Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44013 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44013 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 10/07/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANIA udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 10 luglio 2024 il Tribunale di sorveglianza di Catania ha respinto l’appello presentato dal condannato COGNOME contro la ordinanza del magistrato di sorveglianza di Catania del 6 maggio 2024 che ne aveva disposto l’espulsione quale misura di sicurezza ai sensi dell’art. 235 cod. pen., confermando quanto già disposto in sede di cognizione dalla sentenza della Corte di assise di appello di Catania del 21 settembre del 2020, che lo aveva condannato alla pena di 8 anni, 1 mese, e 10 giorni di reclusione per il delitto di tratta e commercio di schiavi e per aver compiuto atti diretti a procurare l’ingresso illegale di stranieri nel territorio dello Stato.
Il Tribunale di sorveglianza ha respinto l’appello, in quanto ha ritenuto ancora attuale il giudizio di pericolosità del condannato già espresso dal giudice della cognizione, giudizio di pericolosità attuale desunto dal rapporto disciplinare redatto
nei suoi confronti durante la detenzione carceraria, dalla circostanza che lo stesso non ha reperito un’attività lavorativa né ha un alloggio dove andare a vivere; né lo stesso ha provato che l’eventuale rientro in Nigeria lo esporrebbe a pericolo per la propria incolumità, anzi la domanda di protezione internazionale che aveva, a suo tempo, presentato era stata respinta.
2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore.
Con il primo motivo deduce violazione di legge processuale, in quanto l’imputato è stato espulso il 9 giugno 2024, quindi dopo il provvedimento del magistrato di sorveglianza, ma prima dell’udienza davanti al Tribunale di sorveglianza, ciò comporta che l’assenza dichiarata nell’udienza camerale non è corretta, perché il condannato è stato assente in udienza per ragioni non dipendenti dalla sua volontà.
Con il secondo motivo deduce questione di legittimità costituzionale degli articoli 581, comma 1-ter ed 1-quater, cod. proc. pen. nella parte in cui prevedono, anche per l’assente, l’obbligo di dotarsi di mandato specifico ad impugnare ed elezione di domicilio, atteso che nel caso in esame il difensore non ha potuto procurarsi il mandato perché l’imputato era stato allontanato dal territorio dello Stato nelle more.
Con il terzo motivo deduce mancanza di motivazione sulla richiesta di sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato di cui all’art. 680, comma 3, cod. proc. pen., istanza che non può ritenersi assorbita dal rigetto dell’istanza principale perché comunque ragioni di opportunità avrebbero potuto consigliare la sospensione.
Con il quarto motivo deduce violazione di legge in quanto il giudizio di pericolosità era stato formulato in ragione soprattutto del titolo di reato senza considerare che la pena è stata inflitta nella misura minima edittale e che il ricorrente non era gravato di ulteriori condanne o di carichi pendenti; inoltre, nella condotta carceraria è stata considerata soltanto la infrazione disciplinare del febbraio 2024 senza considerare che il detenuto aveva chiesto scusa per quanto si era verificato, e che comunque le sue mansioni non comportavano l’obbligo di pulizia delle autovetture che, perciò, aveva rifiutato; inoltre, nell’ordinanza manca del tutto l’analisi dell’elemento dell’attualità del pericolo, attualità che è stat ricavata dalla mancanza di una disponibilità di un alloggio, che però lo stesso aveva, in realtà, indicato presso un connazionale, a nulla rilevando che il contratto del connazionale non preveda facoltà di sublocazione, perché il condannato non sarebbe stato un sublocatario ma soltanto un ospite; inoltre, non è stato tenuto conto delle possibilità economiche del condannato che ha lavorato durante la
detenzione in carcere, e che quindi aveva una somma a disposizione; inoltre, quanto al rischio di espulsione verso la Nigeria, l’onere di allegazione era stato rispettato dal ricorrente mediante un richiamo per relationem a quanto già presente all’interno del fascicolo del procedimento.
Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale, NOME COGNOME, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
1. Il primo motivo è infondato.
Esso deduce che l’assenza non è stata dichiarata correttamente, ma l’argomento è infondato, atteso che l’assenza non è un istituto applicabile al giudizio di sorveglianza, che è regolato dall’art. 678, comma 3.2, cod. proc. pen. che dispone che “l’avviso di fissazione dell’udienza, notificato all’interessato, contiene, a pena di nullità, l’avvertimento della facoltà di parteciparvi personalmente. Se l’interessato detenuto o internato ne fa richiesta, il giudice dispone la traduzione. Si applicano in ogni caso le forme e le modalità di partecipazione a distanza nei procedimenti in camera di consiglio previste dalla legge. La partecipazione all’udienza avviene a distanza anche quando l’interessato, detenuto o internato, ne fa richiesta ovvero quando lo stesso è detenuto o internato in un luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice. Ove lo ritenga opportuno, il giudice dispone la traduzione dell’interessato”. Ne consegue che la partecipazione dell’interessato all’udienza davanti al Tribunale di sorveglianza avviene soltanto a domanda.
