Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31858 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31858 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BRESCIA nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/10/2023 del TRIBUNALE di CREMONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata deliberata il 27 ottobre 2023 dal Giudice monocratico del Tribunale di Cremona, che ha condannato il cittadino rumeno NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 48, 479 e 640, comma 2, n. 1), cod. pen. alle pena di anni tre e mesi sei di reclusione, con interdizione dai PPUU per cinque anni.
NOME è stato riconosciuto responsabile di avere indotto in errore il PU dell’ufficio RAGIONE_SOCIALE di Cremona circa la proprietà di ventitrè autovetture, inducendolo ad emettere altrettante carte di circolazione e certificati di proprietà
in cui egli, contrariamente al vero, risultava proprietario dei veicoli quale titolare di RAGIONE_SOCIALE individuale per il RAGIONE_SOCIALE di veicoli, RAGIONE_SOCIALE in realtà fittizia.
La condanna ha riguardato anche la truffa ai danni dello Stato legata al risparmio tributario conseguito grazie all’apparente intestazione dei veicoli all’imputato, quale titolare dell’RAGIONE_SOCIALE di cui sopra.
2. Avverso detta decisione ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia, che ha lamentato violazione di legge quanto al mancato vaglio circa i presupposti per l’applicazione all’imputato della misura di sicurezza dell’allontanamento dal territorio dello Stato a pena espiata, di cui all’art. 235 cod. pen.
Sostiene il Procuratore generale ricorrente che tale misura andava applicata, dato che la pericolosità sociale dell’imputato emergeva dalla stessa motivazione della sentenza impugnata, secondo i dettami della sentenza della Corte costituzionale n. 58 del 1995.
I fatti per cui è processo testimonierebbero, infatti, la propensione a delinquere di COGNOME, specie se si considera che il prevenuto ha commesso i reati avvalendosi di una fittizia RAGIONE_SOCIALE individuale. Tale considerazione sarebbe rafforzata dal fatto che, come emerge dalla decisione avversata, alcuni dei veicoli di cui alle imputazioni erano stati segnalati come sospetti siccome in uso a conducenti sprovvisti della patente di guida oppure erano stati utilizzati per commettere reati. L’imputato – si legge altresì nel ricorso – aveva rivelato di avere fatto da prestanome dietro compenso, il che lo ha reso un riferimento per chiunque volesse disporre di un veicolo che non fosse però a sé riconducibile. Ugualmente rilevante, nell’ottica della pericolosità sociale del prevenuto, sarebbe il giudizio sul trattamento sanzionatorio, ove il Giudice monocratico aveva esaltato l’insidiosità della condotta. La confessione, ancorché valorizzata positivamente quanto alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, non inciderebbe sulla pericolosità sociale, giacché l’attività illecita è stata scoperta solo a seguito di un controllo casuale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Il Procuratore generale di Brescia si duole della mancata applicazione, da parte del Giudice monocratico, della misura di sicurezza dell’espulsione dello straniero o dell’allontanamento dal territorio nazionale del cittadino di uno Stato
dell’unione europea, di cui all’art. 235 cod. pen., applicabile a coloro che riportino una condanna a pena superiore ai due anni di reclusione.
1.1. Ebbene, un primo aspetto che ha guidato l’odierna decisione del Collegio è legato alla facoltatività dell’applicazione della misura di sicurezza predetta, su cui c’è uniformità di vedute in seno all’esegesi di legittimità. La natura non obbligatoria della misura di sicurezza in discorso, infatti, è stata ripetutamente sancita da questa Corte, che l’ha reputata applicabile dal giudice solo nel caso in cui, con adeguata motivazione, abbia verificato la sussistenza della pericolosità sociale (Sez. 2, n. 16400 del 17/02/2021, NOME, Rv. 281123; Sez. 1, n. 18901 del 21/03/2019, NOME, Rv. 276186; Sez. 1, n. 51161 del 09/05/2018, NOME, Ry. 274652; Sez. 2, n. 39359 del 20/07/2016, NOME, Rv. 268303).
In particolare, si è osservato che detta misura di sicurezza trova la sua disciplina generale negli artt. 199 e ss. cod. pen., sicché può essere disposta soltanto se il giudice di merito, con congrua e logica motivazione, accerti – alla luce dei criteri posti dall’art. 133 cod. pen. (come richiamati dall’art. 203 cod. pen.) – la sussistenza in concreto della pericolosità sociale del condannato, la quale si può manifestare principalmente con la reiterazione dei fatti criminosi. Si è, altresì, sostenuto che la natura facoltativa della misura prevista dall’articolo 235 cod. pen. trova conferma nella lettera della norma, differente da quella che disciplina altri casi di espulsione, in particolare quello di cui all’art. 86 d.P.R. n. 309 del 1990, ove si legge che l’imputato straniero condannato per alcuni dei reati ivi indicati, «deve» essere espulso dal territorio dlelo Stato a condanna espiata.
