Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44241 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44241 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME DomenicoCOGNOME nato a San Luca il giorno 5/10/1960
rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME – di fiducia avverso l’ordinanza n. 291/2024, in data 18/6/2024, del Tribunale di Reggio Calabria in funzione di giudice del riesame,
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che è non stata richiesta dalle parti la trattazione orale del procedimento;
letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria difensiva datata 7/11/2014 a firma dell’avv. COGNOME di replica alle conclusioni del Procuratore Generale;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 18 giugno 2024, a seguito di giudizio di appello ex art. 310 cod. proc. pen., il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato l’impugnazione formulata nell’interesse di NOME COGNOME avverso la decisione del Tribunale di Locri in data 24 maggio 2024 con la quale era stata rigettata la richiesta di revoca della misura cautelare personale dell’obbligo di dimora dell’indagato presso il comune di Benestare.
Il COGNOME risulta raggiunto dal provvedimento cautelare in quanto gravemente indiziato della commissione del reato di autoriciclaggio ex art. 648ter.1 cod. pen. per avere reinvestito i proventi dei reati di cui all’art. 512-bis cod pen. e 4 d.lgs. 74/2000 commessi nella sua qualità di socio occulto della società “RAGIONE_SOCIALE” nell’acquisto di immobili siti nel comune di Ardore.
L’istanza ex art. 299 cod. proc. pen. era sostanzialmente motivata sulla circostanza che tutte le imprese della quali, secondo l’assunto accusatorio, il COGNOME sarebbe socio occulto si trovano allo stato sottoposte a sequestro preventivo ed a conseguente amministrazione giudiziaria, situazione per la quale l’odierno ricorrente non potrebbe per il tramite delle stesse reiterare la condotta delittuosa. A ciò, aggiungeva la difesa, che il COGNOME risulta sottoposto a misura cautelare dal maggio 2023 e non ha mai violato le prescrizioni impostegli.
Ricorrono per cassazione avverso la predetta ordinanza i difensori dell’indagato, deducendo:
2.1. Vizi di motivazione dell’ordinanza impugnata in relazione alla proporzionalità ed all’adeguatezza dell’obbligo di dimora riferito alle esigenze cautelari di cui all’art. 275, commi 1 e 2, cod. proc. pen.
Dopo avere premesso che nei confronti dell’odierno ricorrente era stata originariamente applicata la misura cautelare personale degli arresti domiciliari (portata ad esecuzione mentre lo stesso si trovava all’estero) per una serie di reati ex art. 512-bis cod. pen. (capo 2 della rubrica delle imputazioni) e di autoriciclaggio (capi 3 e 4) e che, in un secondo momento, il Tribunale del riesame aveva riformato il titolo cautelare genetico escludendo la gravità indiziaria in ordine ai capi 2 e 4 della rubrica delle imputazioni – in tal modo residuando il solo reato di cui al capo 3 – e, sulla base di ritenute esigenze cautelari ex art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. aveva ritenuto tali esigenze salvaguardabili attraverso l’applicazione della misura più blanda dell’obbligo di dimora presso la residenza dell’imputato, rilevano innanzitutto i difensori del ricorrente che, in relazione al residuo reato in contestazione.si è formato il giudicato cautelare anche in relazione alla esclusione ab origine da parte del G.i.p. della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
Ricordano, ancora, i difensori del COGNOME che, una prima richiesta di revoca della misura cautelare in atti, è stata rigettata da questa Corte di legittimità con sentenza in data 28 novembre 2023 (depositata in data 24 gennaio 2024) sulla base dell’erroneo presupposto che ci si trovava in presenza di una contestazione di reato rientrante nella previsione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., situazione che ha determinato la proposizione di un ulteriore ricorso ex art. 625bis cod. pen. a causa dell’errore di fatto nel quale erano incorsi i giudici ritenendo la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., circostanza, come detto, invece esclusa già dal Giudice che aveva emesso il provvedimento cautelare genetico.
Tutto ciò premesso rilevano i difensori del ricorrente:
che il COGNOME è chiamato a rispondere in sede cautelare di un solo reato contestato come commesso il 21 ottobre 2021;
che il Tribunale non ha indicato nel provvedimento impugnato gli elementi in forza dei quali la misura cautelare in essere sia “concretamente” idonea a salvaguardare le esigenze di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., traendo l’evidenza dell’attualità di tali esigenze da captazioni telefoniche risalenti agli anni 2020/2021.
2.2. Vizi di motivazione in relazione alla concretezza ed attualità delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen.
Osservano i difensori del ricorrente che il fatto evidenziato dai Giudici dell’incidente cautelare che il COGNOME risulta essere soggetto pienamente immesso nel circuito imprenditoriale finanziario, anche internazionale, e che, grazie a ciò, potrebbe effettuare nuovi investimenti e creare nuove società tramite le quali replicare le condotte di reato, non appare sufficiente a giustificare la concretezza e l’attualità del pericolo di recidiva.
