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Espulsione e appello: la Cassazione chiarisce

Una cittadina straniera, condannata dal Giudice di pace per il reato di ingresso e soggiorno illegale, ha visto la sua pena pecuniaria convertita in espulsione. La Corte di Cassazione, investita del ricorso, ha chiarito che questo tipo di sentenza non è ricorribile per cassazione ma deve essere qualificato come appello. La ragione risiede nella natura della sanzione: l’espulsione, incidendo sulla libertà personale, richiede un riesame completo nel merito, garantito solo dal giudizio di appello. Di conseguenza, gli atti sono stati trasmessi al Tribunale competente.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Espulsione in sostituzione della pena: quando il ricorso diventa appello

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di impugnazioni contro le sentenze del Giudice di pace. Quando la condanna per il reato di soggiorno illegale prevede la misura dell’espulsione in sostituzione della pena pecuniaria, il mezzo di impugnazione corretto non è il ricorso per cassazione, ma l’appello. Questa decisione sottolinea la necessità di un esame approfondito del merito ogni volta che viene intaccata la libertà personale dell’imputato.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da una sentenza del Giudice di pace di Bergamo. Una cittadina straniera, non appartenente all’Unione Europea, veniva dichiarata responsabile del reato previsto dall’art. 10-bis del D.Lgs. 286/1998, per essersi trattenuta illegalmente sul territorio italiano senza un giustificato motivo. La condanna consisteva in un’ammenda di 5.000 euro. Tuttavia, il Giudice disponeva la conversione di tale pena pecuniaria nella misura dell’espulsione dal territorio nazionale, con un divieto di rientro per un periodo di cinque anni.

I Motivi del Ricorso e la decisione sull’espulsione

L’imputata, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per cassazione contro la sentenza, basandosi su due principali motivi:
1. Una presunta violazione procedurale relativa alla determinazione dell’orario di trattazione dell’udienza, che avrebbe leso il diritto di difesa.
2. L’erronea applicazione della legge penale (art. 10-bis D.Lgs. 286/1998), sostenendo che il procedimento avrebbe dovuto essere sospeso a fronte di una sua istanza di regolarizzazione.

La Procura Generale presso la Corte di Cassazione, analizzando il caso, non entrava nel merito dei motivi ma sollevava una questione preliminare, chiedendo di qualificare il ricorso come appello e di trasmettere gli atti al Tribunale di Bergamo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto la richiesta della Procura, basando la propria decisione su un consolidato orientamento giurisprudenziale. Il punto centrale della questione non riguarda i motivi del ricorso, ma la natura stessa dell’impugnazione. La Corte ha stabilito che ogni qualvolta una sentenza del Giudice di pace applichi la misura dell’espulsione in sostituzione di una pena pecuniaria, la sentenza non è direttamente ricorribile per cassazione, bensì appellabile.

La ratio legis (la finalità della norma) è chiara: l’espulsione è una sanzione che incide in modo significativo sulla libertà personale dell’individuo, limitandone la libertà di movimento e di stabilimento. Per tale ragione, la legge intende garantire un secondo grado di giudizio che possa riesaminare pienamente la vicenda, non solo sotto il profilo della legittimità (come avviene in Cassazione), ma anche nel merito dei fatti. L’appello, a differenza del ricorso, consente proprio questo tipo di scrutinio completo. Pertanto, qualificare l’impugnazione come appello assicura una maggiore tutela dei diritti fondamentali dell’imputato.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha qualificato l’impugnazione come appello e ha disposto la trasmissione degli atti al Tribunale di Bergamo. Questa ordinanza non risolve il caso nel merito, ma lo indirizza verso la sede giudiziaria corretta per la sua trattazione. La decisione ribadisce un principio fondamentale: le sanzioni che limitano la libertà personale, come l’espulsione, richiedono il massimo grado di garanzia processuale, che si concretizza nella possibilità di un riesame completo dei fatti attraverso il giudizio di appello. Per gli operatori del diritto, ciò significa prestare la massima attenzione nella scelta del corretto mezzo di impugnazione per evitare inammissibilità o, come in questo caso, una riqualificazione da parte del giudice superiore.

Una sentenza del Giudice di pace che converte una multa in espulsione è appellabile?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, una sentenza del Giudice di pace che applica la misura dell’espulsione in sostituzione della pena pecuniaria è appellabile e non direttamente ricorribile per cassazione.

Perché la Cassazione ha qualificato il ricorso come appello?
La Corte ha riqualificato il ricorso perché l’espulsione è una sanzione che incide sulla libertà personale. La ‘ratio legis’ (la finalità della legge) è di consentire un riesame completo nel merito della decisione, possibilità garantita solo dal giudizio di appello, a differenza del ricorso in Cassazione che è limitato a questioni di legittimità.

Qual è stata la conseguenza pratica della decisione della Corte?
La conseguenza è stata che la Corte di Cassazione non ha esaminato i motivi del ricorso, ma ha ordinato la trasmissione degli atti al Tribunale di Bergamo, che è il giudice competente per il giudizio di appello. Sarà quindi il Tribunale a dover riesaminare nel merito la sentenza del Giudice di pace.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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