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Espulsione straniero: i criteri di valutazione

Un cittadino straniero impugna la sentenza che ne dispone l’espulsione a seguito di una condanna per spaccio. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, stabilendo che la valutazione della pericolosità sociale, necessaria per l’espulsione dello straniero, non si basa solo sulla mancanza del permesso di soggiorno, ma anche su altri indici concreti come l’assenza di legami familiari stabili e una storia di lavoro irregolare.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Espulsione Straniero: Oltre il Permesso di Soggiorno, i Criteri della Cassazione

L’espulsione dello straniero dal territorio nazionale a seguito di una condanna penale è una misura di sicurezza che solleva questioni delicate sul bilanciamento tra la sicurezza collettiva e i diritti individuali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 2470/2024) offre un’importante chiave di lettura sui criteri che il giudice deve adottare per valutare la pericolosità sociale del condannato, andando oltre la semplice verifica della regolarità del soggiorno.

I Fatti del Caso: Condanna e Ordine di Espulsione

Il caso riguarda un cittadino albanese condannato, a seguito di patteggiamento, per un reato previsto dalla legge sugli stupefacenti (art. 73, d.P.R. 309/1990). Oltre alla pena detentiva, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena aveva disposto la sua espulsione dal territorio dello Stato a pena espiata, ai sensi dell’art. 86 dello stesso d.P.R.

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione contestando la legittimità dell’ordine di espulsione. La difesa sosteneva che tale misura non fosse stata oggetto dell’accordo di patteggiamento e che il giudice avesse motivato la pericolosità sociale in modo insufficiente, basandosi esclusivamente sull’assenza di un permesso di soggiorno e di legami familiari.

Le Argomentazioni della Difesa

Nel suo ricorso, l’imputato ha cercato di dimostrare la propria integrazione e la mancanza di pericolosità sociale, evidenziando diversi elementi:

* Era incensurato.
* Frequentava l’Italia da circa dieci anni.
* Aveva ammesso le proprie responsabilità sin dall’inizio.
* Aveva trovato un alloggio presso un amico e reperito un’attività lavorativa stabile.
* Il padre aveva sempre lavorato regolarmente in Italia e altri familiari vivevano nel Paese.
* Durante il periodo di arresti domiciliari, non si era mai dato alla fuga.

Secondo la difesa, il giudice avrebbe dovuto effettuare un’analisi più approfondita, bilanciando l’interesse alla sicurezza con il diritto del condannato alla vita familiare e sociale in Italia.

La Valutazione della Corte e l’Espulsione dello Straniero

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Secondo gli Ermellini, la decisione del giudice di prime cure non era affatto superficiale. La valutazione della pericolosità sociale, presupposto per l’espulsione dello straniero, non si era limitata alla sola assenza del permesso di soggiorno.

Il Tribunale aveva infatti considerato un quadro più ampio, che includeva:

1. La mancanza di un permesso di soggiorno.
2. L’assenza di legami familiari stabili nel territorio nazionale.
3. L’ammissione dello stesso imputato di essere venuto in Italia più volte solo per svolgere “lavoro in nero”.

Questi tre elementi, considerati insieme, sono stati ritenuti dalla Corte “circostanze di fatto senza dubbio sintomatiche di un pericolo di recidiva”.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha sottolineato che le argomentazioni difensive, volte a dimostrare un possibile sostentamento lecito in Italia, non erano state “specificamente dimostrate”. Mancavano, cioè, prove concrete e sufficienti per contrastare il quadro indiziario che suggeriva un rischio di ricaduta nel crimine. In altre parole, la mera affermazione di avere un lavoro o un alloggio non basta se non supportata da elementi probatori solidi.

Inoltre, la Corte ha precisato che il richiamo a una precedente ordinanza cautelare, che aveva concesso gli arresti domiciliari anziché il carcere, non era pertinente. Quella decisione era focalizzata principalmente sul pericolo di fuga, mentre la valutazione per l’espulsione riguarda il pericolo di reiterazione del reato, ovvero la pericolosità sociale. Le due valutazioni si basano su presupposti differenti.

Il giudice ha quindi legittimamente esercitato il suo potere di disporre l’espulsione, anche se non prevista nell’accordo di patteggiamento, basando il suo giudizio su un’analisi complessiva della condizione personale e sociale dell’imputato.

Conclusioni: Cosa Insegna Questa Sentenza

La sentenza n. 2470/2024 della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la valutazione per l’espulsione dello straniero non è un automatismo legato alla sua condizione di irregolarità amministrativa. Il giudice deve compiere un’analisi concreta e globale della sua pericolosità sociale.

Tuttavia, la pronuncia chiarisce anche che la mancanza di un radicamento stabile e lecito nel territorio (dimostrato non solo dall’assenza di permesso di soggiorno, ma anche da un passato di lavoro irregolare e da legami familiari deboli) costituisce un fattore preponderante. Per un condannato straniero, evitare l’espulsione richiede la prova concreta e documentata di un reale percorso di integrazione sociale e lavorativa, che vada oltre le semplici dichiarazioni di intenti.

La sola assenza del permesso di soggiorno giustifica l’espulsione dello straniero dopo una condanna?
No, non da sola. La Corte di Cassazione chiarisce che l’assenza del permesso di soggiorno è un elemento importante, ma la decisione sull’espulsione deve basarsi su una valutazione complessiva della pericolosità sociale dell’individuo, che può includere altri fattori come la mancanza di legami familiari stabili e una storia di lavoro irregolare.

L’imputato può evitare l’espulsione dimostrando di avere una possibilità di lavoro o un alloggio?
Non necessariamente. Secondo la sentenza, queste circostanze devono essere “specificamente dimostrate”. La semplice affermazione di avere trovato lavoro o un alloggio non è sufficiente se non supportata da prove concrete che possano convincere il giudice dell’esistenza di un percorso di integrazione lecito e stabile.

Se l’espulsione non era parte dell’accordo di patteggiamento, il giudice può comunque disporla?
Sì. La sentenza conferma che il giudice, nell’applicare la pena su richiesta delle parti (patteggiamento), può disporre l’espulsione come misura di sicurezza ai sensi dell’art. 86 del d.P.R. 309/1990, anche se non era stata concordata tra l’imputato e il Pubblico Ministero. La valutazione sulla pericolosità sociale spetta al giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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