Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38183 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38183 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/01/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di TORINO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, in persona di NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la pronuncia sopra indicata, il Tribunale di sorveglianza di Torino respingeva l’opposizione, presentata nell’interesse di NOME COGNOME, avverso la dichiarazione d’inammissibilità dell’istanza relativa alla sua espulsione, emessa dal Magistrato di sorveglianza in data 30/10/2023 ai sensi dell’art. 16, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, che aveva rilevato che le pene da scontare erano, cumulate tra loro, superiori a due anni.
In particolare, il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto, quale ragione assorbente le altre, che non sussista per l’NOME la possibilità di essere espulso a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione, essendo il ricorrente in detenzione domiciliare sostitutiva, quindi, in esecuzione di una pena sostitutiva, quindi di fatto, non detentiva.
NOME COGNOME ricorre per cassazione, tramite rituale ministero difensivo, affidandosi a un unico motivo.
Con tale motivo, il difensore dell’interessato denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 16, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e il vizio dell motivazione per manifesta illogicità rispetto al fatto che l’espulsione a titolo d sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione non possa essere applicata al ricorrente poiché egli è in esecuzione di una pena sostitutiva ovvero in detenzione domiciliare sostitutiva ai sensi dell’art. 56 legge 24 novembre 1981, n. 689, così mancando la necessaria condizione di detenzione in carcere.
In particolare, si sostiene che la pena sostitutiva debba considerarsi a tutti gli effetti quale pena della stessa specie di quella sostituita ovvero alla pari della reclusione in carcere. Si aggiunge che la detenzione domiciliare sostitutiva, applicata ai sensi dell’art. 56 legge 24 novembre 1981, n. 689, non è equiparabile alla misura alternativa della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter legge 26 luglio 1975, n. 354, e che il disposto dell’art. 67 legge 24 novembre 1981, n. 689, prevede espressamente la non applicabilità delle misure alternative alla detenzione di cui al capo VI della legge n. 354 del 1975 al condannato in espiazione di pena sostitutiva, quindi, ad essa non possono essere riferibili i principi di dirit riportati nel provvedimento impugnato in relazione alla non applicabilità dell’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione al soggetto che non si trovi detenuto in carcere. Si produce, infine, un provvedimento del medesimo Tribunale (allegato ai sensi dell’art. 165-bis, comma 2, disp. att. cod. proc. pen.) che, in un caso analogo, ha ritenuto la detenzione domiciliare sostitutiva ai sensi dell’art. 56 legge 24 novembre 1981, n. 689, possa essere
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equiparata per ogni effetto giuridico alla pena detentiva a quella corrispondente a quella sostituita, quindi, alla reclusione.
Il Procuratore generale, intervenuto con la sua requisitoria orale, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, quindi, meritevole di un rigetto.
Come questa Corte ha avuto modo di affermare la “sanzione sostitutiva” dell’espulsione ai sensi dell’art. 16, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998 ha natura amministrativa, come sancito la Corte costituzionale con l’ordinanza n. 226 del 2004, e va ricondotta nell’alveo delle misure alternative alla detenzione (e non delle GLYPH sanzioni GLYPH amministrative) GLYPH ancorché GLYPH debba GLYPH ritenersi GLYPH atipica (Sez. 1, n. 4429 del 24/01/2006, Rv. 233196). Tale misura tuttavia non è equiparabile alle misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario in quanto diretta non a consentire l’inserimento del condannato nel contesto sociale attivo ma piuttosto per deflazionare la popolazione carceraria allontanando dal territorio dello Stato quegli stranieri, non appartenenti alla Unione europea, che non sono in regola con il permesso di soggiorno, purché si tratti di pene contenute (inferiori a due anni di reclusione) e non siano di particolare gravità.
Vi è, dunque, una sorta di rinuncia da parte dello Stato alla pretesa punitiva (sospesa per dieci anni, periodo entro cui il cittadino straniero non deve far rientro clandestinamente nel nostro territorio) a . fronte del vantaggio immediato di evitare un sovraffollamento del circuito carcerario.
Qualora dunque lo straniero sia nelle condizioni di legge per poter usufruire della “sanzione sostitutiva” dell’espulsione (e pertanto sia identificato, detenuto, si trovi in taluna delle situazioni indicate nell’art. 13, comma 2, d.lgs. cit., deb scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni e la condanna non riguardi uno o più delitti previsti dall’articolo 407, comma 2, lett. a) cod. proc. pen., ovvero i delitti previsti dallo stesso d.lgs.) egli è titolare di diritto ad essere espulso (desumibile dal tenore della norma che utilizza l’espressione: “è disposta l’espulsione”) con esclusione di qualsivoglia potere discrezionale da parte del giudice di merito circa la sua concedibilità o del potere del PM di rilasciare il nullaosta all’emissione del relativo provvedimento.
Diversamente, in assenza di tali requisiti, la magistratura di sorveglianza ha il potere di non riconoscere tale diritto e, conseguentemente, di negare la
possibilità di essere espulso, in sostituzione della pena già comminata e in esecuzione al di fuori del carcere.
Come già affermato da questa Corte con Sez. 1, n. 43855 del 25/09/2019, Rv. 277328, l’espulsione dello straniero, prevista dall’art. 16 legge 25 luglio 1998 n. 286 quale misura alternativa alla detenzione volta a ridurre la popolazione carceraria, non è applicabile a soggetti che già si trovino ad espiare la pena con altra misura alternativa come, ad esempio, la detenzione domiciliare (nello stesso senso, Sez. 1, n. 518 del 12/12/2003, dep. 2004, Rv. 226677). L’esigenza di deflazione carceraria, quale ratio della norma in esame, è infatti da ritenersi recessiva rispetto a quella della finalità di reinserimento sociale di cui all’art. Cost., alla quale non sono estranei i cittadini extracomunitari che siano entrati illegalmente nel territorio dello Stato e siano privi del permesso di soggiorno come affermato con Sez. U, n. 14500 del 28/03/2006, Rv. 233420.
Ciò premesso, non si rileva alcuna violazione di legge, né tantomeno alcuna manifesta illogicità del provvedimento impugnato che ha fatto buon governo della norma in questione e ha logicamente motivato sulla condizione del condannato di non recluso, quindi, estraneo all’esigenza di deflazione carceraria.
È appena il caso di aggiungere che il riferimento all’affermazione di questa Corte a che “le pene sostitutive non possono essere che riferite in via esclusiva alla pena che il giudice infligge” (Sez. 1, n. 2356 del 12/10/2023, dep. 2024) è errato e fuorviante poiché la frase intera, di cui si è voluto estrarre una parte, intendeva dir altro da quel che si è voluto intendere ovvero “Nel sistema delineato dalla novella i limiti fissati dall’art. 20-bis cod. proc. pen. per l’accesso alle diverse pene sostitutive non possono che essere riferiti in via esclusiva alla pena che il giudice infligge con la sentenza di condanna” che, con tutta evidenza, non ha il medesimo significato ma si riferisce esclusivamente ai limiti di pena. Allo stesso modo, è del tutto inconferente il richiamo agli artt. 56 e 67 della legge n. 689 del 1981 in relazione alle misure alternative di cui il legislatore ha voluto distinguere le diverse discipline, nonché al provvedimento del medesimo Tribunale che ha disposto l’espulsione, in un caso del tutto diverso da quello qui oggetto di esame, nel quale la pena da scontare era superiore a due anni.
Sulla base delle precedenti considerazioni deriva il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/5/2024