1.2. Fermo questo aspetto, occorre però segnalare che vi è una divaricazione esegetica circa l’ambito del dovere argomentativo del Giudice di merito qualora non intenda applicare la misura di sicurezza in discorso o, meglio, esistono due indirizzi, uno dei quali potrebbe costituire la precisazione dell’altro.
Secondo le sentenze NOME e NOME sopra citate, infatti, la mancata applicazione della misura, laddove la sua applicazione sia astrattamente possibile, non è suscettibile di critica, giacché implica che il Giudice abbia effettuato, a tale specifico riguardo, una valutazione, che si è conclusa con esito negativo e che il decidente non ha esplicitato in sentenza. Altro fronte interpretativo, partendo proprio dalla conclusione appena illustrata, ha però affermato che la mancata applicazione della misura, laddove dalla motivazione della sentenza emerga l’illustrazione di indicatori di pericolosità sociale, è suscettibile di censura per illogicità motivazionale (sentenze COGNOME e COGNOME). Secondo quest’ultima decisione, infatti, la possibilità logico-giuridica di desumere in via implicita la valutazione dell’assenza di pericolosità sociale alla
base della mancata applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione deve collegarsi logicamente e univocamente alla restante parte del tessuto argomentativo, donde, laddove la motivazione della sentenza, pur tacendo sulla misura di sicurezza, comunque faccia riferimento ad elementi di «pronunciata pericolosità sociale annessi alla sfera del condannato», si incrinerebbe la consecutio logica tra le varie parti della sentenza.
Ebbene, è opinione del Collegio che sia preferibile questo secondo orientamento, perché esso lascia spazio a una verifica circa l’effettività della valutazione ex art. 235 cod. pen. e consente l’intervento correttivo della parte interessata, nei casi in cui l’illustrazione, in sentenza, di plurimi fattori negativi astrattamente incidenti sulla valutazione ex art. 203 cod. pen., ma concretamente valorizzati solo ad altri fini – lasci dubitare della coerenza interna della decisione quanto alla statuizione implicita sulla non applicazione della misura. Si tratta di un’esegesi che garantisce circa la serietà nell’esercizio del dovere motivazionale del Giudice di merito, che un’eccessiva dilatazione della sostanziale incensurabilità della sentenza, legata alla tesi della motivazione implicita, potrebbe non assicurare.
1.2. Nel caso di specie, deve tuttavia escludersi che la sentenza del Giudice monocratico di Cremona sia incorsa nel vizio suddetto.
Dalla lettura della decisione, infatti, non emerge che la statuizione negativa implicita ivi contenuta quanto all’applicazione della misura di sicurezza strida con la motivazione; motivazione ove, oltre a ricostruire i fatti – non caratterizzati da particolare allarme sociale – e la responsabilità dell’imputato, il Giudice monocratico ha valorizzato due dati di valenza opposta, vale a dire, da un lato, la confessione resa dall’imputato (all’origine della concessione delle circostanze attenuanti generiche), dall’altro, la protrazione della condotta illecita per tre anni e la sua insidiosità, in quanto aveva consentito di eludere il sistema di trasparenza nella circolazione dei veicoli e di non corrispondere oneri allo Stato (per la quantificazione della pena).
Ora, non si reputa che l’individuazione di questi ultimi parametri costituisca un passaggio argomentativo che renda manifestamente illogica la motivazione avversata laddove non ha, implicitamente, ritenuto socialmente pericoloso il COGNOME. Se la pericolosità sociale è – a lume dell’art. 203 cod. pen. – la probabilità che l’imputato commetta altri reati, i caratteri negativi della condotta evidenziati in malam partem ai fini del trattamento sanzionatorio (peraltro per giustificare un discostamento di soli sei mesi dalla pena minima del reato posto a base del calcolo) non costituiscono la spia di un vizio motivazionale perché non recano in sé una valutazione inequivoca di pericolosità sociale. Solo una frattura logica manifesta, infatti, potrebbe consentire di censurare la decisione avversata
e tale evidenza non ricorre nel caso di specie; né il ricorso, nell’enfatizzare le caratteristiche dell’addebito dimostra che i pretesi caratteri di pericolosità sociale del prevenuto fossero stati recepiti nella sentenza impugnata, sì da dubitare della tenuta logica della decisione quando non ne ha tratto le conseguenze possibili ex art. 235 cod. pen.
P.Q.M.
rigetta il ricorso del Procuratore generale. Così deciso il 29/05/2024.