Nel caso in esame, il condannato era stato notiziato della data dell’udienza davanti al Tribunale di sorveglianza mediante notifica a mani proprie effettuata in carcere e non risulta esser stata presentata domanda di partecipazione all’udienza camerale.
2. Il secondo motivo è infondato.
Gli oneri di ammissibilità dell’impugnazione previsti dai commi 1-ter ed 1quater dell’art. 581 cod. proc. pen., come novellato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, non si applicano, infatti, ai procedimenti davanti al Tribunale di sorveglianza (Sez. 1, n. 28912 del 07/05/2024, Magsonnbol, Rv. 286791, in motivazione; in senso conforme: per il giudizio di esecuzione, Sez. 1, n. 43523 del 28/06/2023, Cop, Rv. 28539;, per il giudizio di prevenzione, Sez. 6, n. 11726 del 16/11/2023,
dep. GLYPH 2024, GLYPH ANOME, GLYPH Rv. 286180; GLYPH per GLYPH l’appello GLYPH cautelare GLYPH Sez. 4, n. 22140 del 03/05/2023, En Naji, Rv. 284645).
Si tratta, infatti, di disposizioni che stabiliscono adempimenti specificamente riferiti alla celebrazione della fase processuale del giudizio di merito e che, pertanto, non sono astrattamente inquadrabili nel novero dei principi generali che regolano il sistema impugnatorio (Sez. 4, n. 22140 del 03/05/2023, citata).
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
La sospensiva del provvedimento del magistrato di sorveglianza di cui all’art. 680, comma 3, cod. proc. pen. è un provvedimento che può essere preso dal Tribunale nelle more della sua decisione sull’appello presentato contro il provvedimento del magistrato (“l’appello non ha effetto sospensivo, salvo che il Tribunale disponga altrimenti”).
Si tratta, quindi, di una decisione, che, in conformità ai principi generali sui provvedimenti cautelari, cessa in ogni caso di efficacia con la pronuncia della decisione di merito.
3. Il quarto motivo è infondato.
Il ricorso deduce che il giudizio di pericolosità è stato effettuato senza considerare che la pena è stata inflitta nella misura minima edittale, ma l’argomento è infondato, in quanto si tratta di censura che avrebbe dovuto essere rivolta contro il provvedimento del giudice della cognizione che aveva disposto la misura di sicurezza a pena espiata, non contro il provvedimento del magistrato di sorveglianza, e poi del Tribunale in sede di appello, che si è limitato a confermare la pericolosità attuale del condannato.
Il ricorso deduce che il giudizio di pericolosità attuale è stato fondato sulla condotta carceraria desunta soltanto dal provvedimento disciplinare riportato nel febbraio 2024 senza considerare che il detenuto aveva chiesto scusa per quanto si era verificato, e che comunque le sue mansioni non comportavano l’obbligo di pulizia delle autovetture, ma l’argomento è inammissibile, perché pretende una rivalutazione del giudizio formulato dal giudice del merito sul comportamento tenuto dal condannato il giorno del fatto, che non è ammissibile in sede di legittimità.
Il ricorso deduce che l’attualità del pericolo è stata ricavata dalla mancanza della disponibilità di un alloggio, che però il condannato aveva, in realtà, indicato presso un connazionale, a nulla rilevando che il contratto del connazionale non prevede facoltà di sublocazione, perché il condannato non sarebbe stato un sublocatario ma soltanto un ospite, ma l’argomento è infondato, perchè in modo non manifestamente illogico il Tribunale ha valutato come inidonea la sistemazione
abitativa reperita dal condannato per il carattere di precarietà della stessa determinato dall’essere la stessa fondata sulla benevolenza di terzi nei confronti del condannato (un ospite) che potrebbe venir meno in qualsiasi momento.
Il ricorso deduce che non è stato tenuto conto delle possibilità economiche del condannato che ha lavorato durante la detenzione in carcere, e che quindi aveva una somma a disposizione con cui provvedere ai propri bisogni di vita, ma l’argomento è inammissibile per la estrema genericità della deduzione, non essendo indicato, né sorretto da adeguate allegazioni, neanche in quanto consista questo peculio di cui disporrebbe il condannato, e la cui consistenza, secondo la prospettazione del ricorso, avrebbe dovuto indurre il Tribunale a rivalutare il giudizio di pericolosità.
Il ricorso deduce che, quanto al rischio di espulsione verso la Nigeria, il ricorrente avrebbe ottemperato all’onere di allegazione mediante richiamo per relationem a quanto già presente all’interno del fascicolo del procedimento, ma l’argomento è inammissibile per difetto di specificità del motivo, perché il ricorso non prende posizione sulla circostanza, riportata nella motivazione dell’ordinanza impugnata, secondo cui la domanda di protezione internazionale presentata dal ricorrente è stata respinta.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 7 novembre 2024.