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Esimente art. 384 c.p.: quando non si applica

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per favoreggiamento personale. Si ribadisce che l’applicazione dell’esimente art. 384 c.p. (stato di necessità per salvare sé o un prossimo congiunto) è subordinata alla condizione che la condotta illecita rappresenti l’unica alternativa possibile per evitare un grave pregiudizio, una valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Favoreggiamento: i Limiti dell’Esimente Art. 384 c.p. secondo la Cassazione

Con l’ordinanza n. 29854 del 2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui confini applicativi di una norma cruciale del nostro ordinamento: l’esimente art. 384 c.p.. Questa disposizione prevede la non punibilità per chi commette determinati reati, come il favoreggiamento personale, per la necessità di salvare sé stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile danno alla libertà o all’onore. Il caso in esame offre uno spunto fondamentale per comprendere come la giurisprudenza interpreti in modo rigoroso tale causa di non punibilità, escludendone l’applicazione quando la condotta illecita non rappresenta l’unica via percorribile.

Il Caso in Analisi: Un Ricorso per Favoreggiamento Personale

La vicenda processuale trae origine dalla condanna di un soggetto per il reato di favoreggiamento personale. L’imputato, nel tentativo di ottenere l’assoluzione, aveva proposto ricorso per Cassazione lamentando la mancata applicazione, da parte della Corte d’Appello, della causa di non punibilità prevista dall’art. 384 del codice penale. A suo dire, la sua condotta era stata dettata dalla necessità di evitare un grave pregiudizio a un proprio congiunto, integrando così i presupposti della norma.

La Corte d’Appello aveva già respinto questa tesi, ritenendo che, alla luce delle circostanze concrete, l’imputato avesse a disposizione alternative lecite per gestire la situazione senza commettere un reato. Il ricorso in Cassazione si basava essenzialmente sulla riproposizione della medesima censura.

L’Interpretazione restrittiva dell’Esimente art. 384 c.p.

La Suprema Corte, nel dichiarare il ricorso inammissibile, coglie l’occasione per ribadire i principi consolidati in materia. Viene chiarito che l’esimente art. 384 c.p. non costituisce una giustificazione che rende lecito il fatto (esclusione dell’antigiuridicità), bensì una causa di esclusione della colpevolezza. In altre parole, il fatto commesso resta contrario alla legge, ma l’autore non è considerato punibile a causa della forte pressione psicologica derivante dalla necessità di proteggere un bene fondamentale come la libertà o l’onore.

Proprio per questa sua natura, la norma opera solo in condizioni eccezionali e rigorose. La giurisprudenza, richiamata anche nell’ordinanza, è costante nell’affermare che la non punibilità scatta solo quando la condotta criminosa si presenti all’agente come l’unica opzione possibile per scongiurare il grave pregiudizio. La valutazione deve essere condotta secondo il parametro della massima diligenza esigibile, analizzando se esistevano altre vie, anche se più complesse o onerose, che non implicassero la commissione di un reato.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, in quanto riproduttivo di una censura a cui la Corte d’Appello aveva già fornito una risposta corretta e ben motivata. I giudici di legittimità hanno sottolineato che la Corte territoriale, dopo un’attenta ricostruzione della vicenda, aveva escluso, con una valutazione di merito, che la condotta dell’imputato fosse l’unica in grado di evitare il pregiudizio temuto.

Questo tipo di accertamento, riguardando l’analisi dei fatti e delle circostanze specifiche del caso, non è sindacabile in sede di Cassazione. La Suprema Corte, infatti, non è un terzo grado di giudizio sui fatti, ma un giudice di “legittimità”, il cui compito è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. Poiché la decisione della Corte d’Appello era motivata in modo logico e conforme ai principi di diritto, il ricorso non poteva che essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Conclusioni: L’Onere di Allegazione e la Valutazione del Giudice di Merito

La pronuncia in esame conferma che l’esimente art. 384 c.p. non può essere invocata come un’automatica via di fuga dalla responsabilità penale in situazioni di conflitto. Chi la invoca ha l’onere di dimostrare che non esisteva alcuna alternativa lecita praticabile. La decisione finale spetta al giudice di merito, il quale è chiamato a un’analisi casistica approfondita, bilanciando il dovere di non commettere reati con la tutela di beni fondamentali. Tale valutazione, se adeguatamente motivata, diventa insindacabile in sede di legittimità, cristallizzando la responsabilità penale di chi, pur in una situazione difficile, sceglie la via dell’illecito pur avendone a disposizione altre.

L’esimente prevista dall’art. 384 del codice penale si applica sempre quando si agisce per salvare un familiare?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che questa causa di non punibilità opera solo in condizioni molto restrittive. È necessario che la condotta illecita (es. favoreggiamento) sia l’unica opzione concretamente disponibile per evitare un grave e inevitabile danno alla libertà o all’onore proprio o di un congiunto.

Qual è la natura giuridica dell’esimente per favoreggiamento personale?
Secondo la giurisprudenza citata, l’art. 384 c.p. non rende lecita l’azione (non esclude l’antigiuridicità), ma esclude la colpevolezza dell’agente. Ciò significa che il fatto rimane un reato, ma il suo autore non è punibile a causa della particolare pressione psicologica subita.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione del giudice di merito sulla non applicabilità dell’art. 384 c.p.?
No, la decisione se la condotta fosse o meno l’unica via d’uscita è una “valutazione di merito” basata sull’analisi dei fatti concreti. Salvo vizi logici o di diritto evidenti, questa valutazione compiuta dalla Corte d’Appello non è sindacabile dalla Corte di Cassazione, che è giudice di legittimità e non può riesaminare i fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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