Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 24957 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 24957 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 07/10/1983
avverso l’ordinanza del 11/02/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA di TRENTO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG Proc. Gen. Dr. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata nel preambolo il Tribunale di sorveglianza di Trento – investito dell’opposizione ai sensi dell’art. 16, comma 6, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 – ha confermato l’anteriore decreto del Magistrato di sorveglianza, che aveva ordinato l’espulsione dallo Stato di NOME COGNOME a titolo di sanzione alternativa alla detenzione.
NOME COGNOME ricorre per cassazione, con rituale ministero difensivo, sulla base di un univo motivo con cui deduce violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 19 d.lgs., 25 luglio 29 98, n. 286.
Evidenzia che il decreto impugnato, oltre ad essere irragionevole, si basa su una falsa rappresentazione degli elementi fattuali presenti nella fattispecie.
E’ stato ignorato che il ricorrente aveva già un permesso di soggiorno per motivi di lavoro e che non ha potuto rinnovarlo a causa dei problemi giudiziari
Non è stata presa in considerazione la disponibilità all’ospitalità da parte di uno zio presente nel territorio dello Stato pur documentata in apposita dichiarazione.
Erroneamente sono stati considerati rilevanti soltanto i legami con i parenti prossimi; deve, invece, essere attribuito valore ad ogni altra forma di connessione familiare che possa consentire all’istante di poter continuare a sviluppare l’inserimento sociale nello Stato.
Non è stata trattata la questione della pericolosità sociale del ricorrente il quale è stato condannato per reati lievi.
La motivazione è incompleta ed apparente perché si è limitata a richiamare la normativa ricorrendo a a formule di stile sulla posizione personale dell’interessato che non consentono l’esercizio del diritto di difesa.
E’ stata disattesa la giurisprudenza di legittimità secondo cui il giudice di sorveglianza, non avendo le clausole ostative all’espulsione dello straniero natura tassativa, deve operare , acquisendo ove occorre le necessarie informazioni, un giudizio di contemperamento tra le esigenze poste a fondamento del provvedimento è quella di salvaguardia delle relazioni specifiche del soggetto
Non è stata presa in esame l’affermazione per ricorrente secondo cui non può ritornare nella città natale in Marocco non solo per ragioni di carattere politico, ma anche perché sarebbe costretto a vivere privo di legami familiari ed in una situazione di grave indigenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso infondato.
Sostiene il ricorrente che tra i presupposti applicativi della disposta espulsione vi sia la pericolosità sociale del condannato.
L ‘assunto è erroneo nei termini chiariti nel prosieguo.
I presupposti applicativi dell’espulsione dello straniero non appartenente all’Unione europea, identificato, irregolare, il quale sia stato condannato e si trovi detenuto in esecuzione di pena, anche residua, non superiore a due anni per reati
non ostativi, prevista dall’art. 16, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998, sono cinque: a) lo stato detentivo; b) la durata della pena residua non superiore a due anni; c) l’identificazione certa del soggetto, tanto che, ai sensi del comma 6 del medesimo art. 16, non può procedersi all’espulsione di straniero non identificato; d) il fatto che la pena in corso di espiazione non sia stata irrogata per i delitti previsti dall’art. 12, commi 1, 3, 3-bis e 3-ter dello stesso testo unico, ovvero per uno o più delitti previsti dall’art. 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, fatta eccezione per quelli consumati o tentati di cui agli artt. 628, terzo comma, e 629, secondo comma, del codice penale; e) infine, l’irregolarità del soggiorno, dovendo lo straniero trovarsi in una delle condizioni previste dall’art. 13, comma 2, T.u. immigrazione, che legittimano l’espulsione amministrativa.
A fondamento della disposizione vi è l’esigenza di ridurre la popolazione carceraria. Per tale ragione ne è esclusa l’applicazione a quanti, in relazione alla pena da espiare, si trovino già sottoposti a una misura alternativa in senso proprio, o al regime di arresti domiciliari esecutivi di cui all’art. 656, comma 10, cod. proc. pen., mentre non è di ostacolo la sola applicazione dei benefici del lavoro esterno e dei permessi premio (Sez. 1, n. 5171 del 29/09/2015, dep. 2016, Meta, Rv. 266218-01; Sez. 1, n. 44143 del 16/02/2016, COGNOME Rv. 268290-01).
Finalità dell’istituto è, quindi, quella di agevolare la fuoriuscita dal circuito penitenziario e l’immediato rimpatrio dei condannati comunque non reintegrabili nella comunità nazionale, perché sprovvisti di titolo per rimanervi, già non avviati a percorsi proficui di risocializzazione e per i quali non sussistano prevalenti esigenze di asilo, umanitarie ovvero di tutela della loro persona o delle loro relazioni familiari (Sez. 1, n. 9425 del 18/02/2019, G., Rv. 274885-01; Sez. 1, n. 915 del 17/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278065-01).
Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, l ‘ espulsione prevista dall ‘ art. 16, comma 5, T.u. imm., come peraltro ammesso dallo stesso ricorrente, ha natura sostanzialmente amministrativa e la sua adozione è obbligatoria in presenza delle condizioni fissate dalla legge (Sez. 1, n. 50871 del 25/05/2018, COGNOME; Sez. 1, n. 6814 del 09/07/2015, dep. 2016, Nakai; Sez. 1, n. 45601 del 14/12/2010, dep. 29/12/2010, COGNOME, Rv. 249175-01 ).
La misura in esame non rientra, pertanto, nella categoria delle misure alternative alla detenzione tipiche previste dall’ordinamento penitenziario , il cui presupposto applicativo, sotto vari profili, è sempre l ‘assenza di pericolosità sociale del condannto.
Il provvedimento che la dispone, infatti, ha natura ‘ ibrida ‘ , esso, come di recente ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 73 del 2025, in perfetta continuità con le ordinanze n. 422 e n. 226 del 2004 e con la sentenza n. 202 del 2013 e n. 252 del 2001, oltre a determinare la sospensione della
esecuzione della pena « anticipa l’espulsione amministrativa dovuta alla irregolarità del soggiorno, che in ogni caso colpirebbe l’interessato al termine dell’esecuzione. I due profili, della incidenza sull’esecuzione della pena e della espulsione amministrativa, si integrano in una fattispecie complessa che può portare alla estinzione della pena. La misura determina, infatti, una sorta di sospensione temporanea della potestà punitiva dello Stato giacché, secondo quanto previsto dall’art. 16, comma 8, t.u. immigrazione, se il cittadino straniero non rientra irregolarmente nel territorio italiano entro il termine di dieci anni, la pena si estingue; in caso contrario, la potestà punitiva si riespande, lo stato di detenzione è ripristinato e l’esecuzione della pena riprende il suo corso ».
L ‘ espulsione prevista dall’art. 16, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998, comportando l’anticipazione di una misura espulsiva comunque irrogabile una volta concluso il trattamento, è soggetto al medesimo bilanciamento, in relazione alle condizioni personali e famili ari dell’interessato, cui è subordinata l’adozione della misura di analogo contenuto da parte dell’autorità amministrativa.
Tale bilanciamento è, peraltro, rafforzato perché è posto direttamente in capo all’autorità giurisdizionale e perché è destinato a operare nel rispetto d el contraddittorio processuale, ancorché differito.
D’altra parte, l’art. 16 d.lgs. n. 286 del 1998 al comma 9, richiama espressamente l’art. 19 d.lgs. del medesimo testo normativo che prevede alcune specifiche ipotesi preclusive all’ espulsione che tuttavia sono state sempre considerate dalla giurisprudenza di legittimità come non tassative, ma suscettibili sia d’interpretazione internamente estensiva (Sez. 1, n. 44182 del 27/06/2016, Zagoudi, Rv. 268038-01, che al coniugio parifica la convivenza more uxorio; in termini, Sez. 1, n. 16385 del 15/03/2019, COGNOME Rv. 276184-01), sia d’integrazione analogica alla luce dei principi della Costituzione e attraverso l’analisi delle fonti sovranazionali (Trattati e diritto derivato dell’Unione europea, Carta di Nizza, CEDU).
Di recente l’art. 7, comma 1, d.l. 10 marzo 2023, n. 20, conv. dalla legge 5 maggio 2023, n. 50 ha riscritto il testo dell’art. 19, comma 1.1, d.lgs. n. 286 del 1998 , tra l’altro abrogando il suo terzo e quarto periodo.
Come precisato nella sentenza di questa Sezione n. 43082 del 07/11/2024, COGNOME Rv. 287150 -01, anche dopo le citate modifiche normative l’espulsione dello straniero a titolo di sanzione alternativa alla detenzione, prevista dall’art. 16, comma 5, stesso d.lgs., non può essere disposta, al pari di ogni altra forma di espulsione di natura penale, quando tale misura si risolva in un’ingerenza nella vita privata e familiare dell’interessato, vietata dall’art. 8 della Convenzione EDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo.
