Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23871 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23871 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 03/12/1974
avverso l’ordinanza del 29/10/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di TORINO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Visti gli atti e l’ordinanza impugnata; letti i motivi del ricorso;
considerato che l’art. 86 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, stabilisce, al primo comma, che «Lo straniero condannato per uno dei reati previsti dagli articoli 73, 74, 79 e 82, commi 2 e 3, a pena espiata deve essere espulso dallo Stato»;
che la disposizione deve essere interpretata alla luce dell’intervento della Corte costituzionale che, con sentenza n. 58 del 1995, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui obbliga il giudice a emettere l’ordin di espulsione, senza l’accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale, che si manifesta principalmente con la reiterazione dei fatti criminosi;
che la giurisprudenza di legittimità ha affermato, in proposito, che «Ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione dello straniero ex art. 86 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 per la avvenuta commissione di reati in materia di stupefacenti, è necessario non solo il previo accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale del condannato, in conformità all’art. 8 CEDU in relazione all’art. 117 Cost., ma anche l’esame comparativo della condizione familiare dell’imputato, ove ritualmente prospettata, con gli altri criteri di valutazione indicati dall’art. 133 cod. pen., in una prospettiva di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza sociale ed interesse del singolo alla vita familiare» (Sez. 4, n. 52137 del 17/10/2017, COGNOME, Rv. 271257; Sez. 3, n. 30493 del 24/06/2015, COGNOME, Rv. 264804; Sez. 4, n. 50379 del 25/11/2014, COGNOME, Rv. 261378);
che, nel caso in esame, il Tribunale di sorveglianza ha motivatamente ritenuto la persistenza della pericolosità sociale del condannato, gravato da un precedente definito per il reato sanzionato dall’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, commesso nel 2019, che gli è valso la condanna definitiva alla pena di quattro anni e otto mesi di reclusione e 20.00 euro di multa;
che il Tribunale di sorveglianza ha ulteriormente rilevato che NOME, titolare di un notevole curriculum criminale – essendo stato condannato, tra la fine degli anni ’90 del secolo scorso ed il 2019, per rapina, lesione personale, oltraggio a pubblico ufficiale, ricettazione, detenzione illegale di armi, fabbricazione e possesso di documenti falsi – non ha avviato alcun percorso di revisione critica del proprio agito delittuoso ed ha, quale unico riferimento familiare ed affettivo in Italia, un figlio maggiorenne con cui, però, non risulta avere convissuto;
che il formulato giudizio di attuale pericolosità sociale del condannato poggia, altresì, sull’avere egli serbato condotta carceraria irregolare, sulla persistente propensione al consumo di sostanza stupefacente, sull’assenza di riferimenti abitativi e lavorativi sul territorio;
che, a fronte di un apparato argomentativo alieno da qualsivoglia deficit
logico e coerente con le evidenze disponibili, il ricorrente si limita a contestare, in termini
di tangibile genericità, l’adeguatezza della motivazione sottesa al provvedimento impugnato ed evidenzia la disponibilità del figlio ad accoglierlo e l’assenza di
riferimenti familiari in Albania, paese di origine verso il quale, peraltro, egli è stato, medio tempore,
espulso in forza di autonomo provvedimento del Prefetto;
che, carente la sussistenza di una causa ostativa all’espulsione ex
art 19 d.lgs.
25 luglio 1998, n. 286, il Tribunale di sorveglianza risulta avere operato il prescritto bilanciamento tra l’interesse della collettività alla sicurezza pubblica e quello del
condannato a preservare la propria vita affettiva e familiare in termini che sfuggono al sindacato di legittimità, avuto riguardo, vieppiù, alla pregnanza delle
esigenze di difesa sociale ed alla relativa labilità della pregressa relazione tra il condannato ed il figlio;
che la decisione impugnata appare, pertanto, ossequiosa del canone ermeneutico (sancito dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento
all’espulsione quale misura alternativa alla detenzione, ma avente valenza generale) secondo cui l’espulsione dello straniero non può trovare applicazione neppure dopo l’entrata in vigore dell’art. 7, comma 1, lett. c), n. 1, d.l. 10 marzo 2023, n. 20, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 maggio 2023, n. 50, che ha abrogato l’art. 19, comma 1.1, terzo e quarto periodo, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 – quando si risolva in un’ingerenza nella vita privata e familiare dell’interessato, vietata dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come interpretato dalla Corte EDU (in questo senso, cfr. Sez. 1, n. 43082 del 07/11/2024, COGNOME, Rv. 287150 – 01);
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20 marzo 2025.