Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33303 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33303 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/05/2024
SENTENZA
sul ricorsa proposto da:
COGNOME nato il DATA_NASCITA . (It LAAWA
avverso la sentenza del 12/04/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha corcluso chiedendo Di 0/CI0960ee – /h//a/gia: GLYPH OCco? – c3
PROCEDIMENTO A TRATTAZIONE SCRITTA.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna del 12 aprile 2023 con la quale, in parziale riforma della sentenza resa dal Tribunale di Rimini il 25 marzo 2022, è stato condannato alla pena di anni sei, mesi tre, giorni quindici di reclusione ed euro 14.500,00 di multa, in ordine ai seguenti reati:
detenzione di arma clandestina, ai sensi dell’art. 23, terzo comma, legge 18 aprile 1975, n. 110 (capo 3), perché il 21 febbraio 2015 aveva detenuto all’interno di una baracca sita in Riccione un fucile riportante il numero di matricola parzialmente abraso;
ricettazione, ai sensi dell’art. 648 cod. pen. (capo 4), perché il 21 febbraio 2015 aveva ricevuto da persona rimasta ignota il suddetto fucile;
produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 73, comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capo 9), perché tra gennaio e febbraio 2015 in Rimini aveva ceduto a COGNOME NOME sostanza stupefacente del tipo hashish;
produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti, nella sua forma di lieve entità, ai sensi dell’art. 73, comma 5, T.U. stup. (capo 11), perché in agosto 2015 in Rimini aveva ceduto a NOME sostanza stupefacente del tipo hashish;
estorsione, ai sensi dell’art. 629 cod. pen. (capo 12), perché nei mesi di febbraio, marzo e aprile 2015 in Rimini aveva costretto COGNOME NOME a consegnargli, in più riprese, l’importo complessivo di 300,00 euro, corrispettivo di una precedente cessione di sostanza stupefacente;
tentata estorsione, ai sensi degli artt. 56 e 629 cod. pen. (capo 13), perché nei mesi di febbraio e marzo 2015 aveva compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a procurarsi un ingiusto profitto con danno di COGNOME NOME, avendo preteso dallo stesso, con violenza e minaccia, la consegna dell’importo di euro 5.000,00;
fabbricazione e porto illegale di armi, ai sensi degli artt. 1 e 4 legge ottobre 1967, 895 (capo 16), perché il 14 marzo 2015 tra Rimini e Riccione, senza licenza dell’Autorità, aveva fabbricato e portato in luogo pubblico due bottiglie incendiarie.
Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, anche con riferimento all’art. 6 CEDU, e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché il giudice di merito avrebbe celebrato il
processo nonostante vi fosse prova del fatto che l’imputato era stato espulso dal territorio dello Stato e che, quindi, lo stesso non aveva potuto partecipare alle udienze.
Sul punto, si evidenzia che, ai sensi dell’art. 13, comma 3-quater, T.U. imm., se l’avvenuta espulsione è provata prima che venga emesso il provvedimento che dispone il giudizio, il giudice di merito deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere.
Nel ricorso, poi, si evidenzia che il diritto di difesa non può essere garantito dall’art. 17 T.U. imm. il quale, pur prevedendo che lo straniero sottoposto a procedimento penale autorizzato a rientrare in Italia per il tempo strettamente necessario per il diritto di difesa, non riesce a soddisfare pienamente le istanze partecipative dello stesso imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato e, quindi, inammissibile, poiché prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità.
La Corte di appello, infatti, ha correttamente applicato al caso di specie il principio di diritto secondo il quale non costituisce legittimo impedimento dell’imputato straniero l’avvenuta espulsione del medesimo dal territorio dello Stato, atteso che l’art. 17 T.U. imm. gli conferisce la facoltà di rientrar temporaneamente in Italia per l’esercizio del diritto di difesa (Sez. 6, n. 15739 del 28/02/2018, Daja, Rv. 272774).
Ai sensi del citato articolo, infatti, «lo straniero parte offesa ovver sottoposto a procedimento penale è autorizzato a rientrare in Italia per il tempo strettamente necessario per l’esercizio del diritto di difesa, al solo fine partecipare al giudizio o al compimento di atti per i quali è necessaria la sua presenza. L’autorizzazione è rilasciata dal Questore anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare su documentata richiesta della parte offesa o dell’imputato o del difensore».
Pertanto, l’intervenuta espulsione non aveva determinato un legittimo impedimento dell’imputato, poiché egli – al quale erano stati regolarmente notificati gli atti di impulso processuale – avrebbe potuto fruire di un iter amministrativo particolarmente celere, nella prospettiva della necessità di trovarsi in Italia per partecipare alle udienze.
Il ricorso, poi, è manifestamente infondato laddove ritiene che la normativa in esame non garantisca l’effettivo esercizio di diritto di difesa dell’imputat posto che la giurisprudenza di questa Corte, proprio al fine di garantire il
concreto esercizio del diritto di difesa, è giunta ad affermare che l’esp dell’imputato straniero non può mai perfezionare un legittimo impedimento del stesso, posto che questi – nel caso in cui riscontri difficoltà ad accedere a cui all’art. 17 T.U. imm. – può decidere di fare rientro in Italia anche necessarie autorizzazioni, sempre allo scopo di presenziare al processo, inte primario e prevalente su ogni altro (Sez. 3, n. 5763 del 20/12/2006, Hodaj, mass. sul punto).
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento i favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione d causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa d ammende.
Così deciso il 08/05/2024