Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7537 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7537 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 27/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato a Melito di Porto Salvo il 04/06/1996; avverso l’ordinanza del 12/09/2024 del Tribunale di Reggio Calabria; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 12 settembre 2024, il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato l’appello proposto ex art. 310 cod. proc. pen. dalla difesa dell’indagato avverso l’ordinanza della Corte di appello di Reggio Calabria, che, in data 11 luglio 2024, accoglieva parzialmente l’istanza di revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari, sostituendola con quelle dell’obbligo di dimora e dell’obbligo di
presentazione alla polizia giudiziaria, applicate all’indagato medesimo in relazione ai delitti di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, contestatogli per essersi occupato della coltivazione di più piantagioni di marijuana, di rilevanti dimensioni (capo A), e all’art. 73 del medesimo decreto, relativamente alla coltivazione delle predette piantagioni (capo C) ed alla commercializzazione di altra sostanza stupefacente non meglio specificata (capo Q).
Avverso l’ordinanza, l’indagato, tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con un unico motivo di doglianza, l’erronea applicazione degli artt. 125, comma 3, 274, comma 1, lettera c), e 299, comma 2, cod. proc. pen., nonché il connesso vizio di motivazione quanto alla ravvisata sussistenza di attuali esigenze cautelari.
Nel rigettare l’istanza di revoca della misura cautelare, la Corte di appello di Reggio Calabria avrebbe fatto richiamo a mere formule di stile, indebitamente reiterative delle valutazioni emesse in sede di riesame, senza alcuna considerazione della situazione attuale, così omettendo di considerare numerosi elementi di segno contrario, quali: a) la inoperatività dell’associazione criminale dal 2017; b) il periodo di tempo trascorso in regime detentivo, pari ad anni 5 e mesi 1 di misura cautelare patita; c) l’aiuto minimo prestato, seppur in forma associativa, per i soli due reati fine in contestazione; d) l’intervenuta assoluzione dal reato più grave, ascritto al capo E1) dell’originaria incolpazione; e) l’esclusione dell’aggravante del numero delle persone superiore a tre.
Inoltre, GLYPH la GLYPH motivazione GLYPH del GLYPH provvedimento GLYPH impugnato GLYPH sarebbe manifestamente illogica allorché fonda la manifestazione della consistenza delinquenziale del ricorrente, nonché la dimostrazione della pregnanza della partecipazione al sodalizio criminale – utili ad integrare il requisito del pericolo di fuga e di reiterazione criminosa di cui all’art. 274, comma 1, lettere b) e c), cod. proc. pen. – sull’intervenuta condanna ad anni 6, mesi 10 e giorni 20 di reclusione, considerato che la pena sarebbe stata irrogata, in ogni caso, in misura prossima al minimo edittale, pari a 10 anni per il reato associativo, mesi 1 per il capo C) e mesi 3 per il capo B), non potendo la sola emissione di una sentenza di condanna giustificare alcuno dei requisiti di cui al predetto art. 274 cod. proc. pen. per gli stessi motivi logici per cui il decreto ex art. 415-bis cod. proc. pen. limita la non necessarietà della misura cautelare alla sola lettera a) della suddetta norma, senza possibilità di estensione alle lettere b) e c) della stessa. A parere del ricorrente, del resto, sarebbe illogico ritenere che una sentenza di condanna possa integrare il pericolo di fuga alla luce della rimanente pena, pari ad anni 1 e mesi 9 di reclusione, avendo il ricorrente già scontato anni 5 e mesi 1 di detenzione, su una pena complessiva di anni 6, mesi 10 e giorni 20.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso – riferito alla violazione degli artt. 125, comma 3, 274, comma 1, lettera c), e 299, comma 2, cod. proc. pen. ed al relativo vizio di motivazione – è inammissibile, giacché formulato in modo non specifico e diretto ad ottenere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, tali da dimostrare un’effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970).
A fronte di generici rilievi difensivi di tipo strettamente valutativo e congetturale, diretti a sconfessare la consistenza probatoria delle risultanze indiziarie – senza che il ricorrente offra effettivi elementi dirimenti – l’ordinanza del Tribunale del riesame, infatti, offre una valutazione pienamente sufficiente e logicamente coerente in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari ai fini dell’applicazione delle misure cautelari in esame, allorché, dopo aver chiarito che non risultavano allegati elementi nuovi idonei a giustificare la revoca della misura in atto, evidenzia, con motivazioni congrue in fatto e corrette in diritto, la permanenza della pericolosità sociale del Cara ed una cospicua professionalità dello stesso nell’agire criminoso, tali da eludere il carattere occasionale delle condotte e da indurre ad una positiva prognosi circa il pericolo di reiterazione, non potendosi ritenere sufficienti a tal fine né l’asserita inoperatività dell’associazione criminale di riferimento, né il mero decorso del tempo dalla commissione dei fatti o il tempo trascorso in custodia cautelare (ex plurimis, Sez. 5, n. 16425 del 02/02/2010, Rv. 246868), giacché circostanze che non risultano univocamente sintomatiche della recisione dei legami dell’indagato con gli ambienti criminali in esame. Ed invero, costituisce principio costantemente ribadito da questa Suprema Corte quello secondo cui, in tema di misure cautelari per il reato di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all’operatività dell’associazione, né alla data ultima dei reati fine dell’associazione stessa, ma ha ad oggetto la possibile commissione di delitti che siano espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza e postula, pertanto, una valutazione complessiva, nell’ambito della quale il tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti, sicché la mera rescissione del vincolo non è di per sé idonea a far ritenere superata la presunzione relativa di attualità delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (ex multis, Sez. 3, n. 16357 Corte di Cassazione – copia non ufficiale
del 12/01/2021, Rv. 281293; Sez. 2, n. 19341 del 21/12/2017, dep. 2018, Rv. 273435).
Peraltro, in tema di misure cautelari applicate per un reato di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., il cosiddetto “tempo silente” trascorso dalla commissione del reato non costituisce oggetto di valutazione ex art. 299 cod. proc. pen. ai fini dei provvedimenti di revoca o di sostituzione della misura, rispetto ai quali l’unico tempo che assume rilievo è quello trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della stessa, qualunque essa sia (ex multis, Sez. 2, n. 47120 del 04/11/2021, Rv. 282590; Sez. 2, n. 12807 del 19/02/2020, Rv. 278999; Sez. 2, n. 46368 del 14/09/2016, Rv. 268567); tempo che, tuttavia, rilevando nel solo ambito della disciplina dei termini di durata massima della custodia stessa, necessita di essere considerato unitamente ad altri elementi idonei a suffragare la tesi dell’affievolimento delle esigenze cautelari (ex multis, Sez. 4, n. 17470 del 22/03/2024, Rv. 286207; Sez. 1, n. 19818 del 23/03/2018, Rv. 273139; Sez. 1, n. 24897 del 19/05/2013, Rv. 25583; Sez. 2, n. 45213 del 08/11/2007, Rv. 238518). Pertanto, ne consegue che il fatto “nuovo” rilevante ai fini della revoca ovvero della sostituzione della misura cautelare con altra misura meno grave, deve essere costituito da elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento delle esigenze cautelari apprezzate all’inizio del trattamento cautelare (ex plurimis, Sez. 3, n. 43113 del 16/09/2015, Rv. 265652; Sez. 2, n. 1858 del 09/10/2013, dep. 2014, Rv. 258191; Sez. 6, n. 47819 del 24/11/2003, Rv. 227430).
Nel caso di specie, il Tribunale del riesame, dunque, ha correttamente valorizzato, non solo la assoluta adesione dell’indagato al programma criminoso del sodalizio investigato e la sua personalità altamente proclive al delitto esplicativa della professionalità e sistematicità a trattare ingenti quantitativi di droga e denotante una non usuale capacità criminale nella coltivazione e successiva gestione della sostanza illecita – ma anche la connotazione nazionale dei traffici praticati e la natura prettamente familiare della compagine associativa; di talché certamente esauriente deve ritenersi la valutazione del giudice cautelare in punto di esigenze cautelari, a fronte, peraltro, di un quadro generale caratterizzato da una condanna in secondo grado a pena detentiva significativa.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Co à deciso il 13/11/2024.
Il Consigliere estensore