Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 22454 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 22454 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MASSA il 04/01/1972
avverso l’ordinanza del 26/02/2025 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di GENOVA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG, nella persona del sostituto NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza pronunciata a norma dell’art. 310 cod. proc. pen. in data 26 febbraio 2025, il Tribunale di Genova GLYPH ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento con il quale il G.I.P. presso il Tribunale di Genova aveva rigettato l’istanza di revoca della misura della custodia cautelare in carcere in atto nei suoi confronti in ordine al reato di cui all’art. 74 commi 2 e 4, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (commesso dal mese di giugno 2021 in permanenza) e al reato di cui agli artt. 81 cpv cod., pen. GLYPH 73 e 80, comma 2, d.P.R. n. 309/90 (commesso in epoca anteriore e prossima al 3 giugno 2022), o in via subordinata, di sostituzione di detta misura con quella degli arresti domiciliari.
COGNOME a seguito del rinvio a giudizio, con sentenza del 19 settembre 2024, in esito al giudizio abbreviato, era stato condannato in ordine ai su indicati reati alla pena di anni 8 e mesi 8 di reclusione.
Avverso l’ordinanza l’imputato, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso formulando un unico motivo, con cui ha dedotto la violazione di legge ed in specie dell’art. 275 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione.
Il difensore ricorda che il ricorrente in sede di motivi di appello aveva evidenziato:
la mancanza della motivazione dell’ordinanza del G.I.P in punto sussistenza delle esigenze cautelari, a distanza di oltre un anno e sei mesi dalla intervenuta esecuzione dell’ordinanza genetica e di due anni e mezzo dalla consumazione dei fatti oggetto di contestazione.
l’esecuzione della misura nei confronti degli altri sodali e del capo e, dunque, lo smantellamento della intera compagine criminale, a dimostrazione, in uno con il ruolo meramente operativo del COGNOME, legato essenzialmente alla figura del solo capo, della mancanza di attualità delle esigenze di prevenzione speciale.
A tali censura il Tribunale aveva replicato con mere formule di stile e in modo apodittico. In particolare i giudici si erano limitati ad – osservare: che il mero decorso del tempo non valeva a far ritenere attenuato il quadro cautelare, in spregio al principio per cui ai fini della valutazione delle esigenze cautelari occorre considerare anche il tempo silente; che l’applicazione della misura nei confronti degli altri associati si era fondata sullo stesso presupposto di
pericolosità ritenuto sussistente in capo a COGNOME in violazione del principio per cui il pericolo di reiterazione deve essere concreto e attuale.
L’ unico reato fine contestato (capo 13) era risalente ad epoca antecedente e prossima al 3 giugno 2022 e ciò, secondo il difensore, unitamente al mancato rinvenimento all’atto dell’esecuzione dell’ordinanza cautelare di materiale riconducibile al contesto organizzato, starebbe a dimostrare la recisione da parte di COGNOME di ogni legame con la compagine criminale.
Anche il rilievo attribuito dal Tribunale alle pregresse condanne sarebbe inconferente, stante l’erronea contestazione della recidiva reiterata e specifica, posto che:
in ordine alla condanna di cui al punto sub 1) del certificato penale, era intervenuta declaratoria di estinzione della pena e di ogni altro effetto penale con ordinanza del 14 aprile 2024 del Tribunale di sorveglianza di Genova, a seguito del buon esito dell’affidamento in prova al servizio sociale;
in ordine alla condanna di cui al punto sub 2) del certificato penale, si era verificato l’effetto estintivo del reato e di ogni effetto penale ex art 445 comma 2 cod. proc. pen.;
la condanna di cui al punto sub 5) del certificato penale si riferiva a fatti commessi in data anteriore alla data del passaggio in giudicato della sentenza di cui al punto sub 3.
Gerbi, dunque, era recidivo specifico, ma non reiterato.
Infine, l’affermazione del Tribunale, secondo cui la misura in atto GLYPH era proporzionata alla gravità della condotta, non sarebbe stata fondata su elementi concreti.
Piuttosto il Tribunale del riesame avrebbe dovuto tenere conto che con la sentenza condanna a COGNOME erano state concesse le circostanze attenuanti generiche in ragione delle dichiarazioni parzialmente confessorie rese in limine litis e avrebbe dovuto, altresì, tenere conto che COGNOME aveva prestato il consenso all’applicazione del sistema di controllo a distanza ex art 275 bis cod. proc. pen, a riprova della sua serietà ed affidabilità. Nei confronti di alt coimputati era stato nel frattempo adottato un trattamento cautelare più mite, nonostante la assoluta sovrapponibilità delle loro posizioni processuali.
Il Procuratore generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso GLYPH deve essere dichiarato inammissibile in tutte le sue articolazioni.
Nella valutazione della legittimità della motivazione dell’ordinanza del impugnata occorre muovere dal rilievo che COGNOME è sottoposto alla misura della custodia in carcere in ordine al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90. I tale ipotesi è la stessa presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, salvo ‘prova contraria’, sancita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., a fondare un giudizio, formulato in astratto ed ex ante dal legislatore, di attualità e concretezza del pericolo (Sez. 3, n. 33051 del 08/03/2016, COGNOME, Rv. 268664).
Inoltre si deve richiamare il condivisibile principio per cui il cosiddett “tempo silente” trascorso dalla commissione del reato deve essere oggetto di valutazione a norme dell’art. 292 comma 1 lett.c) cod. proc. pen. da parte del giudice che emette l’ordinanza che dispone la misura cautelare, mentre analoga valutazione non è richiesta dell’art. 299 cod. proc. pen. i fini della revoca o della sostituzione della misura, rispetto alle quali l’unico tempo che assume rilievo è quello trascorso dall’applicazione o dalla esecuzione della misura (Sez. 2, n. 47120 del 04/11/2021, Attento, Rv. 282590 – 01; Sez.2, n. 12807 del 19/02/2020, Rv 278999).
Il Tribunale, nel respingere l’appello, ha GLYPH ritenuto GLYPH che le esigenze cautelari fossero ancora persistenti e ha replicato a tutti rilievi dedotti in sede impugnazione del provvedimento di rigetto con argomentazioni coerenti con i dati riportati e non manifestamente illogiche.
3.1. I giudici, in particolare, hanno sottolineato l’intervenuta condanna in primo grado in esito al giudizio abbreviato alla pena di anni 8 e mesi 8 di reclusione, in coerenza con i principi consolidati della Corte di cassazione in materia, per i quali, ai fini della revoca della misura cautelare, il mero decorso del tempo non basta, tanto più a fronte dell’intervento di sentenza di condanna, in quanto si tratta di tempo valutabile ai fini della permanenza delle esigenze cautelari solo se accompagnato da altri elementi idonei a far ritenere il mutamento della situazione complessiva accertata con la sentenza di merito e, quindi, a far ritenere la cessazione del pericolo di reiterazione di reati (Sez. 1, n 24897 del 10/05/2013, Sisti, Rv. 255832; Sez. 5, n. 2926 del 13/12/2013, dep. 2014, Vio, Rv. 257941). Il ricorrente, di contro, si è limitato a censurare tale valutazione, senza indicare, tuttavia, quali altri elementi di novità, oltre
mero decorso del tempo, giustificassero la richiesta rivisitazione del giudizio in ordine all’attualità delle esigenze cautelari.
3.2.Anche il giudizio sulla l’irrilevanza, da un lato, GLYPH della esecuzione della misura nei confronti degli altri sodali e, dall’altro, della intervenuta sostituzio della misura del carcere con quella meno afflittiva degli arresti domiciliari nei confronti di alcuni coimputati non si presta a censure. Questa Corte, invero, ha già chiarito che la posizione processuale di ciascun coindagato o coimputato è autonoma, in quanto la valutazione da esprimere ai sensi dell’art. 274 cod. proc. pen., in special modo relativamente al pericolo di recidivanza, si fonda, oltre che sulla diversa entità del contributo materiale e/o morale assicurato alla realizzazione dell’illecito da ognuno dei concorrenti, anche su profili strettamente attinenti alla personalità del singolo (Sez. 3, n. 7784 del 28/01/2020, Mazza, Rv 278258). Inoltre si è anche affermato che la valutazione prognostica non richiede la previsione di una “specifica occasione” per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice (sez. 4 n. 47837 del 4/10/2018, Rv. 273994), ma una valutazione sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socioambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (sez. 5 n. 11250 del 19/11/2018, dep. 2019, Avolio, Rv. 277242). La prognosi di pericolosità, dunque, non si rapporta solo all’operatività della associazione, né alla data ultima dei reati fine, ma ha ad oggetto la possibile commissione di delitti che siano espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento in circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza (Sez. 4 n.. 3966 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280243); tale prognosi postula, pertanto, una valutazione complessiva, nell’ambito della quale il tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti, sicché la mera rescissione del vincolo non è di per sé idonea a far ritenere superata la presunzione relativa di attualità delle esigenze cautelari, dovendosi valutare la prova contraria, che dovrà discendere da una valutazione complessiva di diversi elementi – quali il fattore temporale, il contesto socioambientale, la personalità e le condizioni di vita del soggetto – con l’ulteriore precisazione che una simile operazione valutativa sarà possibile e valida soltanto ove il vincolo associativo criminale sia reciso, poiché, se così non fosse, la presunzione non potrebbe ritenersi superata. Ciò significa che il fattore tempo non può considerarsi, da solo, dirimente, essendo – al pari degli altri elementi un fattore necessario, ma non sufficiente (Sez. 3 – n. 16357 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281293). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Alla luce di tali principi, l’asserito smantellamento della compagine criminale, peraltro contestato nella ordinanza impugnata (in cui si da atto che non erano stati identificati tutti i contatti di cui COGNOME disponeva nel settore criminale mercato della droga), non vale, in ogni caso, a dimostrare la mancanza di attualità del pericolo di recidivanza.
3.3.Conferente è anche il richiamo operato nel provvedimento impugnato, ai fini della persistenza del pericolo di reiterazione del reato e della adeguatezza della sola misura del carcere, alla spiccata capacità a delinquere del ricorrente, comprovata dalle plurime condanne e dalla impermeabilità rispetto ai, pur non brevi, periodi di carcerazione. Sotto tale ultimo profilo l’argomento del ricorrente, secondo cui COGNOME non poteva essere considerato recidivo reiterato, in quanto in ordine ad alcune delle condanne riportate nel certificato del casellario erano intervenute cause estintive degli effetti penali, è privo di pregio potendo assumere rilievo, ai fini della prognosi di ricaduta nel reato, anche condanne estinte. La persistenza del pericolo di reiterazione, dunque, è stata ancorata dal Tribunale non già alla qualità del ricorrente di recidivo specifico e reiterato ex art. 99 comma 4 cod. pen., bensì, in generale, alla sua intensa biografia criminale, indicativa di proclività al delitto.
3.4. In fine, a fronte della presunzione di adeguatezza della sola misura massimamente afflittiva, la inidoneità della misura degli arresti donniciliari è stata motivata in maniera logica, avendo il Tribunale ricordato che COGNOME aveva organizzato l’attività delittuosa anche fra le mura domestiche e avendo rilevato che il reato commesso era reiterabile anche semplicemente attraverso contatti attivabili anche da casa.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
Ai sensi dell’art. 94 comma 1- ter disp. att. cod. proc. pen., gli atti devono essere trasmessi alla cancelleria per i relativi adempimenti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma i- ter disp. att. cod. proc. pen.
Roma 27 maggio 2025