Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21165 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21165 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/02/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di BOLOGNA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG
Letta la requisitoria della dott.ssa NOME COGNOME, Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, con la quale è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RILEVATO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Bologna ha rigettato l’appello avverso il provvedimento con cui in data 21/09/2022 il Magistrato di sorveglianza di Bologna applicava nei confronti di NOME COGNOME, dopo avere rigettato l’eccezione di nullità della notifica e rilevato l’attuale pericolosità sociale, la misura di sicurezza dell’espulsione dallo Stato disposta a carico del predetto con le sentenze della Corte di appello di Bologna in data 12/07/2016 e 12/05/2017.
Avverso tale ordinanza COGNOME, tramite il proprio difensore, ricorre per cassazione, lamentando violazione dell’art. 159 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta applicabilità del rito degli irreperibili, a front di dati dai quali emergeva l’esistenza di un domicilio in Italia, nel quale avrebbe dovuto essere effettuata la notifica.
Osserva la difesa che il decreto di irreperibilità emesso dal Magistrato di sorveglianza di Bologna il 17/11/2020 non poteva ritenersi attuale nel 2022, poiché superato non solo dalla partecipazione di NOME al processo mediante presenza diretta in udienza (il 22/09/2021) ma, soprattutto, dall’esistenza di notizia certa del suo domicilio in Italia, in Caste’ San Giovanni (INDIRIZZO, INDIRIZZO, confermata dalla documentazione processuale allegata al processo.
Rileva, ancora, che, qualora NOME fosse stato dichiarato reperibile, il Magistrato di Sorveglianza e il Tribunale di sorveglianza avrebbero potuto prendere in considerazione le istanze di attualizzazione della pericolosità sociale e di approfondimento istruttorio avanzate dalla difesa e dall’Uepe di Reggio Emilia; e che anche sotto tale profilo la motivazione risulta carente.
Insiste, pertanto, per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza, oltre che aspecificità.
Invero, il Tribunale di sorveglianza di Bologna ha correttamente messo in luce (richiamando l’ordinanza del 22/11/2022 di rigetto della sospensione
dell’esecutività, in via cautelare, del provvedimento appellato) che il decreto di irreperibilità non poteva dirsi superato dalla sporadica e altalenante presenza del soggetto sul territorio dello Stato ovvero dalla presenza a qualche udienza. E ciò, a fronte sia dell’inesistenza di un’elezione di domicilio sia degli accertamenti effettuati in data 28 maggio 2022, rappresentati nella relazione redatta dagli organi di polizia. In essa, invero, si dava conto del mancato reperimento del ricorrente presso il suddetto indirizzo, coincidente con l’abitazione del fratello, e delle dichiarazioni dei connazionali presenti, i quali, lungi dal riferire di una residenza in loco di NOME, dichiaravano che lo stesso si trovava in Albania e che non avevano notizie circa un suo eventuale rientro sul territorio nazionale, non intendendo accettare la notifica dell’atto giudiziario.
Il Tribunale di sorveglianza evidenzia come correttamente non sia stato revocato il decreto di irreperibilità originario e come il tentativo di notifica presso l’abitazione del fratello del ricorrente sia stato un atto ulteriore e non dovuto a fronte dell’assenza di elezione di domicilio; come, quindi, il procedimento si sia svolto conformemente alle regole processuali.
Detto Tribunale, quanto al profilo della pericolosità sociale giustificativa della misura di sicurezza, evidenzia come siano condivisibili le argomentazioni del primo Giudice. Sottolinea come NOME sia stato condannato per tre volte per sfruttamento della prostituzione e, quindi, per un delitto espressione di sopraffazione nei confronti di soggetti deboli e, come tale, di rilevante gravità. Inoltre, rileva come sia significativa la reiterazione di tali reati nel corso di quindici anni, palesando una particolare proclività a delinquere, confermata dal comportamento trasgressivo del suddetto in pendenza prima degli arresti domiciliari e poi della detenzione domiciliare. Sottolinea come, a fronte di un delitto significativamente incidente sulla vita delle persone offese, con condanna anche per sequestro di persona, non sia possibile ritenere sufficiente una parziale ammissione di responsabilità limitata alla percezione dei vantaggi economici con negazione di comportamenti di costrizione, in palese contrasto, oltretutto, con le risultanze processuali. Evidenzia, infine, come il procedimento abbia dato conto di una situazione di precarietà abitativa, di assenza di mezzi di sostentamento lecito e di riferimenti familiari aleatori e mai dimostrati (tra cui il legame con la figlia della ex compagna).
In modo del tutto aspecifico, il ricorrente ripercorre le stesse considerazioni svolte in sede di appello e confutate dall’ordinanza impugnata con le argomentazioni logiche e scevre da vizi giuridici appena riportate.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al
versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2024.