Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 200 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 200 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 20/04/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del procuratore generale, nella persona del sostituto procuratore NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto, con requisitoria scritta, l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 20 aprile 2023 il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo proposto da NOME avverso il provvedimento di espulsione emesso in data 26 settembre 2022 dal Magistrato di sorveglianza di Viterbo ai sensi dell’art. 16, comma 5, d.lgs. n. 286/1998.
Il Tribunale ha respinto il reclamo ribadendo l’insussistenza di circostanze ostative, in particolare quanto alla situazione familiare, essendo il NOME risultato non convivente con coniuge italiana o con parenti entro il secondo grado, non nelle condizioni previste dall’art. 16, comma 9, d.lgs. n. 28611998, e non avendo egli documentato alcun pericolo di essere sottoposto a trattamenti degradanti o inumani nel proprio Paese di origine.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME, per mezzo del difensore AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo con il quale deduce la erroneità e illogicità della motivazione.
Nell’ordinanza impugnata il Tribunale fa riferimento a tale “NOME“, soggetto diverso dal ricorrente, e al pericolo di subire trattamenti degradanti o inumani, che egli non ha mai affermato, in quanto non sussistente nel proprio Paese di origine, il Bangladesh.
Il reclamo contro l’ordinanza era fondato sulla sussistenza delle condizioni di cui all’art. 16, comma 9, d.lgs. n. 286/1998′ in quanto il ricorrente era munito del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, che non gli è stato mai revocato, anche se non è stato rinnovato a causa del suo stato di detenzione. Peraltro, benché privo del permesso di soggiorno, egli ha usufruito più volte di permessi-premio nonché dell’autorizzazione al lavoro esterno.
La motivazione del provvedimento impugnato è quindi errata, contraddittoria, illogica ed emessa ultra petitum.
Il Procuratore generale , con requisitoria scritta, ha chiesto l’accoglimento del ricorso, essendo il provvedimento impugnato relativo a tale “NOME“, persona diversa dall’istante.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, e deve essere rigettato.
1.1. In primo luogo è infondata l’affermazione della erroneità dell’ordinanza perché, nella sua parte motiva, l’istante viene talvolta indicato con il nome “NOME“. Trattasi palesemente di un mero refuso, che non crea alcun dubbio
circa l’identità del detenuto oggetto della decisione. Il predetto nominativo errato viene utilizzato solo due volte, mentre nell’indicazione dei motivi dell’opposizione e nel periodo finale della motivazione l’istante viene correttamente citato come “NOME“. Inoltre il provvedimento impugnato, valutato dal Tribunale di sorveglianza, viene descritto con precisione come il «provvedimento del 26.9.2022» emesso dal «Magistrato di sorveglianza di Viterbo» nei confronti di «NOME nato in Bangladesh il 12.12.1972, in atto detenuto presso CC Viterbo».
Non può sorgere, quindi, alcun dubbio circa il provvedimento esaminato dal Tribunale di sorveglianza e circa l’identità dell’opponente, e l’errore materiale rilevato dal ricorrente è del tutto ininfluente sulla correttezza formal dell’ordinanza emessa.
Nel criticare il merito del provvedimento impugnato il ricorrente non indica, in realtà, alcuna delle circostanze che, secondo la legge, ostano all’applicazione dell’espulsione ai sensi dell’art. 16, comma 5, d.lgs. n. 286/1998: tale espulsione è prevista come obbligatoria, se sussistono le condizioni stabilite, e il ricorrente rientra nei casi dell’art. 13, comma 2, d.lgs. n. 286/1998, avendo il permesso di soggiorno scaduto da oltre 60 giorni e non rinnovato a causa del suo stato di detenzione (motivo per cui il rinnovo sarebbe stato rifiutato, se richiesto). Egli, di fatto, non nega che sussistano tutte le condizioni per l’applicazione della misura in questione, e ritiene illogico e contraddittorio il provvedimento del Tribunale di sorveglianza, che non ha accolto il suo reclamo, solo perché egli aveva in passato il permesso di soggiorno et( ha tenuto un comportamento
1.2. E’ infondata anche l’affermazione della erroneità e illogicità, nel merito, dell’ordinanza impugnata. Il Tribunale ha ritenuto sufficienl:emente motivato il provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza, e ha ribadito la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per l’applicazione dell’espulsione ai sensi dell’art. 16, comma 5, d.lgs. n. 286/1998 e l’insussistenza dei motivi ostativi all’espulsione costituiti dalle relazioni familiari o affettive e dal perico subire, nel Paese di origine, trattamenti degradanti o disumani. La censura relativa all’avere il Tribunale valutato quest’ultima situazione, benché non eccepita nell’atto di opposizione, è infondata, perché il Tribunale era in ogni caso tenuto a verificare l’insussistenza di tale pericolo, essendo obbligato a revocare l’espulsione qualora lo avesse, al contrario, rilevato, anche in assenza di una sollecitazione in tal senso da parte dell’interessato: è infatti doveroso, i applicazione dei principi costituzionali e della norma di cui all’art. 19 d.lgs. 286/1998, non esporre un detenuto al rischio di subire simili trattamenti o atti di persecuzione per motivi di razza, lingua, sesso, cittadinanza, opinioni politiche o religiose, condizioni personali o sociali. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
corretto durante la sua detenzione, tanto da avere ottenuto vari permessi premio e l’autorizzazione a lavorare all’esterno della struttura carceraria.
