Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35855 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35855 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Bergamo il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/06/2023 della Corte di appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria dell’AVV_NOTAIO, difensore del ricorrente, che ha concluso
chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Brescia- in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Bergamo il 06/11/2019- riteneva NOME COGNOME responsabile limitatamente ai reati di furto aggravato ex art. 625, comma 1, n 7, cod. pen. contestati nei capi sub n. 4),5),6),7),8),9),11),13) e 14), mentre dichiarava non doversi procedere per mancanza di querela in relazione ai reati di furto contestati nei capi sub 1),3) e 12) della rubrica.
Ha proposto ricorso il COGNOME, con atto sottoscritto dal suo difensore, deducendo:
vizio di motivazione, per mancanza, illogicità e contraddittorietà, avendo la Corte di appello ritenuto sussistente l’aggravante della esposizione alla pubblica fede in relazione ai reati di furto contestati nei capi sub 5),6),7),8),12) e 14) sulla base della mera collocazione all’esterno dei magazzini della “res” furtiva senza, purtuttavia, verificare la sussistenza dei requisiti di necessità e/o di abitualità;
violazione di legge e vizio di mancanza di motivazione, non avendo la Corte distrettuale verificato la presentazione di rituale querela in relazione al reato di furto contestato al capo sub 8) della rubrica;
vizio di mancanza di motivazione, non avendo la sentenza impugnata motivato in ordine al giudizio di equivalenza tra le circostanze aggravanti e le circostanze attenuanti di cui agli artt. 62, n. 4, e 62 bis cod. pen.
Il procedimento è stato trattato nell’odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati da successive modifiche legislative.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e va accolto.
1.1. L’aggravante di cui all’art. 625, n. 7, cod. pen. ricorre se le cose oggetto di furto siano esposte per necessità, per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede. Sia la necessità che la consuetudine devono valutarsi in rapporto alle particolari circostanze concrete che inducono il derubato a lasciare le proprie cose fuori della propria assidua vigilanza e custodia. «Quanto alla necessità, la condotta deve essere imposta da particolari situazioni e da impellenti bisogni della vita quotidiana al quale l’offeso è chiamato a far fronte, in contrapposizione agli opposti concetti di comodità e di trascuratezza nella vigilanza; quanto alla consuetudine occorre accertare una pratica di fatto generale e costante, ancorché ispirata alla ricerca di una comodità e non imposta da un’esigenza dalla quale non si possa prescindere»(ex muitis, Sez. 4, n.34850 del 15/07/2010 -dep. 27/09/2010).
1.2. Nel caso in esame, la Corte di appello ha ritenuto sussistente l’aggravante in oggetto sulla scorta della mera collocazione dei bancali illecitamente asportati
nel piazzale e/o nel cortile esterno agli esercizi commerciali, di volta in volta interessati dalle contestate condotte furtive.
Nessuna argomentazione è stata, tuttavia, spesa in ordine alla dedotta questione circa la necessità o la consuetudine di lasciare la res furtiva all’esterno dei magazzini. La sentenza è completamente carente di motivazione sul devolutum, nonostante il difensore abbia specificamente contestato, in relazione a ciascuno episodio di furto, la sussistenza della necessità e/o della consuetudine della esposizione alla pubblica fede.
Né il denunciato vulnus motivazionale può essere “sanato” dal rinvio recettizio al compendio argomentativo della sentenza di primo grado, le cui argomentazioni appaiono da un lato assertive, ove vengono richiamate prassi non accertate o verificate, dall’altro evocative di situazioni di mera comodità, nettamente distinte dalla necessità impellente e non altrimenti differibile.
La sentenza impugnata ha parimenti omesso di valutare il motivo relativo alla procedibilità del delitto di furto sub 8) della rubrica per assenza di rituale querela. Il difensore, con l’atto di appello, ha dedotto che la denuncia era stata presentata da persona non legittimata e non conteneva istanza di punizione.
La disamina del carteggio processuale, consentita in sede di legittimità quando viene dedotta una questione dì rito, consente di ritenere in parte fondati i rilievi in oggetto.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale, al quale questa Corte ritiene di aderire, la querela, consistendo in una manifestazione di volontà, deve essere considerata un vero e proprio negozio giuridico, di guisa che valgono, per la sua interpretazione, le regole stabilite dagli artt. 1362 e segg. cod. civ. che contengono i principi generali che appunto devono tenersi presenti nell’interpretazione dei negozi giuridici. Sicché, anche per la querela, si deve indagare quale sia stata l’intenzione del suo autore (ex multis, Sez. 1, n. 1087 del 24/06/1968, COGNOME, Rv. 109255; Sez. 3, n. 1037 del 09/10/1984, COGNOME, Rv. 167633; Sez. 2, n. 4554 dell’11/01/1986, COGNOME, Rv. 172884), dovendo essere valutata la natura dell’atto che è quella di condizione di procedibilità- e la funzione dello stesso, che è essenzialmente quella di consentire all’autorità procedente la sicura individuazione del fatto-reato. Per tale ragione, si è ritenuto che «contenuto necessario e sufficiente per la sua validità è che il querelante manifesti l’istanza di punizione in ordine ad un fatto-reato, senza ulteriori precisazioni, dettagli o circostanziate descrizioni» (ex multis, Sez. 3, n. 1210 del 09/11/1993, Frullano, Rv. 196479).
2.1. Nel caso in esame, l’atto a firma della persona delegata a sporgere la denuncia di furto, sebbene nella intestazione contenga il riferimento esplicito alla querela, non può ritenersi idoneo ad assolvere alla funzione di condizione di
procedibilità dell’azione penale. Per quanto la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa non richieda formule particolari e possa essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione, la mera narrazione degli episodi criminosi – come avvenuto nel caso di specie- pertanto non è espressione di volontà punitiva e non può essere qualificata come valida manifestazione del diritto di querela.
Per le esposte argomentazioni, si impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al reato di furto contestato nel capo sub 8), perché l’azione penale non può essere proseguita per difetto di querela con conseguente eliminazione della relativa pena.
In ordine agli ulteriori episodi di furto contestati nei capi sub 5),6),7), 12) e 14), la sentenza va annullata con rinvio limitatamente alla configurabilità della contestata circostanza aggravante della esposizione alla pubblica fede ex art. 625, n 7, cod. pen. e alla conseguente rideterminazione della pena.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 8), perché l’azione penale non può essere proseguita per difetto di querela ed elimina la relativa pena. Annulla la sentenza impugnata per i residui reati e rinvia per nuovo giudizio su tali capi ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia.
Così deciso il 03/07/2024.