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Esposto disciplinare: quando non è diffamazione

Un avvocato, condannato per diffamazione a seguito di un esposto disciplinare contro un collega, viene assolto in Cassazione. La Corte stabilisce che la segnalazione all’organo competente, se contestualizzata e non gratuitamente offensiva, rientra nel legittimo esercizio del diritto di critica e non integra il reato di diffamazione, poiché il fatto non sussiste.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esposto disciplinare e diffamazione: la Cassazione traccia il confine

Presentare un esposto disciplinare contro un collega avvocato, accusandolo di condotte professionalmente scorrette, può configurare il reato di diffamazione? A questa domanda cruciale per la professione forense ha risposto la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23566 del 2024, stabilendo un principio fondamentale: se la segnalazione è un legittimo esercizio del diritto di critica, inviata all’organo competente, il reato non sussiste. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Un avvocato presentava un esposto al Consiglio dell’Ordine di competenza, segnalando presunte irregolarità commesse da un collega e dal suo assistito in alcuni procedimenti civili. Nell’esposto, l’avvocato accusava la controparte di aver formulato “eccezioni palesemente temerarie”, prodotto “prove di dubbia provenienza” e di aver tenuto “condotte di tutto illecite”.
A seguito di tale esposto, l’avvocato veniva querelato e condannato per diffamazione sia in primo grado che in appello. Secondo i giudici di merito, le espressioni utilizzate, data la loro genericità, non erano funzionali a un legittimo vaglio deontologico, ma miravano unicamente a ledere la reputazione del collega. L’avvocato decideva quindi di ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sull’esposto disciplinare

La Suprema Corte ha ribaltato completamente il verdetto dei gradi precedenti, annullando la sentenza di condanna senza rinvio “perché il fatto non sussiste”. Secondo gli Ermellini, i giudici di merito hanno commesso un errore fondamentale: hanno valutato le frasi incriminate in modo isolato e parcellizzato, senza considerarle nel loro contesto complessivo, ovvero quello di un esposto disciplinare destinato a un organo preposto proprio alla valutazione di tali condotte.

Le Motivazioni: l’esercizio del diritto di critica

La Corte di Cassazione ha chiarito che l’invio di un esposto al Consiglio dell’Ordine è, per sua natura, finalizzato a segnalare comportamenti ritenuti deontologicamente scorretti. Negare la possibilità di utilizzare espressioni critiche in tale sede significherebbe, di fatto, svuotare di significato il diritto stesso di adire l’organo disciplinare.

Il Collegio ha sottolineato i seguenti punti chiave:
1. Contesto e Finalità: Le dichiarazioni devono essere valutate tenendo conto del contesto in cui sono rese e della loro finalità. In questo caso, l’obiettivo non era denigrare pubblicamente il collega, ma sollecitare una valutazione disciplinare nella sede competente.
2. Visione d’Insieme: L’esposto non può essere giudicato estrapolando singole frasi. Deve essere letto nella sua interezza, considerando anche i documenti allegati e i richiami a precedenti segnalazioni che circostanziano le accuse.
3. Diritto di Critica: L’imputato ha esercitato legittimamente il proprio diritto di esprimere un’opinione critica, fondata su fatti specifici e documentati, demandando all’organo disciplinare il compito di valutarne la fondatezza. La prospettazione, pur critica, non era categorica ma si rimetteva alla valutazione di un terzo organo.

I giudici di merito avevano erroneamente ricondotto la natura diffamatoria alla “genericità” delle accuse, mentre la Cassazione ha evidenziato che l’esposto era tutt’altro che generico, essendo correlato a specifici comportamenti tenuti in cause civili ben identificate e supportato da documentazione.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante baluardo a tutela del diritto-dovere di ogni avvocato di segnalare condotte che ritiene contrarie alla deontologia professionale. La Corte di Cassazione ha riaffermato che l’esposto disciplinare è lo strumento appropriato per tali segnalazioni e che, se utilizzato correttamente, non può essere assimilato a un attacco diffamatorio. La critica, anche aspra, rivolta a un collega nella sede disciplinare è legittima se non trascende in gratuiti attacchi personali e se è funzionale a sollecitare un controllo deontologico. Viene così tracciato un confine netto tra la diffamazione e il corretto esercizio di un diritto fondamentale per la tutela della dignità e del decoro della professione forense.

Presentare un esposto disciplinare contro un collega avvocato costituisce reato di diffamazione?
No, secondo questa sentenza, non costituisce reato di diffamazione se rappresenta un legittimo e civile esercizio del diritto di critica rivolto all’organo competente a valutare il rispetto delle regole deontologiche, e non un attacco personale gratuito.

Come devono essere valutate le espressioni contenute in un esposto disciplinare per non essere considerate diffamatorie?
Devono essere valutate nel loro contesto complessivo, considerando l’intero testo dell’esposto, la documentazione allegata e la finalità di sollecitare un controllo disciplinare. Una lettura parcellizzata che estrapola singole frasi è errata; le affermazioni, pur critiche, devono essere funzionali allo scopo e non trascendere in offese gratuite.

Cosa significa che la Corte di Cassazione annulla la sentenza “senza rinvio perché il fatto non sussiste”?
Significa che la Corte non solo ha annullato la decisione di condanna, ma ha stabilito in via definitiva che il comportamento dell’imputato non costituisce reato. Non è necessario un nuovo processo d’appello (rinvio) perché la questione è stata risolta in modo conclusivo, con la piena assoluzione dell’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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