Espulsione Straniero: Oltre il Permesso di Soggiorno, i Criteri della Cassazione
L’espulsione dello straniero dal territorio nazionale a seguito di una condanna penale è una misura di sicurezza che solleva questioni delicate sul bilanciamento tra la sicurezza collettiva e i diritti individuali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 2470/2024) offre un’importante chiave di lettura sui criteri che il giudice deve adottare per valutare la pericolosità sociale del condannato, andando oltre la semplice verifica della regolarità del soggiorno.
I Fatti del Caso: Condanna e Ordine di Espulsione
Il caso riguarda un cittadino albanese condannato, a seguito di patteggiamento, per un reato previsto dalla legge sugli stupefacenti (art. 73, d.P.R. 309/1990). Oltre alla pena detentiva, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena aveva disposto la sua espulsione dal territorio dello Stato a pena espiata, ai sensi dell’art. 86 dello stesso d.P.R.
L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione contestando la legittimità dell’ordine di espulsione. La difesa sosteneva che tale misura non fosse stata oggetto dell’accordo di patteggiamento e che il giudice avesse motivato la pericolosità sociale in modo insufficiente, basandosi esclusivamente sull’assenza di un permesso di soggiorno e di legami familiari.
Le Argomentazioni della Difesa
Nel suo ricorso, l’imputato ha cercato di dimostrare la propria integrazione e la mancanza di pericolosità sociale, evidenziando diversi elementi:
* Era incensurato.
* Frequentava l’Italia da circa dieci anni.
* Aveva ammesso le proprie responsabilità sin dall’inizio.
* Aveva trovato un alloggio presso un amico e reperito un’attività lavorativa stabile.
* Il padre aveva sempre lavorato regolarmente in Italia e altri familiari vivevano nel Paese.
* Durante il periodo di arresti domiciliari, non si era mai dato alla fuga.
Secondo la difesa, il giudice avrebbe dovuto effettuare un’analisi più approfondita, bilanciando l’interesse alla sicurezza con il diritto del condannato alla vita familiare e sociale in Italia.
La Valutazione della Corte e l’Espulsione dello Straniero
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Secondo gli Ermellini, la decisione del giudice di prime cure non era affatto superficiale. La valutazione della pericolosità sociale, presupposto per l’espulsione dello straniero, non si era limitata alla sola assenza del permesso di soggiorno.
Il Tribunale aveva infatti considerato un quadro più ampio, che includeva:
1. La mancanza di un permesso di soggiorno.
2. L’assenza di legami familiari stabili nel territorio nazionale.
3. L’ammissione dello stesso imputato di essere venuto in Italia più volte solo per svolgere “lavoro in nero”.
Questi tre elementi, considerati insieme, sono stati ritenuti dalla Corte “circostanze di fatto senza dubbio sintomatiche di un pericolo di recidiva”.
Le Motivazioni della Decisione
La Suprema Corte ha sottolineato che le argomentazioni difensive, volte a dimostrare un possibile sostentamento lecito in Italia, non erano state “specificamente dimostrate”. Mancavano, cioè, prove concrete e sufficienti per contrastare il quadro indiziario che suggeriva un rischio di ricaduta nel crimine. In altre parole, la mera affermazione di avere un lavoro o un alloggio non basta se non supportata da elementi probatori solidi.
Inoltre, la Corte ha precisato che il richiamo a una precedente ordinanza cautelare, che aveva concesso gli arresti domiciliari anziché il carcere, non era pertinente. Quella decisione era focalizzata principalmente sul pericolo di fuga, mentre la valutazione per l’espulsione riguarda il pericolo di reiterazione del reato, ovvero la pericolosità sociale. Le due valutazioni si basano su presupposti differenti.
Il giudice ha quindi legittimamente esercitato il suo potere di disporre l’espulsione, anche se non prevista nell’accordo di patteggiamento, basando il suo giudizio su un’analisi complessiva della condizione personale e sociale dell’imputato.
Conclusioni: Cosa Insegna Questa Sentenza
La sentenza n. 2470/2024 della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la valutazione per l’espulsione dello straniero non è un automatismo legato alla sua condizione di irregolarità amministrativa. Il giudice deve compiere un’analisi concreta e globale della sua pericolosità sociale.
Tuttavia, la pronuncia chiarisce anche che la mancanza di un radicamento stabile e lecito nel territorio (dimostrato non solo dall’assenza di permesso di soggiorno, ma anche da un passato di lavoro irregolare e da legami familiari deboli) costituisce un fattore preponderante. Per un condannato straniero, evitare l’espulsione richiede la prova concreta e documentata di un reale percorso di integrazione sociale e lavorativa, che vada oltre le semplici dichiarazioni di intenti.
La sola assenza del permesso di soggiorno giustifica l’espulsione dello straniero dopo una condanna?
