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Espulsione del condannato: quando è legittima?

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del provvedimento di espulsione del condannato straniero che non sia riuscito a dimostrare un effettivo e profondo radicamento nel territorio nazionale. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile in quanto le contestazioni sollevate erano di puro merito, non attinenti a violazioni di legge.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Espulsione del condannato: la Cassazione chiarisce i requisiti

L’espulsione del condannato straniero dal territorio nazionale è una misura che bilancia esigenze di sicurezza pubblica e diritti fondamentali dell’individuo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i criteri per la sua legittima applicazione, sottolineando l’importanza del ‘radicamento’ del soggetto in Italia. Analizziamo insieme questa decisione per comprendere meglio i principi in gioco.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un cittadino straniero contro un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza. Quest’ultimo aveva disposto la sua espulsione dal territorio dello Stato in applicazione dell’art. 16, comma 5, del Testo Unico sull’Immigrazione. Il ricorrente sosteneva di avere diritto a rimanere in Italia, facendo leva su presunti legami e asserzioni che, a suo dire, avrebbero dovuto impedire l’allontanamento.

La Decisione della Corte sulla legittimità dell’espulsione del condannato

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto il provvedimento di espulsione pienamente legittimo e conforme alla normativa vigente. La Corte ha stabilito che la decisione del Tribunale di Sorveglianza era stata presa nel pieno rispetto dei requisiti legali, poiché il ricorrente non era stato in grado di fornire prova di un effettivo e solido radicamento nel territorio italiano.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri principali. In primo luogo, l’assenza di un ‘radicamento dimostrato’. Per la Corte, non è sufficiente affermare di avere legami con il Paese; è necessario dimostrare l’esistenza di connessioni stabili e significative (sociali, familiari, lavorative) che possano fondare un diritto alla permanenza, come tutelato dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che protegge il diritto alla vita privata e familiare. Nel caso di specie, tale prova è mancata.

In secondo luogo, la natura del ricorso. Le argomentazioni del ricorrente sono state qualificate come ‘censure di puro merito’. Ciò significa che le sue contestazioni non riguardavano una presunta violazione o errata applicazione della legge da parte del giudice precedente, ma miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti. Questo tipo di riesame è precluso alla Corte di Cassazione, il cui compito è assicurare l’uniforme interpretazione della legge (funzione nomofilattica), non giudicare nuovamente il merito della vicenda.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza riafferma un principio cruciale: l’espulsione del condannato straniero è una misura applicabile quando manchi un legame concreto e verificabile con la comunità nazionale. La decisione sottolinea che non basta la mera presenza sul territorio per vantare un diritto alla permanenza, ma occorre dimostrare un’integrazione reale. Per chi si trova in situazioni analoghe, emerge con chiarezza l’onere di documentare e provare in modo inequivocabile i propri legami sociali e familiari per poter contrastare efficacemente un provvedimento di allontanamento. La condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende serve inoltre da deterrente contro ricorsi manifestamente infondati.

Quando può essere disposta l’espulsione di un condannato straniero dal territorio italiano?
L’espulsione può essere disposta nel rispetto dei requisiti previsti dall’art. 16, comma 5, del Testo Unico sull’Immigrazione, specialmente quando il condannato non è in grado di dimostrare un effettivo radicamento (legami sociali, familiari, lavorativi) nel territorio dello Stato.

Cosa si intende per ‘radicamento’ e perché è importante per evitare l’espulsione?
Per ‘radicamento’ si intende l’insieme di legami stabili e significativi che una persona ha con il territorio. È un concetto fondamentale perché, se dimostrato, può fondare il diritto alla permanenza ai sensi dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (diritto alla vita privata e familiare), contrastando così il provvedimento di espulsione.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni del ricorrente erano ‘censure di puro merito’, ossia contestazioni sulla valutazione dei fatti già operata dal giudice precedente. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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