Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 43636 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 43636 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME COGNOME nato il 16/09/1982
avverso l’ordinanza del 27/03/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di GENOVA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha.chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 27 marzo 2024 il Tribunale di sorveglianza di Genova ha rigettato l’opposizione proposta da NOME COGNOME COGNOME avverso il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal Magistrato di sorveglianza di Massa il 4 dicembre 2023, ai sensi dell’art. 16, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
L’espulsione è stata disposta quale sanzione alternativa alla condanna alla pena di tre anni e tre mesi di reclusione di cui al provvedimento di cumulo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di La Spezia del 9 dicembre 2022 per reati in materia di stupefacenti e per quello di violazione del divieto di reingresso nel territorio dello Stato.
Il Tribunale ha respinto l’opposizione ritenendo infondate le prospettazioni difensive aventi ad oggetto l’esistenza di solidi legami familiari in territorio italiano e le presumibili persecuzioni religiose alle quali il condannato sarebbe sottoposto nel caso di ingresso nel territorio tunisino a causa della conversione dall’Islam al Cattolicesimo; è stato, altresì, evidenziato il pregresso esito negativo di un precedente affidamento in prova.
Il Tribunale ha messo in evidenza l’assenza di un legame stabile tra il condannato e la moglie, al punto che NOME non è stato in grado di indicare il luogo in cui la coniuge abita.
In relazione al pericolo di persecuzioni per la fede religiosa, è stata segnalata l’assenza di allegazioni e prove in ordine alle circostanze affermate sul punto.
Avverso il provvedimento ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per mezzo del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME articolando un motivo con il quale ha eccepito violazione di legge in relazione all’art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998.
In particolare, ha lamentato l’applicazione solo parziale di tale norma non avendo il Tribunale verificato, effettivamente, la condizione in cui si trovano i credenti di religione Cattolica in Tunisia.
A tale proposito, ha evidenziato come, anche con la sola consultazione della rete intemet sarebbe agevole rendersi conto delle discriminazioni religiose praticate, in quel Paese, verso i Cristiani.
Ricorrendo i presupposti per affermare l’esistenza di pericolo concreto per la vita e l’incolumità del ricorrente, non avrebbe potuto essere disposta l’espulsione.
Il Procuratore generale ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il Tribunale di sorveglianza ha fondato il proprio provvedimento sulla base di diverse rationes decidendi.
In particolare, ha escluso l’esistenza di radicati rapporti familiari del ricorrente in Italia e la prova della sua conversione religiosa dall’Islam al Cattolicesimo.
Ha, inoltre, escluso la prova delle persecuzioni verso i Cristiani in Tunisia e solo su tale profilo si appunta il ricorso che non contrasta, in alcun modo, le altre affermazioni contenute nell’ordinanza impugnata.
Da ciò discende un primo motivo di inammissibilità del ricorso atteso che non risulta un adeguato confronto con tutte le ragioni poste a fondamento della decisione.
Va ribadito, infatti, che «è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione che .si limiti alla critica di una sola delle diverse “rationes decidendi” poste a fondamento della decisione, ove queste siano autonome ed autosufficienti» (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448, Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972).
A ciò va aggiunto che anche la censura riferita all’esistenza di persecuzioni in Tunisia ai danni dei Cristiani è generica in quanto si limita a confutare quanto sostenuto nel provvedimento impugnato ed è, comunque, destinata a perdere, sostanzialmente, di rilievo in assenza della contestazione del profilo riferito alla mancanza di prova della conversione.
Va ribadito che «in tema di espulsione del condannato cittadino straniero, ai fini della valutazione in ordine alla sussistenza della causa ostativa, di cui all’art. 19 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, concernente il pericolo di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali, incombe sull’interessato l’onere di adeguatamente prospettare l’esistenza di uno stato di rischio per la propria incolumità, mentre grava sul giudice il dovere di verificare in concreto, alla luce di tutti gli elementi disponibili, anche di provenienza extragiudiziaria, la fondatezza delle allegazioni difensive riguardo a tale stato di rischio, che non può essere escluso in ragione di un mero sospetto di insussistenza dello stesso» (Sez. 3, n. 33404 del 21/01/2021, A., Rv. 281936).
Peraltro, proprio in tema di cittadino tunisino espulso che aveva dedotto l’esistenza di una condizione di rischio nel Paese di origine a seguito della conversione alla religione cristiana, questa Corte (Sez. 1, n. 24972 del 18/03/2022, Riadh, n.m.), richiamato il principio in tema di onere di allegazione della condizione di rischio, ha già affermato che «l’assunto dell’assenza di libertà religiosa in Tunisia risulta «formalmente smentito dal vigente art. 6 della Costituzione di quel Paese (legge straniera, cui il giudice italiana ha diretto accesso: Sez. 1 civ., n. 19428 del 03/08/2017, Rv. 645179-01)».
Inoltre, in quel caso, così come in quello esaminato in questa sede, l’assunto del ricorrente è stato a tal punto generico da rendere impossibile qualsiasi controllo giudiziale.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuale e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» al versamento della somma, equitativamente fissata in euro tremila, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/09/2024