La sentenza da ultima citata, anche valorizzando le affermazioni contenute nella relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge di conversione in legge (A.S. 591, XI legislatura), ha condivisibilmente osservato che:
«l’abrogazione non riveste il significato di scongiurare l’applicazione di norme e principi di valore sovraordinato – che, come osservato, avevano cittadinanza nell’ordinamento a prescindere dalla formale vigenza delle norme soppresse – e quindi di limitare l’incondizionata osservanza, nel diritto interno, degli obblighi nascenti dall’art. 8 CEDU. Tale conclusione è avvalorata dal quadro d’insieme che la disciplina legislativa in tema d’immigrazione restituisce, tuttora, all’interprete. Il comma 1.1 dell’art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte superstite dopo l’intervento abrogativo, continua a vietare il respingimento, l’espulsione o l’estradizione di una persona verso altro Stato, «qualora ricorrano gli obblighi di cui all’articolo 5, comma 6» del medesimo d.lgs. (nel testo risultante dal d.l. n. 130 del 2020, conv. dalla legge n. 173 del 2020), che sono gli obblighi «costituzionali o internazionali dello Stato italiano». Tra questi ultimi risaltano, come si notava, gli obblighi di conformazione ai precetti della Convenzione EDU, le cui norme funzionano notoriamente da parametro interposto ai fini dello stesso sindacato di conformità dell’ordinamento interno alla Carta repubblicana … L’interprete dovrà, d’ora innanzi, fare diretto riferimento ai criteri – largamente sovrapponibili, ma soggetti alla flessibile mediazione giudiziale – elaborati dalla giurisprudenza sovranazionale, già richiamati e fatti propri dagli arresti di questa Corte di legittimità. Non è inutile allora ribadire che, secondo la Corte di Strasburgo, se l’art. 8 della Convenzione non prevede un diritto assoluto di non espulsione per nessuna categoria di stranieri, esistono circostanze in cui l’espulsione medesima si dimostra non necessaria in una società democratica e non proporzionata al legittimo obiettivo perseguito, comportando così la violazione di tale disposizione (Beldjoudi c. Francia, n. 12083/86, 26 marzo 1992; COGNOME c. Danimarca, n. 56811/00, 11 luglio 2002; COGNOME c. Germania, n. 52853/99, 17 aprile 2003; NOME c. Germania, n. 32231/02, 27 ottobre 2005). Ed è altresì importante ricordare che tra i criteri, considerati dalla Corte EDU pertinenti per valutare se una misura di espulsione sia lecita rispetto al parametro convenzionale, vanno annoverati, tra l’altro (Boultif c. Svizzera, n. 54273/00, 2 agosto 2001, § 48), la natura e la gravità del reato commesso dal richiedente, la durata del soggiorno del richiedente nel Paese dal quale deve essere espulso, la situazione familiare del richiedente, la gravità delle difficoltà che il richiedente potrebbe incontrare nel paese verso cui deve essere espulso. »
In conclusione, né da una norma specifica né dalla natura giuridica si desume che tra i presupposti per l’ applicazione dell’espulsione di cui all’art . 16, comma 5 d.lgs. n. 286 del 1998 ci sia l’ attuale pericolosità sociale del condannato.
Ciò non significa che sia previsto un automatismo espulsivo; al contrario il magistrato di sorveglianza, dopo avere acquisito non solo le informazioni sull’identità e sulla nazionalità dello straniero, ma qualsiasi informazione necessaria o utile al fine di accertare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni che legit timano l’espulsione , deve procedere, nell ‘ ambito di una valutazione discrezionale, ad una ponderazione di interessi quanto agli effetti dell’eventuale espulsione sulle condizioni personali e familiari della persona interessata, la quale, giova ribadirlo, si trova in una condizione che ne imporrebbe, comunque, l’espulsione una volta espiata la pena .
L’ordinanza impugnata non si è discostata dai ricordati principi ed è pervenuta alla decisione seguendo un percorso motivazionale che si sottrae alle critiche del ricorrente.
Il Tribunale di sorveglianza, dopo avere ribadito che NOME COGNOME così come richiesto dal combinato disposto degli artt. 16, comma 5, e 13, coma 2 lett. b) d.lgs. n. 286 del 1998 per disporre la misura alternativa della detenzione, è un cittadino straniero irregolare sul territorio dello Stato, ha escluso la rilevanza delle situazioni dedotte quali condizioni ostative dell’espulsione , osservando che il condannato non aveva convissuto né intrattenuto rapporti, anche solo di frequentazione con gli zii residenti in territorio italiano, e che, al contrario, poteva godere del supporto nel Paese di origine della madre e dei fratelli. Né poteva attribuirsi rilevanza al pericolo all’ integrità fisica che il ricorrente sostiene di correre nel caso di rientro in Marocco, considerato che esso era stato allegato in termini generici senza alcun riferimento ad elementi concreti, se non alla condizione di indigenza e povertà che affligge gran parte ella popolazione.
Per le esposte considerazioni, il ricorso deve essere rigettato. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma 15 maggio 2025.