Esimente art. 384 c.p. e Testimonianza del Familiare: Quando Non si Applica
L’obbligo di dire la verità in un’aula di tribunale si scontra talvolta con i legami familiari più stretti. La legge penale prevede una speciale causa di non punibilità, l’esimente art. 384 c.p., per chi commette reati contro l’amministrazione della giustizia per salvare un parente stretto. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti invalicabili di questa tutela, specialmente quando il testimone è stato preventivamente informato del suo diritto di astenersi dal deporre.
I Fatti del Processo
Una donna proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli che l’aveva condannata. Il fulcro della sua difesa si basava sull’applicabilità dell’esimente prevista dall’art. 384 del codice penale, sostenendo di aver agito per proteggere un suo stretto congiunto. La ricorrente, in sostanza, riproponeva questioni di diritto che erano già state esaminate e respinte nei precedenti gradi di giudizio.
La Decisione della Cassazione sull’Esimente art. 384 c.p.
Con l’ordinanza in esame, la settima sezione penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio giuridico ormai consolidato, che limita fortemente l’applicazione dell’esimente art. 384 c.p. La Corte ha ritenuto che il motivo di ricorso non presentasse elementi di novità o critiche fondate rispetto a quanto già correttamente deciso dalla Corte d’Appello, aderendo a un orientamento giurisprudenziale consolidato.
Le Motivazioni: Perché la Tutela del Familiare Non si Applica
Il cuore della motivazione risiede in un indirizzo ormai pacifico della giurisprudenza di legittimità, sancito in particolare dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 7208 del 2008. Secondo tale principio, l’esimente non può essere invocata dal familiare che, prima di rendere la testimonianza, sia stato debitamente avvisato della sua facoltà di non deporre.
L’avviso preventivo neutralizza lo ‘stato di necessità’ che l’art. 384 c.p. mira a tutelare. In altre parole, una volta informato della possibilità di astenersi, il familiare non è più ‘costretto’ a testimoniare. Se sceglie liberamente di deporre e in quella sede dichiara il falso, la sua condotta non è più scusabile. La scelta di mentire diventa una decisione volontaria e non una reazione inevitabile a una situazione di pressione emotiva per salvare il congiunto. La Corte ha quindi ribadito che riproporre tale questione, già risolta in senso negativo, rende il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile.
Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche della Decisione
La dichiarazione di inammissibilità ha comportato, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, due conseguenze dirette per la ricorrente. In primo luogo, la condanna al pagamento delle spese processuali. In secondo luogo, il versamento di una somma di 3.000 euro in favore della cassa delle ammende, una sanzione pecuniaria legata alla presentazione di un ricorso infondato.
Questa ordinanza rafforza un importante principio di diritto: la protezione dei legami familiari non può tradursi in un’autorizzazione a inquinare il processo con false dichiarazioni, soprattutto quando l’ordinamento offre uno strumento chiaro, la facoltà di astensione, per risolvere il conflitto tra dovere civico e affetti personali. La scelta di testimoniare, una volta ricevuta l’apposita avvertenza, è una scelta che comporta la piena assunzione di responsabilità.
Un familiare può mentire durante una testimonianza per proteggere un parente?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se un familiare è stato formalmente avvisato della sua facoltà di non testimoniare ma sceglie comunque di farlo, non può più beneficiare della causa di non punibilità (esimente) prevista dall’art. 384 c.p. qualora dichiari il falso.
Che cos’è l’esimente dell’art. 384 del codice penale?
È una norma che esclude la punibilità per chi commette alcuni reati contro l’amministrazione della giustizia (come la falsa testimonianza) perché costretto dalla necessità di salvare sé stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile danno alla libertà o all’onore.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale, la parte che ha presentato il ricorso viene condannata a pagare le spese del procedimento e a versare una somma di denaro, stabilita dal giudice, alla cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11228 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11228 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/05/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che il motivo unico di ricorso è inammissibile perché ripropone questioni in diritto già affrontate e respinte correttamente dalla sentenza impugnata, in adesione ad un indirizzo ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità che esclude l’applicazione dell’esimente di cui all’art. 384 c.p. nel caso in cui la testimonianza sia stata resa da uno stretto congiunto dopo aver ricevuto l’avviso della facoltà di non deporre (Sez. U, n. 7208 del 29/11/2007, dep. 2008, Genovese, Rv. 238384);
rilevato che dalla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 3000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrenttal pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il giorno 16 febbraio 2024
Il Consigliere estensore