Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12483 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12483 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 15/06/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di SASSARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO per l’inammissibilità.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Sorveglianza di Sassari, con ordinanza in data 15/6/2023, depositata il 16/6/2023, ha rigettato l’opposizione proposta da COGNOME RAGIONE_SOCIALE avverso il provvedimento con il quale il Magistrato di Sorveglianza di Nuoro il 6/4/2023 ha disposto l’espulsione del condannato ai sensi dell’art. 16 D.Lvo 286/1998.
Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’interessato che, a mezzo del difensore, ha dedotto i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 143, 178, 179 cod. proc. pen. Nel primo motivo la difesa rileva che la soluzione cui è pervenuto il Tribunale di sorveglianza, ritenendo non fondata l’eccezione di nullità del provvedimento impugnato sebbene non tradotto, sarebbe errata e comunque illogica. Dallo stesso svolgimento della fase avanti al Tribunale, nel
corso della quale è stato necessario nominare un interprete, infatti, sarebbe emerso che il condannato non conosce la lingua italiana e che, pertanto, era necessario tradurre, a pena di nullità, il provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 10 cost. e 19 D.Lvo 286/1998. Nel secondo motivo la difesa evidenzia che il Tribunale, non tenendo nella dovuta considerazione la situazione sociale e politica nella quale si trova attualmente la Tunisia, non avrebbe adeguatamente valutato l’esistenza di un rischio serio e concreto che il ricorrente sia sottoposto a trattamenti disumani o degradanti, con ciò violando la normativa interna e internazionale, che impone di procedere a un’attenta verifica sul punto. Nello specifico, d’altro canto, considerato che in Tunisia non è previsto il divieto di bis in idem, il ricorrente rischierebbe di essere catturato per scontare nuovamente la pena già espiata in Italia, pena che peraltro sarebbe eseguita con modalità disumane e degradanti, con l’ulteriore rischio di subire anche atti di tortura.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 1 e 3 n. 241190, art. 5 e 14 Dir. CEE n. 105/08 e del principio di proporzionalità della misura inflitta rispetto alla gravità della violazione commessa.
In data 19 luglio 2023 sono pervenute in cancelleria le conclusioni scritte con le quali il AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO. NOME COGNOME ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Nel primo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 143, 178, 179 cod. proc. pen. con riferimento alla mancata traduzione del provvedimento del Magistrato di sorveglianza impugnato.
La doglianza è infondata.
L’art. 143, comma 2 cod. proc. pen., indica quali sono gli atti che devono essere tradotti e tra questi non è compreso alcuno dei provvedimenti emessi nel procedimento di sorveglianza.
L’elencazione contenuta nella norma è tassativa e non è possibile estendere la disposizione ad atti che in questa non sono espressamente previsti.
Né, d’altro canto, può ritenersi che al provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza, atto del processo penale, possa applicarsi la disposizione che si
riferisce al decreto di allontanamento di ali all’art. 13, comma 2, D.Ivo 286 del 1998, emesso all’esito di una diversa e distinta procedura di natura amministrativa.
Sotto altro profilo, poi, deve evidenziarsi che la mancata traduzione del provvedimento, seppure il condannato non conosca la lingua italiana, costituisce un adempimento successivo alla formazione dell’atto che non ne determina la nullità quanto, piuttosto, potrebbe al più influire sull’individuazione della data dalla quale computare il termine per impugnare (Sez. 6, n. 40556 del 21/09/2022, COGNOME, Fernandez, Rv. 283965 – 01: «La mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all’imputato alloglotto che non conosce la lingua italiana non integra un’ipotesi di nullità ma, se vi sia stata specifica richiest della traduzione, i termini per impugnare, nei confronti del solo imputato, decorrono dal momento in cui egli abbia avuto conoscenza del contenuto del provvedimento nella lingua a lui nota»; nello stesso senso Sez. 2, n. 45408 del 17/10/2019. Kartivadze, Rv. 277775 – 01).
Anche in tale prospettiva, pertanto, la nomina di un interprete che, come indicato nel provvedimento, impugnato, ha provveduto a tradurre al detenuto il decreto durante l’udienza, consentendogli così anche di interloquire e partecipare attivamente e consapevolmente all’udienza stessa, ha garantito al condannato un pieno e consapevole esercizio del diritto di difesa, ciò anche considerato che l’impugnazione era già stata proposta e che non è stato chiesto alcun ulteriore termine o rinvio per approfondire ovvero estendere l’impugnazione a seguito della traduzione completa del decreto.
Nel secondo e nel terzo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 10 cost. e 19 D.Lvo 286/1998, nonché agli artt. 1 e 3 n. 241190, art. 5 e 14 Dir. CEE n. 105/08 in ordine alla mancata valutazione delle cause ostative all’espulsione, anche con riferimento al principio di proporzionalità della misura inflitta rispetto alla gravità della violazion commessa.
Le doglianze, formulate in termini generici, sono infondate.
Il Tribunale, infatti, con il riferimento alla presenza irregolare in Italia d condannato e all’assenza delle condizioni di cui all’art. 19 D.Lvo 286 del 1998, ha fornito adeguata e coerente risposta alle analoghe censure esposte, ora reiterate.
Nel ricorso, d’altro canto, il pericolo che i diritti fondamentali del ricorrent siano violati è evidenziato in termini ipotetici e astratti, così come anche il rischio che lo stesso sia sottoposto a trattamenti disumani e degradanti ovvero che
possa essere costretto a espiare una seconda volta la pena per il medesimo reato per cui è stato giudicato in Italia.
Ciò anche considerato che le censure e gli atti, anche internazionali pure allegati all’impugnazione, fanno tutti riferimento alla situazione generale della Tunisia, senza che vi sia alcuna indicazione di un concreto ed effettivo pericolo che questi riguardino la specifica posizione dell’imputato così come non è evidenziato alcun elemento effettivo dal quale desumere che il ricorrente possa essere perseguito per le proprie opinioni politiche o per altre ragioni.
Nulla, inoltre, si evidenzia nell’impugnazione in ordine alla necessità che il condannato avrebbe di rimanere in Italia per motivi familiari.
Ragione quest’ultima per cui la censura sollevata in ordine alla mancata valutazione della proporzione tra la misura disposta e la violazione commessa (cioè in ordine alla pericolosità sociale del condannato) è priva di specificità, non potendo all’evidenza essere idonea a escluderla la disponibilità manifestata dalla RAGIONE_SOCIALE per l’espletamento di permessi premio ovvero di accogliere il condannato una volta conclusa la detenzione presso propria struttura (Sez. 1, n. 45973 del 30/10/2019, COGNOME, Rv. 277454 – 01 circa la necessità di valutare, oltre all’assenza di condizioni ostative ex art. 19 D.Lvo 286/1998, l’esistenza di legami familiari nel territorio nazionale al fine di verificare la pericolosità sociale del condannato).
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.111.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso 1’11 dicembre 2023
Il Constgiere estensore
Il Presidente