Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27207 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27207 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE
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avverso l’ordinanza del 24/03/2025 del TRIB. LIBERTA’ di TORINO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale dì Torino, in sede di riesame di provvedimenti impositivi di misure cautelari reali, ha confermato il decreto del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, emesso il 21 gennaio 2025, con il quale è stato disposto il sequestro preventivo a fini di confisca fino alla concorrenza della somma di euro 116.407,70 individuata come profitto del reato di concorso in truffa aggravata dal rilevante danno contestato a COGNOME NOME, nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante della ricorrente, coinvolta in una frode assicurativa basata sulla creazione di polizze fittizie per ottenere commissioni indebite.
Ricorre per cassazione la società indicata in epigrafe, quale terza interessata Deduce:
violazione di legge dovuta alla insussistenza delle condizioni di procedibilità per carenza degli elementi costitutivi dell’aggravante e difetto di una valida querela nonché di una valida manifestazione di volontà punitiva.
La querela proposta dalle società persone offese dal reato non indicherebbe alcun elemento rilevante a far ritenere che la ricorrente e/o il suo legale rappresentante COGNOME Giuseppe partecipassero al disegno criminoso ordito da altre società alle quali, solo per relationem, la ricorrente sarebbe stata assimilata.
Non vi sarebbe neanche, nell’atto di denuncia/querela, una istanza di punizione validamente formulata ed individualizzata, anche in relazione alla sussistenza dell’aggravante del rilevante danno;
vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti.
Il Tribunale avrebbe fondato la decisione su dati valutativi apodittici e non verificabili, non contemplati nell’atto di denuncia/querela bensì risultanti dai report investigativi delle società assicuratrici querelanti, senza alcun indagine della Procura della Repubblica e senza, pertanto, alcun riscontro.
Le risultanze indicate nel provvedimento impugnato – alcune delle quali riprodotte testualmente in ricorso – porterebbero ad escludere l’astratta configurabilità del reato contestato al COGNOME NOME nella qualità, anche in relazione alla sussistenza dell’aggravante del rilevante danno, non adeguatamente rinvenibile nelle risultanze e non specificata nel suo ammontare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi in parte manifestamente infondati ed, in parte, non consentiti.
In ordine al primo motivo, deve premettersi che la questione in ordine alla procedibilità non aveva formato oggetto dell’istanza di riesame, sicché, in presenza di un atto indicato in atti come denuncia/querela, la ricorrente non può sollecitare approfonditi accertamenti di fatto non portati all’attenzione del giudice di merito a proposito della presenza o meno di una volontà querelatoria.
Peraltro, deve rilevarsi, che dalla denuncia/querela delle società persone offese (RAGIONE_SOCIALE, presente agli atti ed allegata al ricorso, emerge ictu ()culi, la volontà punitiva nei confronti dei soggetti coinvolti nei fatti descritti, tr i quali il COGNOME NOME quale legale rappresentante della ricorrente.
Tanto si evince dall’avere le querelanti indicato il reato a loro modo di vedere integrato dalle condotte illecite (la truffa), allegando numerosa documentazione
a corredo dell’atto di denuncia/querela ed invitando l’autorità giudiziaria a svolgere indagini in relazione alla sussistenza di altri reati, quali l’autoriciclaggio e l’associazione per delinquere, così dimostrando di volere perseguire penalmente i colpevoli.
In punto di diritto, deve ricordarsi che, in tema di condizioni di procedibilità, la volontà di proporre querela è legittimamente desumibile dalla presentazione alle forze dell’ordine di una denuncia, accompagnata dall’allegazione, in funzione delle indagini da svolgersi, di documentazione, fotografie e videoriprese utili all’individuazione dell’autore dell’azione criminosa, non richiedendo l’istanza punitiva l’utilizzo di formule sacramentali e dovendosi conformare l’interpretazione, nei casi dubbi, al principio del “favor querelae”. (Sez. 4, n. 10462 del 21/01/2025, Pg, Rv. 287759-01).
In secondo luogo, l’ordinanza impugnata (in particolare a fg. 8), ha sottolineato tutta una serie di irregolarità attribuibili alla società ricorrente (per mezzo del suo amministratore), nella gestione delle polizze assicurative stipulate con utenti finali inconsapevoli e per mezzo di indicazioni fasulle o carenti, peraltro analoghe a quelle poste in essere da altre società nel medesimo contesto ed ai danni delle querelanti, sicché la motivazione del provvedimento, che si rifà a quanto esposto in denuncia/querela, ha chiarito che in quest’ultimo atto non si è effettuato un mero richiamo per relationem a condotte similari ad altri soggetti attribuibili, ma si sono individualizzate specifiche condotte illecite riferibili al legal rappresentante della ricorrente, ritenuto correo nel reato ed al rilevante danno procurato alle vittime.
Sotto questo profilo, è utile richiamare il principio di diritto secondo il quale, l’art.123 cod. pen. dispone che la querela si estende di diritto a tutti coloro che hanno commesso il reato. In altri termini, ai sensi dell’art.123 cod. pen. per il principio dell’unicità del reato concorsuale, la querela sporta contro uno dei compartecipi si estende a tutti coloro che hanno commesso il reato. Ne deriva che nessuna improcedibilità deriva dal fatto che la persona offesa abbia sporto querela soltanto contro uno o alcuni degli autori del reato, escludendone gli altri, poiché la querela dispiega “ope legis” i propri effetti nei confronti di tutti i soggetti che hanno concorso a commettere il reato, anche senza, ed eventualmente contro, la volontà del querelante. Infatti la querela è condizione di punibilità del fatto-reato, e non di uno o di taluno soltanto degli autori; con essa si rimuove soltanto l’ostacolo della perseguibilità di taluni reati, restando al pubblico ministero il potere di accertamento e di persecuzione dei rei, sicché la querela tempestivamente proposta, conserva valore nei riguardi di coloro che, non indicati inizialmente, risultino poi autori o compartecipi del reato. (Sez. 3, n. 1654 del 28/11/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 209570-01).
2. In ordine al secondo motivo, deve ricordarsi che, secondo l’art. 325, comma
1, cod.proc. pen., il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in sede di riesame avverso il provvedimento impositivo di misura cautelare reale, è
ammesso solo per violazione di legge e, dunque, come anche ripetutamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità condivisa dal Collegio, non per i vizi
logici della motivazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. (tra le tante, sez.5, n. 35532 del 25/06/2010, COGNOME, conforme a Sez.U, n. 5876
del 2004, COGNOME).
La più autorevole giurisprudenza della Corte di Cassazione, condivisa dal Collegio, ritiene che in tale nozione vadano ricompresi sia gli errores in iudicando che gli
errores in procedendo, ovvero quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto
mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice
(Sez.U. n.25932 del 2008, COGNOME).
Nel caso in esame, sia nel suo incipit
(l’intestazione del motivo e la sua premessa fanno riferimento alla mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.), che nello svolgimento delle argomentazioni, il ricorso aggredisce una motivazione che, come si comprende dallo stesso atto di impugnazione e come è stato specificato a proposito del primo motivo con il richiamo al fg. 8 dell’ordinanza impugnata, è tutt’altro che apparente, essendo stati messi in luce, ai fini della verifica del fumus commissi delicti, gli elementi investigativi inerenti alle condotte dell’indagato COGNOME nella qualità di legale rappresentante della ricorrente.
Ne consegue che il motivo deve ritenersi non consentito alla stregua della giurisprudenza di legittimità prima citata.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa della stessa ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
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P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso, il 26/06/2025.