Esimente Art. 649 c.p.: Perché non si applica all’uso indebito di carte di credito in famiglia?
L’utilizzo non autorizzato di una carta di credito appartenente a un familiare è un semplice furto o un reato più complesso? A questa domanda ha risposto la Corte di Cassazione con una recente ordinanza, chiarendo i confini applicativi dell’esimente art. 649 c.p., ovvero la causa di non punibilità per i reati contro il patrimonio commessi in danno di congiunti. La decisione sottolinea la natura plurioffensiva del delitto di indebito utilizzo di carte di pagamento, distinguendolo nettamente dai reati patrimoniali semplici e tracciando un principio di diritto di grande rilevanza pratica.
I fatti del caso: un figlio utilizza la carta del genitore
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato, condannato per l’indebito utilizzo della carta di credito del proprio genitore. La difesa sosteneva che il fatto dovesse essere riqualificato come un semplice furto (art. 624 c.p.) e, di conseguenza, dovesse essere applicata la causa di non punibilità prevista dall’articolo 649 del codice penale. Quest’ultima norma, infatti, esclude la punibilità per i delitti contro il patrimonio commessi, tra gli altri, a danno di un ascendente (come un genitore), salvo specifiche eccezioni.
La questione giuridica e la difesa dell’imputato
La strategia difensiva si basava su un’interpretazione volta a minimizzare la gravità della condotta, riconducendola a una mera sottrazione di denaro nell’ambito familiare. Se il giudice avesse accettato questa tesi, l’imputato avrebbe potuto beneficiare di un’esclusione totale della pena. Tuttavia, il reato contestato era quello previsto dall’art. 493-ter c.p. (Indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito e di pagamento), una fattispecie che il legislatore ha inteso punire in modo più severo.
La decisione della Cassazione sull’esimente art. 649 c.p.
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. Il ricorso è stato ritenuto generico, in quanto si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello, senza un reale confronto critico con le motivazioni della sentenza impugnata. Ma, soprattutto, la Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio fondamentale in materia.
Le motivazioni: perché l’uso di carta di credito è un reato plurioffensivo
Il cuore della decisione risiede nella qualificazione giuridica del reato di indebito utilizzo di carte di credito. La Cassazione ha spiegato che l’esimente art. 649 c.p. è una norma di carattere eccezionale e, come tale, non può essere applicata per analogia a reati che non siano esclusivamente contro il patrimonio.
Il delitto previsto dall’art. 493-ter c.p. è definito ‘plurioffensivo’. Questo significa che la sua commissione non lede soltanto il patrimonio del singolo titolare della carta, ma offende anche altri beni giuridici di rilevanza pubblica:
1. L’ordine pubblico ed economico: l’abuso degli strumenti di pagamento mina la fiducia degli operatori economici e dei consumatori nel sistema finanziario.
2. La fede pubblica: viene lesa la fiducia collettiva nella genuinità e sicurezza dei mezzi di pagamento elettronici, che sono essenziali per il moderno commercio.
Poiché la dimensione lesiva del reato trascende l’interesse patrimoniale del singolo individuo per estendersi a interessi collettivi, non è possibile applicare una norma, come l’art. 649 c.p., pensata unicamente per i reati che si esauriscono nell’aggressione al patrimonio di un congiunto.
Conclusioni: le implicazioni pratiche della sentenza
L’ordinanza della Suprema Corte consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: i legami familiari non offrono uno ‘scudo’ di impunità per chi utilizza indebitamente la carta di credito di un parente. La decisione riafferma l’importanza di proteggere la sicurezza e l’affidabilità dei sistemi di pagamento elettronico, un bene giuridico che prevale sulle ragioni di opportunità che giustificano la non punibilità dei reati patrimoniali in ambito familiare. Di conseguenza, chi commette un simile atto deve essere consapevole di rispondere di un reato grave, le cui conseguenze penali non possono essere neutralizzate invocando il rapporto di parentela con la vittima.
Una persona può essere punita per aver usato la carta di credito di un familiare senza permesso?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, l’utilizzo indebito della carta di credito di un familiare costituisce il reato previsto dall’art. 493-ter del codice penale e non è coperto dalla causa di non punibilità prevista per i reati patrimoniali in famiglia.
Perché l’esimente dell’art. 649 c.p. (non punibilità tra congiunti) non si applica all’uso indebito di una carta di credito?
Non si applica perché l’esimente è prevista solo per i delitti contro il patrimonio. L’uso indebito di una carta di credito è invece un reato ‘plurioffensivo’, che lede non solo il patrimonio del titolare della carta ma anche beni collettivi come l’ordine pubblico, l’ordine economico e la fede pubblica nel sistema dei pagamenti.
Cosa significa che il reato di indebito utilizzo di carta di credito è ‘plurioffensivo’?
Significa che la condotta criminale danneggia più beni giuridici tutelati dalla legge. In questo caso, oltre al patrimonio della persona a cui è sottratta la carta, viene lesa la fiducia generale nella sicurezza e nell’affidabilità degli strumenti di pagamento elettronici, un interesse che appartiene a tutta la collettività.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10652 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10652 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 12/08/1981
avverso la sentenza del 23/09/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, che lamenta la mancata riqualificazione della fattispecie di cui all’art. 493-ter cod. pen. in quella di cui all’art. 624 cod. pen., con conseguente applicabilità della causa di non punibilità ex art. 649 cod. pen., non è consentito poiché non risulta connotato dai requisiti, richiesti a pena di inammissibilità del ricorso, dall’ art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., essendo fondato su profili di censura che si risolvono nella reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non caratterizzati da un effettivo confronto con le ragioni poste a base della decisione, e dunque non specifici ma soltanto apparenti, omettendo di assolvere la tipica funzione di una concreta critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (si veda pagg. 4 della sentenza impugnata ove, con corretti argomenti logici e giuridici, il giudice di appello ritiene corretta la qualificazione giuridica, sussistendo ogni elemento costitutivo del reato ascritto);
ritenuto che questa Corte ha avuto modo di precisare che non è applicabile l’esimente di cui all’art. 649 cod. pen. (fatti commessi in danno di congiunti) al delitto di indebito utilizzo di una carta di credito previsto dall’ art. 55, comma 9, d.lgs n. 231 del 2007, (oggi confluito nell’ art. 493-ter cod. pen.), nell’ipotesi in cui la condotta delittuosa sia stata posta in essere da un familiare (nel caso di specie il figlio) del titolare della carta, attesa la natura plurioffensiva del reato “de quo”, la cui dimensione lesiva trascende il mero patrimonio individuale per estendersi, in modo più o meno diretto, a valori riconducibili all’ambito dell’ordine pubblico, economico e della fede pubblica, mentre la previsione di cui all’art. 649 cod. pen. concerne esclusivamente i delitti contro il patrimonio ed ha una natura eccezionale che ne preclude l’applicazione in via analogica. (Sez. 2, n. 47135 del 25/09/2019, COGNOME, Rv. 277683 – 01)
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 18 febbraio 2025.