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Espulsione e pericolosità sociale: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo condannato per spaccio di stupefacenti contro la misura di sicurezza dell’espulsione. La decisione si fonda sulla valutazione della sua pericolosità sociale, desunta dalla gravità e organizzazione del reato, ritenute prevalenti rispetto alla sua stabile situazione familiare e lavorativa. La sentenza chiarisce i criteri per l’applicazione della misura di espulsione e pericolosità sociale.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Espulsione e Pericolosità Sociale: Quando la Gravità del Reato Supera l’Integrazione

L’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato è un tema delicato, che impone ai giudici un attento bilanciamento tra la sicurezza della collettività e i diritti fondamentali dell’individuo, come quello alla vita familiare. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i criteri per valutare l’espulsione e pericolosità sociale di un condannato, anche quando questi dimostri di avere un’esistenza stabile. Il caso in esame riguarda un uomo condannato per spaccio di stupefacenti, la cui pericolosità è stata ritenuta talmente concreta da giustificare l’allontanamento dal Paese, nonostante una situazione familiare e lavorativa regolare.

I Fatti del Caso

Un individuo veniva condannato in primo grado dal Tribunale di Prato e successivamente dalla Corte di Appello di Firenze alla pena di quattro anni di reclusione e 28.000 euro di multa per il reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Oltre alla pena detentiva, i giudici di merito avevano disposto l’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato, ai sensi dell’art. 235 del codice penale. Questa misura accessoria si basa su un giudizio di pericolosità sociale, ovvero sulla valutazione del rischio concreto che il condannato possa commettere nuovi reati.

Il Ricorso in Cassazione e la Valutazione della Pericolosità Sociale

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione contestando proprio la legittimità del provvedimento di espulsione. La difesa sosteneva che i giudici non avessero adeguatamente motivato la decisione, violando la legge. Il punto cruciale del ricorso era il bilanciamento tra l’interesse generale alla sicurezza e l’interesse del singolo alla propria vita familiare e sociale in Italia, tutelato anche dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione della Corte d’Appello. I giudici supremi hanno chiarito che la valutazione sulla espulsione e pericolosità sociale deve fondarsi su elementi concreti e non generici. Nel caso specifico, la pericolosità dell’imputato non era presunta, ma desunta da una serie di fattori oggettivi che dimostravano un’elevata capacità criminale e un’attività illecita ben organizzata.

Gli elementi considerati decisivi sono stati:
1. Qualità e Quantità delle Sostanze: La varietà e la quantità delle droghe trattate indicavano un’attività non occasionale.
2. Modalità Organizzative: Il possesso di un bilancino di precisione e di bustine per il confezionamento delle dosi dimostrava una chiara predisposizione logistica all’attività di spaccio.
3. Disponibilità di Denaro: Il ritrovamento di una cospicua somma di denaro (7.100 euro) è stato interpretato come provento dell’attività illecita e indice di un’operatività consolidata.

La Corte ha inoltre sottolineato che, pur avendo preso atto della situazione familiare e lavorativa stabile del condannato e della sua regolare permanenza sul territorio, la gravità della condotta e l’ingente somma di denaro confiscata erano elementi talmente forti da far pendere la bilancia a favore della tutela della sicurezza pubblica. In sostanza, il concreto pericolo di reiterazione del reato è stato ritenuto prevalente.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la valutazione della pericolosità sociale ai fini dell’espulsione è un giudizio complesso che non si esaurisce nella mera analisi della vita privata del condannato. Elementi oggettivi legati alla natura, all’organizzazione e alla gravità del reato commesso possono essere decisivi. Anche in presenza di un apparente inserimento sociale, se l’attività criminale rivela un’organizzazione strutturata e un concreto rischio di recidiva, la misura dell’espulsione può essere legittimamente applicata come strumento di difesa sociale. La decisione, pertanto, serve da monito sul fatto che la stabilità personale non costituisce uno scudo automatico contro le misure di sicurezza più severe quando i fatti delittuosi sono di particolare allarme sociale.

Quando può essere disposta l’espulsione come misura di sicurezza?
L’espulsione può essere disposta quando, sulla base di una valutazione concreta, si riconosce la pericolosità sociale del condannato, ovvero il pericolo che commetta nuovi reati. Questa valutazione si basa sui parametri dell’art. 133 del codice penale, sulla personalità del soggetto e sulla sua capacità criminale.

Una stabile situazione familiare e lavorativa può impedire l’espulsione?
No, non necessariamente. Sebbene il giudice debba considerare e bilanciare la condizione familiare e lavorativa del condannato, questi elementi possono essere superati dalla particolare gravità della condotta e da altri fattori che indicano un’elevata e concreta pericolosità sociale, come l’organizzazione dell’attività criminale.

Quali elementi sono stati decisivi per confermare la pericolosità sociale in questo caso?
La Corte ha ritenuto decisivi la qualità, la quantità e la diversa tipologia delle sostanze stupefacenti, le modalità di custodia, la disponibilità di un bilancino di precisione e di bustine per il confezionamento, e il possesso di una notevole somma di denaro (7.100 euro), considerati indicatori di un’attività illecita organizzata e di un concreto pericolo di reiterazione del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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