Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 14092 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 14092 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BOVALINO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 28/11/2023 del TRIB. LIBERTA di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che
ha chiesto il rigetto del ricorso
r
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza del 28 novembre 2023, il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza del 19 ottobre 2023 con la quale la Corte di appello di Reggio Calabria ha respinto la richiesta di sostituire la misura cautelare della custodia in carcere, applicata a NOME per i reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, con quella degli arresti domiciliari.
Contro l’ordinanza del Tribunale il difensore di NOME ha proposto tempestivo ricorso col quale lamenta violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla attualità RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari e alla esclusiva adeguatezza della misura detentiva. Il difensore sostiene che il Tribunale avrebbe ingiustamente sottovalutato l’elemento di novità rappresentato dal tempo trascorso in stato di detenzione. Osserva inoltre: che NOME è detenuto dal 2019 per fatti risalenti nel tempo; che la associazione di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90 (capo a) ha cessato di operare nel settembre del 2017; che le violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90 RAGIONE_SOCIALE quali COGNOME è stato ritenuto responsabile sono state commesse tra il mese di settembre del 2016 e il mese di luglio del 2017 sicché dai fatti sono decorsi più di sei anni. Secondo il difensore, la motivazione dell’ordinanza impugnata è manifestamente illogica nella parte in cui ignora lo stato di incensuratezza dell’imputato, accusato di aver contribuito ad una coltivazione di marijuana insieme ai figli e al fratello, e afferma in maniera apodittica: da un lato, che g arresti domiciliari lo riporterebbero negli stessi luoghi in cui sono stati consumati i reati per cui si procede accentuando il rischio di recidiva; dall’altro, che Car sarebbe soggetto di elevata esperienza nella coltivazione di sostanze stupefacenti e, ove gli fossero concessi gli arresti domiciliari, sarebbe in grado di replicare condotte della stessa indole nell’ambito di contesti diversi dalla associazione nella quale operava all’epoca dei fatti. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
La difesa si duole, infine, che il Tribunale abbia valutato inidonea a fini cautelari la misura degli arresti domiciliari che, pure, è stata applicata a fig dell’imputato i quali si sono sempre attenuti alle prescrizioni imposte, mantenendo una corretta condotta di vita.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
Come emerge dall’ordinanza impugnata, NOME COGNOME è sottoposto a misura cautelare custodiale per i reati di cui agli artt. 74 e 73 d.P.R. n. 309/90. La misura è stata applicata nel 2019 perché egli era gravemente indiziato di aver partecipato ad una associazione finalizzata al narcotraffico, insediata nei comuni di Bovalino, Casignana, Siderno, Latina e Roma. Tale partecipazione fu realizzata anche coltivando una piantagione di marijuana costituita da 4.352 piante da cui sarebbe stato possibile ricavare 10.919 grammi di principio attivo (par a 436.485 dosi singole). Per questi fatti, NOME è stato condannato, sia in primo grado che in grado di appello, alla pena di anni otto e mesi dieci di reclusione.
La difesa non contesta il grave quadro indiziario né l’esistenza di esigenze cautelari, sostiene tuttavia che, in ragione del lungo tempo trascorso dai fatti e dall’esecuzione della misura, tenuto conto della incensuratezza dell’imputato, tali esigenze potrebbero essere concretamente salvaguardate applicando gli arresti domiciliari. Le abitazioni individuate a tal rine si trovano a Bovalino o, i alternativa, a San Luca.
6. L’elemento di novità che l’ordinanza impugnata è stata chiamata a valutare è rappresentato esclusivamente dal tempo trascorso. Non è tale, infatti, il dato della incensuratezza, che è già stato valutato in sede di applicazione della misura e nelle ordinanze con le quali sono state respinte precedenti richieste di revoca o attenuazione. Non è tale neppure il riferimento al diverso trattamento cautelare adottato con riferimento ai coimputati rispetto al quale, peraltro, l’ordinanza impugnata fa buon governo dei principi di diritto che governano la materia quando ricorda che un provvedimento cautelare favorevole emesso nei confronti di un coindagato può costituire fatto nuovo sopravvenuto, del quale tener conto ai fini della rivalutazione del quadro indiziario, ma non RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari, che devono essere vagliate con riferimento a ciascun indagato (in tal senso: Sez. 2, n. 42352 del 06/10/2023, COGNOME, Rv. 285141; Sez. 2, n. 20281 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 266889). Ed invero, come più volte sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, la posizione processuale di ciascun coindagato o coimputato è autonoma, e la valutazione da esprimere ai sensi dell’art. 274 cod. proc. pen., in special modo relativamente al pericolo di recidiva, «si fonda, oltre che sulla diversa entità del contributo materiale e/o morale assicurato alla realizzazione dell’illecito da ognuno dei concorrenti, anche su profili strettamente attinenti alla personalità del singolo, sicché può risultare giustificata l’adozione di regimi difformi pur a fronte della contestazione di un
medesimo fatto di reato» (Sez. 3, n. 7784 del 28/01/2020, COGNOME, Rv. 278258; Sez. 6, n. 39346 del 03/07/2017, COGNOME, Rv. 271056).
