nuove questioni una volta che il motivo estensibile è venuto meno.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Estensione impugnazione: quando il coimputato non può ricorrere

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 2103 del 2024, offre importanti chiarimenti sui limiti dell’estensione impugnazione ex art. 587 c.p.p. e sugli effetti del cosiddetto ‘patteggiamento in appello’. La Suprema Corte ha stabilito che il coimputato non appellante, pur beneficiando degli effetti favorevoli dell’impugnazione altrui, non acquisisce il diritto di proporre autonomamente un ricorso per cassazione su nuove questioni.

I fatti di causa

Il caso trae origine dalla decisione della Corte di appello di Genova, che aveva parzialmente riformato una sentenza di primo grado. Un imputato, a seguito di un accordo sulla pena (‘patteggiamento in appello’), aveva ottenuto una riduzione della condanna per reati legati agli stupefacenti. Un secondo soggetto, coimputato ma non appellante, era stato citato in giudizio in virtù dell’estensione impugnazione, poiché uno dei motivi del ricorso principale non era di natura strettamente personale.

Tuttavia, l’appellante principale aveva rinunciato a tale motivo, portando la Corte d’appello a concludere di non poter adottare alcuna statuizione favorevole nei confronti del coimputato. Entrambi gli imputati hanno quindi proposto ricorso per cassazione. L’appellante principale lamentava la mancata declaratoria di prescrizione per un capo d’imputazione e l’assenza di motivazione sul mancato proscioglimento. Il coimputato, invece, sollevava per la prima volta in Cassazione la nullità della sentenza di primo grado.

Limiti all’estensione impugnazione per il coimputato

Il punto centrale della decisione della Cassazione riguarda la posizione del coimputato non appellante. I giudici hanno dichiarato il suo ricorso inammissibile, ribadendo un principio consolidato: l’istituto dell’estensione impugnazione ha lo scopo di evitare giudicati contrastanti e di assicurare una giustizia sostanziale, ma non serve a ‘rimettere in termini’ chi non ha esercitato il proprio diritto di impugnazione.

Il coimputato che partecipa a una fase del giudizio solo grazie all’impugnazione altrui può svolgere le proprie difese su quel punto specifico, ma non è legittimato a proporre un’autonoma impugnazione contro la decisione che respinge il motivo altrui. Una volta che il motivo estensibile viene meno (in questo caso, per rinuncia), viene meno anche la base giuridica per la partecipazione del coimputato al giudizio, precludendogli la possibilità di sollevare questioni nuove e personali.

Gli effetti del patteggiamento in appello

Anche il ricorso dell’imputato principale è stato dichiarato inammissibile. Per quanto riguarda la doglianza sulla mancata motivazione del proscioglimento, la Corte ha ricordato che in caso di ‘patteggiamento in appello’ la cognizione del giudice è limitata. Se l’imputato rinuncia ai motivi di appello in cambio di un accordo sulla pena, il giudice non è tenuto a motivare sulle cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p., poiché l’effetto devolutivo dell’impugnazione è stato circoscritto dall’accordo stesso.

Inoltre, la richiesta di declaratoria di prescrizione per un altro reato è stata ritenuta manifestamente infondata, in quanto basata su un’errata rappresentazione dei fatti. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il capo d’imputazione riguardava l’importazione di una quantità specifica di sostanza stupefacente (100 grammi di cocaina), tale da non consentire la riqualificazione del fatto in un’ipotesi di lieve entità, che avrebbe portato alla prescrizione.

Le motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su una rigorosa interpretazione delle norme processuali e sulla giurisprudenza consolidata. Per il coimputato non appellante, si è sottolineato che lo scopo dell’art. 587 c.p.p. è la coerenza delle decisioni, non la riapertura dei termini per impugnare. La sua partecipazione al processo è subordinata all’esistenza di un motivo non personale sollevato da altri; venuto meno questo, cessa anche il suo diritto a interloquire. Per l’appellante principale, la Corte ha evidenziato come l’accordo sulla pena in appello costituisca una rinuncia implicita a contestare la propria colpevolezza, limitando di conseguenza l’obbligo di motivazione del giudice a ciò che non è stato oggetto di rinuncia.

Conclusioni

La sentenza in commento ribadisce due principi fondamentali della procedura penale. In primo luogo, l’estensione impugnazione è un beneficio concesso al coimputato diligente, ma non una sanatoria per chi è rimasto inerte. In secondo luogo, la scelta di un ‘patteggiamento in appello’ comporta precise conseguenze processuali, tra cui la limitazione del sindacato del giudice e la rinuncia a far valere determinate doglianze. Questa decisione sottolinea l’importanza di una strategia difensiva attenta e tempestiva in ogni fase del procedimento penale.

Un coimputato che non ha fatto appello può ricorrere in Cassazione contro la sentenza di secondo grado?
No, non può proporre un ricorso autonomo. Se beneficia dell’estensione dell’impugnazione di un altro imputato, può partecipare al giudizio e svolgere difese solo sul motivo non personale sollevato. Se tale motivo viene respinto o, come in questo caso, ritirato, il coimputato non acquisisce il diritto di impugnare la decisione sollevando nuove e diverse questioni.

In caso di ‘patteggiamento in appello’, il giudice deve motivare il mancato proscioglimento dell’imputato?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che quando l’imputato accetta un accordo sulla pena in appello, rinunciando ai motivi di impugnazione, la cognizione del giudice è limitata ai soli aspetti non coperti dalla rinuncia. Pertanto, il giudice non è tenuto a motivare sul perché non abbia prosciolto l’imputato ai sensi dell’art. 129 c.p.p.

Qual è lo scopo principale dell’estensione dell’impugnazione (art. 587 c.p.p.)?
Lo scopo principale è quello di evitare giudicati contrastanti tra coimputati che si trovano nella medesima situazione processuale e di privilegiare esigenze di giustizia sostanziale. Tuttavia, non serve a rimettere in termini un imputato ‘non diligente’ che non ha presentato una propria impugnazione, consentendogli di sollevare autonomamente nuove doglianze.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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