No, non da sola. La Corte di Cassazione chiarisce che l’assenza del permesso di soggiorno è un elemento importante, ma la decisione sull’espulsione deve basarsi su una valutazione complessiva della pericolosità sociale dell’individuo, che può includere altri fattori come la mancanza di legami familiari stabili e una storia di lavoro irregolare.
L’imputato può evitare l’espulsione dimostrando di avere una possibilità di lavoro o un alloggio?
Non necessariamente. Secondo la sentenza, queste circostanze devono essere “specificamente dimostrate”. La semplice affermazione di avere trovato lavoro o un alloggio non è sufficiente se non supportata da prove concrete che possano convincere il giudice dell’esistenza di un percorso di integrazione lecito e stabile.
Se l’espulsione non era parte dell’accordo di patteggiamento, il giudice può comunque disporla?
Sì. La sentenza conferma che il giudice, nell’applicare la pena su richiesta delle parti (patteggiamento), può disporre l’espulsione come misura di sicurezza ai sensi dell’art. 86 del d.P.R. 309/1990, anche se non era stata concordata tra l’imputato e il Pubblico Ministero. La valutazione sulla pericolosità sociale spetta al giudice.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2470 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2470 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME, nato a Pojan (Albania) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/05/2023 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena;
visti gli atti del procedimento, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con atto del proprio difensore, il cittadino albanese NOME COGNOME impugna la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena dello scorso 24 maggio, nella parte in cui, applicandogli la pena a norma dell’art. 444, cod. proc. pen., per il reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, ha disposto la sua espulsione dal territorio dello Stato a pena espiata, a norma dell’art. 86 dello stesso d.P.R..
Premesso che l’espulsione non ha formato oggetto dell’accordo con il Pubblico ministero e che il giudice ha giustificato il sottostante giudizio di
pericolosità dell’imputato esclusivamente per l’assenza di legami familiari e del permesso di soggiorno, obietta il ricorso, con richiami di giurisprudenza di legittimità: che la mancanza di un valido titolo di soggiorno non giustifica di per sé la prognosi di recidiva; che si tratta di soggetto incensurato; che frequenta l’Italia da circa dieci anni; che ha ammesso l’addebito sin dall’udienza di convalida del suo arresto; che, appena tratto in arresto, ha ottenuto la disponibilità di un suo amico ad essere ospitato presso l’abitazione dello stesso; che suo padre ha sempre lavorato regolarmente in Italia; che conosce correttamente la nostra lingua; che ha sùbito reperito una regolare e stabile attività lavorativa nel nostro Paese; che qui vivono suoi familiari; che, a distanza di vari mesi dall’applicazione degli arresti domiciliari, non si è dato alla fuga; che, pertanto, egli non ha alcu interesse a lasciare il territorio italiano.
Ha perciò concluso la difesa che il Giudice non abbia effettuato il corretto esame comparativo di tutte le circostanze di cui all’art. 133, cod. pen., invece necessario, nella prospettiva del bilanciamento tra l’interesse collettivo alla sicurezza e quello del condannato alla vita familiare, perciò incorrendo nei medesimi vizi di motivazione già censurati da questa Corte nell’annullare l’ordinanza del Tribunale di Bologna che aveva disposto la custodia in carcere dello NOME, in accoglimento dell’appello avanzato dal Pubblico ministero a norma dell’art. 310, cod. proc. pen..
Ha depositato requisitoria scritta il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, concludendo per il rigetto del ricorso.
Il ricorso non è fondato e dev’essere, perciò, respinto.
La sentenza impugnata, ai fini del giudizio di pericolosità dell’imputato e della conseguente espulsione dall’Italia, non si è limitata a valorizzare l’assenza di permesso di soggiorno, ma anche la sua mancanza di legami familiari nel nostro Paese, nonché la sua stessa ammissione di esser qui venuto varie volte ma solo per lavorare “in nero”: tutte circostanze di fatto senza dubbio sintomatiche di un pericolo di recidiva.
Per converso, quelle sulla base delle quali il ricorso intende dimostrare che, a prescindere dalla condizione d’irregolarità, NOME abbia la possibilità di un lecito sostentamento nel nostro territorio, così da escludere la probabilità di una sua ricaduta criminale, non sono specificamente dimostrate; mancano, perciò, elementi sufficienti per ritenere che il Tribunale sia incorso in un travisamento per omissione del quadro probatorio, non potendo invece questa Corte sindacare la mera valutazione di esso.
In effetti, il ricorso si limita soltanto ad evocare – ed allegare – una precedente ordinanza cautelare, che tuttavia aveva riguardato non tanto il pericolo di recidiva, quanto quello di fuga, ma che, soprattutto, non aveva escluso il pericolo di reiterazione, essendosi limitata esclusivamente a ritenere congrui gli arresti domiciliari in luogo della custodia in carcere. Sicché le valutazioni ivi rassegnate non si presentano decisive per confutare la statuizione impugnata.
Al rigetto del ricorso consegue obbligatoriamente la condanna al pagamento delle spese di giudizio (art. 616, cod. proc. pen.)
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 1’8 novembre 2023.