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Espulsione straniero: quando non è alternativa al carcere

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino straniero contro l’ordinanza di espulsione straniero come misura alternativa alla detenzione. Il ricorrente sosteneva un rischio di persecuzione religiosa e ritorsioni nel suo paese d’origine, ma la Corte ha ritenuto le sue affermazioni generiche e prive di adeguato supporto probatorio, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Espulsione Straniero: il Rischio di Persecuzione va Provato Concretamente

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7702/2024, è tornata a pronunciarsi su un tema delicato: l’espulsione straniero come misura alternativa alla detenzione. La pronuncia chiarisce un principio fondamentale: per opporsi a tale misura, non è sufficiente affermare genericamente di essere a rischio di persecuzione nel proprio Paese d’origine, ma è necessario fornire elementi di prova concreti e specifici. Analizziamo insieme la vicenda e le motivazioni della Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un cittadino straniero, condannato per reati legati al narcotraffico, per il quale il Magistrato di Sorveglianza aveva disposto l’espulsione dal territorio nazionale come sanzione alternativa alla pena detentiva. L’uomo si era opposto a tale provvedimento davanti al Tribunale di Sorveglianza, sostenendo che il rimpatrio lo avrebbe esposto a gravi pericoli.

In particolare, adduceva due motivi:
1. Il rischio di persecuzione religiosa, in quanto di fede cristiana in un Paese, la Nigeria, noto per le violenze contro tale comunità.
2. Il pericolo di ritorsioni da parte di organizzazioni criminali locali, contro le quali avrebbe reso dichiarazioni.

Il Tribunale di Sorveglianza aveva respinto l’opposizione, ritenendo indimostrata la sussistenza di tali pericoli e sottolineando la pericolosità sociale del soggetto. Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando un’errata valutazione delle prove e delle norme che vietano l’espulsione in caso di rischio per la persona.

La Normativa sull’Espulsione Straniero e le Cause Ostative

La misura dell’espulsione come alternativa alla detenzione è prevista dall’art. 16, comma 5, del D.Lgs. 286/1998 (Testo Unico sull’Immigrazione). Si tratta di uno strumento finalizzato a ridurre il sovraffollamento carcerario, la cui adozione è obbligatoria in presenza delle condizioni di legge.

Tuttavia, la stessa normativa, all’art. 19, pone dei limiti invalicabili. L’espulsione non può mai essere disposta verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, religione, opinioni politiche o condizioni personali. Allo stesso modo, è vietata se esistono fondati motivi di ritenere che la persona rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti. La valutazione di tali rischi deve tener conto anche della situazione generale dei diritti umani nel Paese di destinazione.

Le Motivazioni della Cassazione: la Genericità non è Sufficiente

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Il punto centrale delle motivazioni risiede nell’onere della prova che grava su chi si oppone all’espulsione straniero.

Secondo gli Ermellini, il ricorrente si è limitato a sostenere in modo ‘tangibilmente generico’ e ‘senza il conforto del benché minimo supporto documentale’ di essere di religione cristiana. La semplice affermazione, non corroborata da alcun elemento, non è sufficiente a integrare la causa ostativa prevista dalla legge. Pertanto, la doglianza relativa alla mancata valutazione di alcuni report internazionali sulla persecuzione dei cristiani in Nigeria è stata ritenuta non decisiva, proprio perché mancava il presupposto fondamentale: la prova della sua appartenenza a quella confessione religiosa.

Anche le lamentele relative al pericolo di ritorsioni da parte di organizzazioni criminali sono state giudicate generiche. La difesa non ha fornito alcun elemento concreto da cui si potesse desumere un rischio effettivo e attuale per l’incolumità del condannato in caso di rimpatrio.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio di rigore probatorio: chi invoca una causa ostativa all’espulsione, come il rischio di persecuzione, ha l’onere di allegare e dimostrare in modo specifico e concreto i fatti posti a fondamento della propria richiesta. Le affermazioni generiche sulla situazione del Paese di origine o sulla propria condizione personale, se non supportate da elementi oggettivi, non sono idonee a paralizzare l’applicazione di una misura che, per legge, è obbligatoria al ricorrere di determinate condizioni. Di conseguenza, il provvedimento di espulsione è stato ritenuto pienamente legittimo.

Quando può essere disposta l’espulsione di un cittadino straniero come sanzione alternativa alla detenzione?
Può essere disposta, ai sensi dell’art. 16, comma 5, del d.lgs. 286/1998, nei confronti di un cittadino straniero condannato e detenuto. È una misura finalizzata a ridurre il sovraffollamento carcerario e la sua adozione è obbligatoria se sussistono le condizioni previste dalla legge, a meno che non ricorrano specifiche cause ostative.

Quali sono i principali limiti all’espulsione di uno straniero?
Secondo l’art. 19 del d.lgs. 286/1998, l’espulsione è vietata se lo straniero rischia, nel Paese di destinazione, di subire persecuzioni (per motivi di razza, sesso, religione, etc.), tortura, o trattamenti inumani e degradanti. È altresì vietata se l’allontanamento comporta una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, salvo ragioni di sicurezza nazionale o ordine pubblico.

È sufficiente dichiararsi a rischio di persecuzione per bloccare l’espulsione straniero?
No. Secondo questa sentenza, non è sufficiente un’affermazione generica. La persona che si oppone all’espulsione ha l’onere di fornire un supporto probatorio, anche minimo, a sostegno delle proprie affermazioni. La mancanza di prove concrete rende la doglianza infondata e non impedisce l’applicazione della misura alternativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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