7. L’ordinanza impugnata ha valutato il lungo periodo di tempo trascorso dall’esecuzione della misura e l’ancor più lungo periodo di tempo trascorso dalla commissione dei fatti per cui si procede, ma ha ritenuto che questo lasso di tempo fosse insufficiente a far venire meno la presunzione relativa di esclusiva adeguatezza della custodia in carcere contenuta nell’art. 274, comma 3, cod. proc. pen. Ha sottolineato in tal senso che la pena inflitta in primo e secondo grado è pari ad anni otto e mesi dieci di reclusione ed è pertanto ben superiore al periodo di custodia cautelare sofferto. Ha poi argomentato in ordine all’inidoneità di una misura gradata a scongiurare il compimento di azioni criminose analoghe a quelle per cui si procede osservando che le dimensioni della coltivazione personalmente gestita da NOME (come si è detto costituita da 4.352 piante) dimostra una elevata esperienza in materia e che l’entità dei traffici gestiti dalla associazione della quale egli faceva parte fa ritenere probabile che l’imputato, ove non sottoposto a vincolo custodiale, possa reiterare violazioni in materia di stupefacenti. Ha rilevato, inoltre, che il luogo ove NOME dovrebbe essere posto agli arresti domiciliari (Bovalino o San Luca) non è lontano da quelli nei quali l’associazione operava.
Si tratta di motivazioni adeguate, non manifestamente illogiche e non contraddittorie che non contrastano con i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, «in tema di misure cautelari riguardanti il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all’operatività della stessa o alla data ultima dei reati-fine, ma ha ad oggetto anche la possibile commissione di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza e postula, pertanto, una valutazione complessiva, nell’ambito della quale il tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti, sicché la mera rescissione del vincolo non è di per sé idonea a far ritenere superata la presunzione relativa di attualità RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, Amato, Rv. 281293; Sez. 4, n. 3966 del 12/01/2021, Fusco, Rv. 280243).
Secondo la giurisprudenza, peraltro, «quando si procede per un delitto per il quale opera una presunzione relativa di sussistenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari e di adeguatezza della misura carceraria, ai fini della prova contraria, occorrono elementi idonei ad escludere la sussistenza di ragionevoli dubbi posto che la presunzione detta un criterio da applicarsi proprio in caso di incertezza» (Sez. 2,
n. 19341 del 21/12/2017, dep.2018, Musumeci, Rv. 273434). Non è manifestamente illogico aver ritenuto che le capacità dimostrate dall’imputato nella coltivazione di una grande piantagione di marijuana e il contesto nel quale è maturato il reato associativo (del quale egli è stato ritenuto responsabile in primo e in secondo grado), non consentano di superare un ragionevole dubbio in ordine all’adeguatezza di misure non detentive.
A questo proposito si deve ricordare che la valutazione sulla sussistenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen. e sulla esclusiva adeguatezza della misura prescelta è suscettibile di ricorso in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge ovvero nella mancanza o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato sicché non sono consentite censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito (fra le tante: Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997). Nel caso in esame, il Tribunale ha proceduto alla verifica della pericolosità dell’indagato ancorandola a circostanze concrete. Ha fornito dunque adeguata giustificazione in ordine alla ritenuta inidoneità degli arresti domiciliari prevenire il pericolo di reiterazione criminosa.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella de1:erminazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ammende, somma così determinata in considerazione RAGIONE_SOCIALE ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 13 marzo 2024
Il Consigliere estensore