Al contrario, l’intervenuto sequestro preventivo della società “RAGIONE_SOCIALE” eseguito in data 15 Febbraio 2024 della quale il ricorrente ha perso la disponibilità delle imprese di ristorazione rileva come motivo nuovo.
Né il Tribunale poteva ignorare che al COGNOME sono stati restituiti tutti i beni sequestrati nel presente procedimento in virtù dell’annullamento del provvedimento di sequestro preventivo disposto dal Tribunale del riesame in data 21 luglio 2023, ritenuta la lecita provenienza del patrimonio dello stesso nonché la sperequazione tra il patrimonio e il reddito dichiarato dal COGNOME ai fini delle imposte.
Quanto evidenziato avrebbe quindi richiesto una motivazione specifica ed incisiva in punto di pericolo di recidiva considerato che il ricorrente è allo stato spossessato dei veicoli societari asseritamente utilizzati come strumento per
commettere il reato ed invece dispone di importanti risorse che gli permetterebbero di intraprendere lecite iniziative economiche.
Infine, sempre secondo la difesa del ricorrente, di dubbia logicità e rilevanza sarebbero gli ulteriori elementi a sostegno dell’attualità delle esigenze cautelari non presentando alcuna rilevanza una conversazione intercettata risalente al 2020 che non fornisce alcun apporto concreto a sostegno della ritenuta attualità delle esigenze cautelari.
2.3. La difesa dell’indagato ha fatto pervenire in data 7 novembre 2014 una memoria difensiva di replica alle conclusioni del Procuratore Generale nella quale sostanzialmente sono state ribadite le doglianze già espresse nel ricorso evidenziando come l’intervenuto sequestro delle società facenti capo al COGNOME e la sola disponibilità da parte dello stesso dei beni restituiti dal Tribunale del riesame, precluderebbe la possibilità di reiterazione delle condotte delittuose.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Il Tribunale del riesame nell’ordinanza qui in esame ha, innanzitutto, richiamato il contenuto della propria precedente ordinanza con la quale aveva rilevato che le esigenze cautelari nei confronti del COGNOME trovavano conforto nei plurimi reati allo stesso contestati (anche se con riguardo ad alcune contestazioni non è più in essere il trattamento cautelare) che consentono comunque di ritenere elevato il rischio di recidiva, il tutto unito ad una «certa attitudine ed abilità nell commissione di delitti di stampo, in senso lato, economico-finanziario» anche considerato l’arco temporale elevato nel corso del quale le condotte sono state tenute.
Quanto, poi, alla misura cautelare applicata, lo stesso Tribunale aveva spiegato che la misura cautelare di cui all’art. 283 cod. proc. pen. era da ritenersi idonea ad «impedire al COGNOME di potersi spostare a Roma o in Portogallo (cioè i luoghi ove le società da lui condotte hanno sede) per proseguire l’attività di gestione secondo schemi fittizi del gruppo imprenditoriale a lui riferibile, apparendo elevatamente improbabile che il ricorrente possa porre in essere ulteriori condotte delle stesso tipo di quelle contestate in questo procedimento nel periodo in cui sarà sottoposto alla misura applicata».
Quanto, poi, all’elemento di novità consistente nel fatto che il COGNOME non avrebbe allo stato la disponibilità di alcuna impresa di ristorazione, essendo queste sottoposte a sequestro preventivo, tale elemento secondo il Tribunale del riesame non sarebbe da solo idoneo a condurre ad una decisione di revoca della misura
imposta giacché trattasi di soggetto comunque inserito nel circuito imprenditoriale e finanziario anche internazionale il quale, in assenza di sottoposizione a provvedimento cautelare, non incontrerebbe ostacoli nell’effettuare nuovi investimenti e nel creare nuove società mediante le quali replicare le condotte di reato oggetto di contestazione, proposito già emergente da una conversazione intercettata nel passato e richiamata nell’ordinanza in esame.
Infine, il Tribunale del riesame ha anche chiarito che le circostanze che il COGNOME ha rispettato fino all’attualità tutte le prescrizioni impostegli e che i fatti contestazione sono risalenti nel tempo appaiono elementi neutri ai fini della valutazione della permanenza delle esigenze cautelari.
3. Osserva la Corte che l’ordinanza impugnata risulta aver dato congrua e logica risposta agli argomenti difensivi nuovamente riproposti in questa sede di legittimità e ricorda che «In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito» (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628).
In sostanza, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011, dep. 2012, Siciliano, Rv. 251760).
Nel caso in esame non emergono quindi vizi del provvedimento impugnato rilevabili in questa sede.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13 novembre 2024.