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Espulsione e divieto di espatrio: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di conflitto tra la misura di sicurezza dell’espulsione e la pena accessoria del divieto di espatrio applicate a un cittadino straniero, la prima deve prevalere. La sentenza chiarisce che il divieto di espatrio è una pena inefficace e illogica se applicata a uno straniero, poiché l’obbligo di rimanere in Italia si tradurrebbe in un beneficio anziché in una sanzione. Pertanto, l’ordine di espulsione al termine della pena detentiva è corretto e conforme alla legge, anche se la motivazione del giudice di merito non era perfetta.

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Pubblicato il 21 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Espulsione e Divieto di Espatrio: la Cassazione stabilisce la Priorità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36898 del 2024, ha affrontato un’interessante questione giuridica riguardante il conflitto tra due diverse misure sanzionatorie: l’espulsione e divieto di espatrio. Il caso riguarda un cittadino straniero che, al termine della sua pena detentiva, si è visto notificare l’ordine di espulsione, nonostante una precedente sentenza gli avesse imposto anche un divieto di lasciare l’Italia. La Corte ha chiarito quale delle due misure debba prevalere, basando la sua decisione su un principio di logica giuridica e di effettività della sanzione.

I Fatti del Caso: Un Conflitto tra Misure Esecutive

Un cittadino albanese, condannato per reati legati agli stupefacenti con due sentenze distinte, aveva terminato di scontare la sua pena detentiva. La prima sentenza di condanna aveva disposto nei suoi confronti la misura di sicurezza dell’espulsione dallo Stato. La seconda sentenza, invece, gli aveva inflitto la pena accessoria del divieto di espatrio per due anni.

Una volta terminata la detenzione, il pubblico ministero ha ordinato l’esecuzione dell’espulsione. Il condannato si è opposto, sollevando un incidente di esecuzione e sostenendo due argomenti principali:
1. L’espulsione non poteva essere eseguita senza una valutazione attuale della sua pericolosità sociale.
2. Il divieto di espatrio, essendo una pena accessoria, doveva essere eseguito prima, rendendo di fatto impossibile l’espulsione.

La Corte d’Appello aveva respinto le sue richieste, affermando che la competenza sulla pericolosità sociale spettava alla magistratura di sorveglianza e che la misura di sicurezza dell’espulsione avesse la priorità esecutiva. Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Cassazione: Analisi del Conflitto tra Espulsione e Divieto di Espatrio

La Suprema Corte ha esaminato i motivi del ricorso, rigettandolo e fornendo importanti chiarimenti sulla natura e l’applicazione delle due misure in conflitto.

La Questione sulla Pericolosità Sociale

Sul primo punto, la Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La Corte d’Appello aveva correttamente indicato la magistratura di sorveglianza come l’unica autorità competente a riesaminare la pericolosità sociale del condannato. Il ricorso non contestava specificamente questo punto della decisione, ma si limitava a riproporre la questione in modo generico.

Espulsione e Divieto di Espatrio: La Prevalenza della Logica Giuridica

Il cuore della sentenza riguarda il secondo punto, ovvero il conflitto tra le due misure. La Cassazione ha spiegato che l’espulsione e il divieto di espatrio sono ontologicamente incompatibili e si pongono in un rapporto di astratta alternatività. La loro applicazione dipende da un presupposto fondamentale: la cittadinanza del condannato.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha sottolineato che il divieto di espatrio ha natura di pena accessoria e ha senso come misura afflittiva solo se applicata a un cittadino italiano. Imporre a un cittadino l’obbligo di rimanere in Italia è una punizione che limita la sua libertà di circolazione.

Al contrario, applicare la stessa misura a un cittadino straniero, specialmente se irregolarmente soggiornante, non avrebbe alcun carattere punitivo. Anzi, si tradurrebbe in un vantaggio (“una premialità”), consentendogli di rimanere sul territorio nazionale contro la volontà dello Stato.

Per questa ragione, la Corte ha definito la pena accessoria del divieto di espatrio, applicata al ricorrente straniero, come “giuridicamente inefficace” in quanto “illegalmente applicata”. Il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto rilevare d’ufficio questa illegalità e risolvere l’apparente conflitto in favore della misura di sicurezza dell’espulsione. Anche se la Corte d’Appello aveva utilizzato una motivazione diversa, la sua decisione finale era comunque corretta e conforme a legge. La Cassazione, infatti, può correggere o integrare la motivazione di una decisione se il dispositivo finale è giuridicamente corretto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza stabilisce un principio chiaro: il divieto di espatrio non può essere applicato a un cittadino straniero, poiché perderebbe la sua natura sanzionatoria. Di conseguenza, in caso di coesistenza di questa pena accessoria con la misura di sicurezza dell’espulsione, è sempre quest’ultima a dover essere eseguita. Questa pronuncia rafforza la logica del sistema sanzionatorio, assicurando che le pene e le misure applicate siano sempre effettive e coerenti con la loro finalità, evitando paradossi giuridici come quello di “punire” uno straniero obbligandolo a rimanere in Italia.

Tra espulsione e divieto di espatrio per un cittadino straniero, quale misura prevale al termine della pena?
Prevale la misura di sicurezza dell’espulsione. La Corte di Cassazione ha stabilito che il divieto di espatrio è una pena accessoria logicamente e giuridicamente inapplicabile a un cittadino straniero, pertanto l’espulsione deve essere eseguita.

Perché il divieto di espatrio è considerato inapplicabile a un cittadino straniero condannato in Italia?
Perché la sua finalità è punitiva e consiste nel limitare la libertà di movimento, obbligando a rimanere in Italia. Per un cittadino straniero, specialmente se irregolare, tale obbligo non costituirebbe una punizione ma, al contrario, un beneficio, snaturando completamente il senso della pena.

Chi è competente a rivalutare la pericolosità sociale di un condannato ai fini dell’esecuzione di una misura di sicurezza?
La competenza esclusiva a riesaminare nel tempo la pericolosità sociale di un condannato spetta alla magistratura di sorveglianza, come indicato dall’art. 679 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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