Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7702 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 7702  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/01/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di SASSARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette GLYPH le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
 Il Tribunale di sorveglianza di Sassari, con ordinanza in data 19/01/2023, ha respinto l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso il provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza aveva disposto nei suoi confronti l’espulsione a titolo di sanzione alternativa, ai sensi dell’art. 16 comma 5 d.lgs. n. 286 del 1998.
Il Tribunale, in particolare, ha rilevato che era rimasta indimostrata la sussistenza della causa ostativa costituita dal pericolo per il condannato di essere sottoposto, nel paese natio, a persecuzioni per motivi religiosi o che potrebbe subire ritorsioni da organizzazioni criminali ivi operanti.
Nell’impugnata ordinanza viene poi rimarcata la pericolosità sociale dell’istante, più volte condannato per narcotraffico, nonché l’esistenza di tutti i presupposti per l’espulsione come misura alternativa alla detenzione.
Ricorre il condannato, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, che lamenta, con un unico articolato motivo, la violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. per mancanza, manifesta e logicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla ritenuta insussistenza delle condizioni di cui all’art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998.
Sotto un primo profilo il ricorrente lamenta la mancata disamina ed il sostanziale fraintendimento delle produzioni difensive in ordine alla situazione di pericolo per i cristiani in Nigeria: il Tribunale di Sassari non ha valutato i reports di RAGIONE_SOCIALE per il 2021 e 2022 prodotti dalla difesa, considerando solo quello del 2020; l’affermazione che il condannato avrebbe dovuto comprovare, mediante la produzione del certificato di battesimo, la fede cristiana introduce una sorta di probatio diabolica dal momento che le condizioni personali del condannato, in Italia da anni, detenuto da tempo, senza più famigliari in Nigeria, rendono pressoché impossibile l’ottenimento di tale documento.
Sotto un secondo profilo, la difesa censura l’impugnato provvedimento avuto riguardo al mancato riconoscimento della situazione in cui versa il condannato per avere reso dichiarazioni contro i cu/ts nigeriani.
Il Procuratore Generale, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, con requisitoria scritta, ha concluso chiedendo declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
L’espulsione dello straniero condannato e detenuto in esecuzione di pena, prevista dall’art. 16, comma 5, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, riservata alla competenza del giudice di sorveglianza ed avente natura amministrativa, costituisce un’atipica misura alternativa alla detenzione, finalizzata ad evitare il sovraffollamento carcerario, della quale è obbligatoria l’adozione in presenza delle condizioni fissate dalla legge e fatta salva la ricorrenza di una tra le cause ostative previste dal successivo art. 19 del medesimo plesso normativo (Sez. 1, n. 45601 del 14/12/2010, Turtulli, Rv. 249175).
Come detto, il regime dell’espulsione amministrativa contempla una serie di limiti all’adozione della misura, previsti dall’art. 19, commi 1 e 2, d.lgs. 25 luglio 1998, n 286, e pacificamente applicabili anche all’espulsione quale misura alternativa alla detenzione. Al comma 1, in particolare, si prevede che «In nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione», mentre il successivo comma vieta «il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti», specifica che «Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani» ed afferma, quindi, che «non sono altresì ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica».
Il provvedimento impugnato, vagliato alla luce delle disposizioni teste citate, appare pienamente legittimo.
Il Tribunale ha invero osservato che l’odierno ricorrente, nel proporre reclamo avverso il provvedimento di espulsione, si è limitato a sostenere, in modo tangibilmente generico e senza il conforto del benché minimo supporto documentale, di essere di religione cristiana, di talchè la denunciata pretermissione della valutazione di documentazione attestante la persecuzione dei cristiani in Nigeria non si appalesa, all’evidenza, decisiva.
Generiche sono state infine ritenute le doglianze in punto di pericolo di ritorsioni da parte di organizzazioni criminale operanti in Nigeria: il Tribunale ha analizzato le fonti di prova offerte alla sua valutazione da parte della difesa del condannato, rilevando, del tutto condivisibilmente, come da esse non emergesse alcune serio
elemento dal quale trarre che NOME, se espulso, potrebbe subire ritorsioni d tali organizzazioni.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pe la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilit (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 3 novembre 2023