Tali elementi, però, sono irrilevanti in ordine all’applicabilità dell’espulsio in questione che, come detto, è prevista come obbligatoria quando sussistono le condizioni stabilite dalla legge (vedi Sez. 1, n. 45601 del 14/12/2010, Rv. 249175).
1.3. Le circostanze ostative all’applicazione di tale forma di espulsione, diverse da quelle attinenti alla natura dei reati per i quali il soggetto è sta condannato, previste dallo stesso art. 16, comma 5, d.lgs, n. 286/1998, sono quelle stabilite dall’art. 19 I.cit..
Questa norma ha subito numerose modificazioni nell’arco del tempo. All’epoca di emanazione del decreto legislativo essa vietava l’espulsione dello straniero maschio maggiorenne nel caso che, nel Paese di destinazione, egli corresse il pericolo di essere sottoposto a persecuzione, e nel caso che fosse in possesso della carta di soggiorno o convivente con parenti entro il quarto grado o coniuge di nazionalità italiana. La sentenza della Corte costituzionale n. 376/2000 stabilì tale divieto anche per il marito convivente con donna in gravidanza e nei sei mesi successivi alla nascita del figlio. La legge n. 94/2009 limitò il divieto di espulsione per i rapporti di parentela alla convivenza con parenti italiani di secondo grado. Il d.l. n. 89/2011 introdusse il comma 2-bis, che prescrive una particolare attenzione per l’espulsione di soggetti appartenenti a categorie “fragili” specificamente elencate. La legge n. 47/2017 introdusse il comma 1-bis, relativo ai minori non accompagnati, e la legge n. 110/2017 introdusse il comma 1.1., che vieta l’espulsione anche nei Paesi ove il soggetto corre il rischio di essere sottoposto a tortura, o nei Paesi segnalati per le sistematiche e gravi violazioni dei diritti umani. Il d.l. n. 113/2018 introdusse, a comma 2, la lettera d-bis), che stabilisce una particolare procedura per l’espulsione dello straniero che versa in condizioni di salute di rilevante gravità. Il d.l. n. 130/2020, e la legge di conversione n. 173/2020, introdussero il comma 1.2., relativo al caso del rigetto della domanda di protezione internazionale, e alcune modifiche ai commi 1.1., 1.2 e 2 cl-bis), in particolare stabilendo, al comma 1.1., il divieto di espulsione qualora essa comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita personale e familiare, tenuto conto anche dell’inserimento sociale e della durata del soggiorno in Italia. Quest’ultimo divieto è stato però cancellato con il d.l. n.20/2023, in vigore dall’11/03/2023, e con la legge di conversione n. 50/2023, in vigore dal 06/05/2023. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
L’evoluzione della norma dimostra che in nessuna epoca sono stati introdotti divieti di espulsione astrattamente operanti nella presente situazione, tale non essendo neppure il divieto di espulsione quando essa comporti una violazione del
diritto al rispetto della propria vita personale e familiare dello straniero, come ricorso sembra voler indicare quando fa riferimento all’avere il NOME ottenuto, in passato, un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo. L’affermazione è, invero, del tutto generica, in quanto il ricorrente non precisa neppure a quando risalisse tale permesso, per quanti anni è stato efficace, da quanto tempo è scaduto e se egli ne abbia mai chiesto il rinnovo, pur ammettendo di essere, al momento, sprovvisto di un titolo che legittimi la permanenza in Italia. Inoltre egli non afferma neppure di essere soggiornante in Italia da molti anni e ben inserito nel tessuto sociale, o di avere qui legami parentali significativi.
Peraltro, deve sottolinearsi che la normativa che vietava l’espulsione in simili situazioni, da valutare nel merito, è stata abrogata in epoca precedente all’emissione dell’ordinanza impugnata, e questa Corte ha stabilito che «L’espulsione dello straniero, prevista dall’art. 16, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, quale misura alternativa alla detenzione avente natura amministrativa, in quanto finalizzata della riduzione del sovraffollamento carcerario, non è soggetta alle regole in tema di successione di leggi nel tempo che, secondo le indicazioni espresse dalla sentenza Corte Cost. n. 32 del 2020, limitano l’applicabilità della legge “peggiorativa” ai fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore» (Sez. 1, n. 4645 del 14/09/2021, dep. 2022, Rv. 282589), con la conseguenza che alla misura dell’espulsione stabilita dall’art. 16, comma 5, d.lgs. n. 286/1998 deve essere applicata la legge vigente all’epoca della decisione.
L’ordinanza impugnata è quindi adeguatamente motivata, avendo accertato la sussistenza delle condizioni di legge per disporre l’espulsione del ricorrente, e l’assenza delle circostanze ostative previste dall’art. 19 d.lgs. n. 28/1998.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere respinto, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25 ottobre 2023
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE