Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23439 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23439 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato in Marocco il DATA_NASCITA;
avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Brescia del 05/12/2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Brescia ha respinto l’opposizione proposta da NOME COGNOME contro il provvedimento del locale Magistrato di sorveglianza in data 4 ottobre 2023, con il quale era stata disposta nei suoi confronti l’espulsione dal territorio dello Stato quale sanzione sostitutiva della pena detentiva residua.
In particolare, il Tribunale di sorveglianza ha osservato che sussistevano tutte le condizioni richieste per legge ai fini della sanzione sostitutiva in oggetto e che non vi erano cause ostative stante l’assenza di un rapporto di convivenza del condannato con parenti entro il secondo grado nel territorio italiano.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insistendo l’annullamento del provvedimento impugnato.
Il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art.8 CEDU ed osserva che il Tribunale di sorveglianza ha errato nel ritenere necessario, come condizione ostativa alla espulsione, la convivenza con i parenti essendo invece sufficiente la loro presenza sul territorio italiano.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Invero, la giurisprudenza di legittimità, che si è sviluppata sul tema dei divieti all’espulsione quale sanzione sostitutiva della pena detentiva, si è orientata progressivamente a fare applicazione dei divieti generali di espulsione previsti dalla normativa di settore.
2.1. In particolare, è stato affermato (Sez. 1, n. 48950 del 07/11/2019, Merawarage, Rv. 277824) che, trattandosi di una forma di espulsione amministrativa, la stessa è soggetta alle medesime garanzie, in particolare quelle previste dall’art. 13, comma 2-bis, del citato d.lgs., che accompagnano l’omologa fattispecie espulsiva. Si è anche sostenuto che «in tema di espulsione dello straniero come misura alternativa alla detenzione ai sensi dell’art. 16, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, le cause ostative alla stessa, indicate nel successivo art. 19, commi 1 e 2, non hanno natura tassativa, in quanto vanno integrate attraverso l’analisi delle fonti sovranazionali tese a fornire tutela ai soggetti cu pertiene il riconoscimento non solo dello status di rifugiato, ma anche della cd.
“protezione sussidiaria”, spettante anche nell’ipotesi di minaccia grave alla vita di un civile derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale» (Sez. 1, n. 39783 del 21/09/2021, Aguguo, Rv. 282147).
Due successive decisioni hanno confermano lo sviluppo giurisprudenziale avviatosi nel 2019 con Sez. 1, Ramirez, cit.: 1) Sez. 1, n. 15114 del 26/02/2021, COGNOME, Rv. 280904, ha affermato che «in tema di espulsione dello straniero quale misura alternativa alla detenzione, ricorre la causa ostativa della convivenza con un parente entro il secondo grado di nazionalità italiana qualora sussista un rapporto di coabitazione che tragga titolo, oltre che dal coniugio, dal suddetto vincolo di parentela, di cui sia accertata l’effettività secondo indici di apprezzabilità esterna. Fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento che aveva escluso il requisito sul mero rilievo, in sé non univoco, dell’assenza di colloqui in carcere tra due fratelli in tesi conviventi»; 2) Sez. 1, n. 10296 del 13/01/2022, Kezie, Rv. 282789, ha ulteriormente chiarito che «ai fini della applicazione dell’espulsione dello straniero quale misura alternativa alla ,detenzione, a seguito della riformulazione dell’art. 19 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ad opera del d.l. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 173, che ha introdotto la causa ostativa della violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare del condannato conseguente al suo allontanamento dal territorio nazionale, il giudice è tenuto a valutare anche i legami affettivi non inquadrabili nelle ipotesi tipizzate di cui al suddetto art. 19, comma 2, lett. c)».
2.2. Il d.l. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 173, che ha modificato il terzo periodo dell’art. 19, comma 1.1., d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, indicando, quale ulteriore causa ostativa all’espulsione, l’esistenza di fondati motivi che inducano a ritenere «che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica, nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n. 722, e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea» ed aggiungendo, al periodo successivo, che «Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine». Il legislatore ha, dunque, stabilito che, nel valutare l’adozione del provvedimento di espulsione ex art. 16, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, l’autorità giudiziaria deve tener conto delle conseguenze che l’allontanamento del condannato dal territorio nazionale
determinerebbe sulla sua vita privata e familiare e, dunque, riconosciuto la rilevanza, tra l’altro, di legami affettivi non inquadrabili nelle ipotesi tipizz all’art. 19, comma 2, lett. c), come già la più attenta giurisprudenza di legittimità aveva riconosciuto.
La giurisprudenza di legittimità sopra richiamata e fatta propria dal Tribunale di sorveglianza di Brescia, conferma la correttezza della decisione di merito, essendosi fatto notare che mancava la prova di uno stabile ed effettivo legame di convivenza del condannato con i fratelli, come confermato dagli stessi certificati anagrafici prodotti dall’odierno ricorrente.
3.1. Il giudice di merito ha giustamente considerato rilevante, ai fini dell’applicazione dell’art. 19, comma 2 lett. c), T.U. imm., la convivenza, che tragga titolo oltre che dal coniugio anche dal rapporto di parentela, quale legame stabile tra due persone, connotato da duratura e significativa comunanza di vita. La coabitazione che tragga titolo dal rapporto di parentela rilevante è sufficiente, in effetti, ad integrare il divieto legale di espulsione, purché se ne accerti l effettività secondo congrui indici di apprezzabilità esterna.
3.2. Su tale decisivo elemento di fatto il Tribunale di sorveglianza ha svolto una specifica e puntuale motivazione che non è superata dalle critiche difensive, le quali si limitano a sostenere che la convivenza sarebbe un elemento non indispensabile ai fini che qui interessano. L’ordinanza impugnata, quindi, ha rispettato l’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato e ha fornito risposta alla specifica questione della coabitazione e convivenza con i fratelli, escludendola in fatto, così rendendo evidente l’inesistenza della dedotta condizione ostativa all’espulsione.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 2 maggio 2024.