Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14513 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14513 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/10/2023 dei TRIB. SORVEGLIANZA di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Visti letti i
gli atti e l’ordinanza impugnata; motivi del ricorso;
considerato che l’espulsione dello straniero condannato e detenuto in esecuzione di pena, prevista dall’art. 16, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, riservata alla competenza del giudice di sorveglianza ed avente natura amministrativa, costituisce un’atipica misura alternativa alla detenzione, finalizzata ad evitare il sovraffollamento carcerario, della quale è obbligatoria l’adozione in presenza delle condizioni fissate dalla legge e fatta salva la ricorrenza di una tra le cause ostative previste dal successivo art. 19 del medesimo plesso normativo (Sez. 1, n. 45601 del 14/12/2010, Turtulli, Rv. 249175);
che il regime dell’espulsione amministrativa contempla, come sopra anticipato, una serie di limiti all’adozione della misura, previsti dall’art. 19, commi 1, 1.1. e 2, d.lgs. 25 luglio 1998, n 286, e pacificamente applicabili anche all’espulsione quale misura alternativa alla detenzione;
che, tra le situazioni che impediscono l’adozione del provvedimento espulsivo è compresa la convivenza con parenti entro il secondo grado o con il coniuge di nazionalità italiana, cui in via interpretativa si equipara la convivenza more uxorio con un cittadino italiano, alla luce della parificazione del «contratto di convivenza» al matrimonio civile, operata dalla legge 20 maggio 2016, n. 76, e del convivente di fatto al coniuge, ai fini dell’esercizio delle facoltà previste dall’ordinamento penitenziario, operata dall’art. 1, comma 38, della citata legge (Sez. 1, n. 16385 del 15/03/2019, COGNOME, Rv. 276184; Sez. 1, n. 44182 del 27/06/2016, COGNOME, Rv. 268038);
che l’art. 7 del D.I. 10 marzo 2023, n. 20, convertito dalla Legge 5 maggio 2023, n. 50, ha soppresso il terzo e quarto periodo del comma 1.1. dell’alt 19 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ove veniva indicata, quale ulteriore causa ostativa all’espulsione, l’esistenza di fondati motivi che inducano a ritenere «che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica, nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n. 722, e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea»;
che, quindi, l’autorità giudiziaria, ha correttamente rilevato, nel caso di specie, l’inesistenza di ragioni ostative all’espulsione e concluso per l’obbligatorietà dell’adozione della misura dell’espulsione, atteso che l’interessato non conviveva con i familiari presenti in Italia e che, ad ogni modo, il
comportamento violento da cui è scaturita la condanna in esecuzione è stato rivolto proprio nei confronti della moglie e dei figli;
rilevato che le doglianze del ricorrente sono manifestamente infondate in quanto riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliate dal decidente, il quale ha preso in considerazione i vincoli familiari dell’interessato nonché i provvedimenti giurisdizionali contenenti la previsione di futuri colloqui con i figli, ritenendo tuttavia, con motivazione non illogica, che detti elementi non siano ostativi all’adozione del decreto di espulsione;
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22 febbraio 2024.