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Espulsione cittadino straniero: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino straniero contro un decreto di espulsione emesso come sanzione alternativa alla detenzione. Il ricorso è stato respinto perché non contestava tutte le motivazioni della decisione precedente e le accuse di potenziale persecuzione religiosa nel paese d’origine erano generiche e non provate, così come la sua conversione religiosa. La Corte ha sottolineato che l’onere di provare un rischio concreto spetta al ricorrente.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Espulsione cittadino straniero: inammissibile il ricorso generico e non provato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43636/2024, ha fornito importanti chiarimenti sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi contro i provvedimenti di espulsione del cittadino straniero. La decisione sottolinea come la genericità delle censure e la mancata contestazione di tutte le motivazioni del giudice precedente rendano il ricorso inammissibile. Questo caso specifico riguarda un cittadino tunisino condannato per reati legati agli stupefacenti, la cui espulsione era stata disposta come sanzione alternativa alla pena detentiva.

I Fatti del Caso

Un cittadino tunisino, condannato a una pena di tre anni e tre mesi per reati di spaccio e violazione del divieto di reingresso in Italia, si era visto applicare la misura dell’espulsione dal Magistrato di sorveglianza. L’uomo si era opposto a tale provvedimento davanti al Tribunale di sorveglianza, adducendo due principali motivazioni:

1. La presenza di solidi legami familiari in Italia.
2. Il rischio di subire persecuzioni religiose nel suo paese d’origine, la Tunisia, a seguito della sua presunta conversione dall’Islam al Cattolicesimo.

Il Tribunale di sorveglianza aveva rigettato l’opposizione, rilevando la totale assenza di un legame stabile con la moglie (il ricorrente non sapeva neppure dove abitasse) e, soprattutto, la mancanza di qualsiasi prova sia della sua conversione religiosa sia delle presunte persecuzioni ai danni dei cristiani in Tunisia. Contro questa decisione, l’uomo ha proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su principi procedurali e sostanziali molto chiari, che costituiscono un vademecum per chiunque intenda impugnare un provvedimento simile. I giudici hanno evidenziato come il ricorso si concentrasse esclusivamente sulla presunta esistenza di persecuzioni religiose in Tunisia, tralasciando completamente di contestare le altre ragioni, autonome e sufficienti, che avevano già fondato la decisione del Tribunale di sorveglianza: l’assenza di legami familiari e, soprattutto, la mancata prova della conversione religiosa.

Le motivazioni sull’inammissibilità del ricorso per l’espulsione del cittadino straniero

La Corte ha articolato le sue motivazioni su più livelli.

In primo luogo, ha ribadito un principio cardine del processo di cassazione: è inammissibile il ricorso che critica solo una delle diverse rationes decidendi (ragioni della decisione) poste a fondamento del provvedimento impugnato. Se una decisione si regge su più pilastri autonomi, il ricorrente deve contestarli tutti. Nel caso di specie, anche se si fosse dimostrato il rischio di persecuzione in Tunisia, il ricorso sarebbe comunque caduto per la mancata prova della conversione, presupposto logico per temere una persecuzione su base religiosa.

In secondo luogo, la censura relativa alle persecuzioni è stata ritenuta generica. Il ricorrente si è limitato a sostenere che una semplice ricerca su internet avrebbe rivelato le discriminazioni contro i cristiani in Tunisia, senza però fornire alcuna allegazione specifica o prova concreta. La Corte ha ricordato che l’onere di prospettare adeguatamente l’esistenza di un rischio per la propria incolumità grava sull’interessato. Il giudice ha il dovere di verificare tali allegazioni, ma non può sopperire a una totale carenza probatoria.

Infine, la Corte ha citato un proprio precedente (sent. n. 24972/2022) in cui si affermava che l’assunto dell’assenza di libertà religiosa in Tunisia è ‘formalmente smentito’ dall’articolo 6 della Costituzione di quel Paese. Pur non entrando nel merito della situazione fattuale, questo riferimento indebolisce ulteriormente un’argomentazione già di per sé generica e priva di riscontri.

Conclusioni

La sentenza in commento ribadisce l’importanza della specificità e della completezza nell’atto di impugnazione. Chi si oppone all’espulsione del cittadino straniero non può limitarsi a formulare accuse generiche o a contestare solo una parte delle motivazioni del giudice. È necessario fornire elementi concreti a supporto delle proprie tesi e smontare, punto per punto, tutte le ragioni che sorreggono il provvedimento sfavorevole. La mancanza di prova su un elemento cruciale, come la conversione religiosa in questo caso, rende irrilevante qualsiasi discussione sulle sue potenziali conseguenze, portando inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità e alla condanna alle spese processuali.

Quando un ricorso per cassazione contro un provvedimento di espulsione è considerato inammissibile?
Un ricorso è inammissibile, per difetto di specificità, quando si limita a criticare solo una delle diverse ragioni autonome e autosufficienti (rationes decidendi) su cui si fonda la decisione impugnata, senza contestare le altre.

Chi ha l’onere di provare il rischio di persecuzione in caso di espulsione di un cittadino straniero?
Secondo la Corte, l’onere di prospettare adeguatamente l’esistenza di uno stato di rischio per la propria incolumità incombe sull’interessato. Il giudice ha il dovere di verificare la fondatezza delle allegazioni, ma queste devono essere specifiche e supportate da elementi concreti.

La semplice affermazione di una conversione religiosa è sufficiente per bloccare un’espulsione basata sul rischio di persecuzione?
No. La sentenza chiarisce che la mancanza di prova della conversione religiosa rende irrilevante e destinata a perdere di rilievo qualsiasi censura relativa all’esistenza di persecuzioni nel Paese d’origine, poiché viene a mancare il presupposto stesso del rischio lamentato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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