Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30002 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30002 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TARANTO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 02/02/2024 del TRIBUNALE DEL RIESAME D:: LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO COGNOME, il
quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
AVV_NOTAIO, il quale insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, avverso l’ordinanza del 2/02/2024 del Tribunale del riesame di Lecce con cui è stata confermata la misura della custodia cautelare in carcere allo stesso applicata dal Gip del Tribunale di Lecce, in ordine al delitto di violazione della legge stupefacenti contestato al capo 30) della rubrica (si tratta di due episodi di acquisto di sostanza stupefacente dal sodalizio capeggiato da COGNOME NOME e da destinare allo spaccio, accertati nei mesi di giugno e ottobre 2021).
1.1. Con il primo motivo,la difesa deduce il vizio di motivazione con riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
La censura attiene all’assenza di pregnanza e logicità degli elementi indiziari indicati dall’ordinanza impugnata al fine di escludere che ci si trovasse, in ipotesi, al cospetto di un’attività di spaccio di lieve entità.
In particolare, si sostiene che, dalle conversazioni intercettate – pur non emergendo riferimenti certi alla sostanza stupefacente, stante anche la mancanza di riscontri conseguenti al sequestro della droga – si ricavava comunque un’ipotesi di lieve entità, applicabile anche alla condotta di illecita detenzione di una provvista per la vendita, in ragione dell’inesistenza di uno stabile rapporto di collaborazione tra il gruppo capeggiato dal COGNOME e il ricorrente, tenuto conto che la contestazione fa riferimento a sole due ipotesi di presunto acquisto di sostanza stupefacente (a giugno e ad ottobre 2021). Anzi , dalle stesse intercettazioni, emergeva la modesta quantità della droga che l’indagato avrebbe maneggiato.
1.2. Con il secondo motivo,si lamenta il vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari sotto il profilo del pericolo di reiterazione del reato.
Erroneo era il riferimento ad altro episodio oggetto di imputazione (capo 12quater) e relativo al coinvolgimento del ricorrente, quale istigatore, nel pestaggio subito da COGNOME NOME (il 22 settembre 2021), in quanto non facente parte della contestazione cautelare.
Né poteva farsi riferimento alle modalità della condotta, di carattere marginale ed autonomo e, soprattutto, risalente a tre anni or sono.
Anche i precedenti citati dal Tribunale non erano decisivi, risalendo la condanna per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 al lontano 2022; la sottoposizione alla misura di prevenzione al 2009 e l’ultimo reato al 2017. Parimenti era a dirsi riguardo le condanna subite per evasione, trattandosi di episodi datati. Priva di attualità era la motivazione resa con riguardo ad un’apodittica possibilità di recidiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Dalla lettura dell’ordinanza impugnata risulta che il ricorrente ebbe a rifornirsi di cocaina in almeno due occasioni dall’organizzazione criminale capeggiata dal NOME.
La circostanza che il prezzo dovuto quale corrispettivo per l’acquisto della droga fosse rispettivamente di euro 1.500,00 ed euro 1.150,00 rende del tutto logico l’argomento utilizzato dal Tribunale del riesame per escludere non solo che ci si trovi dinanzi ad un acquisto per uso personale, ma anche dell’ipotesi della lieve entità. Gli importi corrisposti – che l’ordinanza impugnata definisce “apprezzabili” – risultano notoriamente evocativi di smercio di quantità di droga non affatto modeste e di un circuito di cessione che non appare potersi ricondurre a quello evocato dalla difesa del ricorrente del c.d. piccolo spaccio, soprattutto se si considera che lo stesso giudice della cautela evidenzia l’ulteriore dato, particolarmente significativo, costituito dal fatto che l’indagato, non avendo trovato il COGNOME, era stato costretto a rifornirsi il giorno prima da altro canale così dandosi conto dell’esistenza di ulteriori fonti di approvvigionamento della droga.
Del resto, ai fini dell’accertamento della natura stupefacente della sostanza, non è indispensabile una perizia, essendo consentito al giudice di merito, in particolare nel caso in cui non sia stato possibile sequestrare la droga, pervenire ugualmente al detto accertamento attraverso altri elementi, purché la decisione sia adeguatamente motivata. (Nella specie la natura stupefacente era stata desunta dalla confessione degli imputati e da più vendite a prezzo elevato giustificabili soltanto, peraltro, con la buona qualità della sostanza). (Sez. 1, n. 13610 del 01/10/1986, Maffeis, Rv. 174495 01; conf. Mass n. 171255; conf. mass. n. 159080; conf. mass. n. 151491; conf. mass. n. 116610).
Né si appalesa decisivo, ai fini della configurabilità del fatto di live entità, precedente della Corte di legittimità citato dalla difesa (Sez. 6, n. 15642 del 27/01/2015), in quanto, per come si ricava dalla lettura della sentenza, è necessario che sia accertata una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro, nonché di guadagni limitati e, soprattutto la detenzione di una provvista per la vendita che non sia comunque superiore – tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente – a dosi conteggiate a “decine”.
Si tratta, all’evidenza, di profili di merito propri del giudizio di cognizione non emergenti dai dati di fatto evidenziati dai giudici della cautela, i quali, al stato, ne hanno motivatamente escluso la ricorrenza mediante il pertinente
richiamo agli elevati importi oggetto di negoziazione per come emersi dalle intercettazioni e dal fatto che l’indagato si riforniva sistematicamente e direttamente dal capo dell’organizzazione ovvero, all’occorrenza, da altre fonti di approvvigionamento.
Manifestamente infondato è anche il dedotto viro di motivazione dell’ordinanza impugnata in tema di esigenze cautelari.
3.1. Al riguardo, va richiamato l’orientamento di legittimità a mente del quale, ai fini della configurabilità dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma 1, cod. proc. pen., il concreto pericolo di reiterazione dell’attività crirrinosa può essere desunto anche dalla molteplicità dei fatti contestati, in quanto la stessa, considerata alla luce delle modalità della condotta concretamente tenuta, può essere indice sintomatico di una personalità proclive al delitto, indipendentemente dall’attualità di detta condotta e quindi anche nel caso in cui essa sia risalente nel tempo. (Fattispecie relativa ad indagato per il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n 309 del 1990, privo di precedenti penali, ma che alla luce delle indagini, era risultato legato con i fornitori dello stupefacente da radicati rapporti).(Sez. 3, n. 3661 del 17/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258053 – 01; Sez. 2, n. 38299 del 13/06/2023, COGNOME, Rv. 285217 – 01).
Nel caso in esame, il rischio concreto di recidiva è stato avvalorato anche dal richiamo ai significativi precedenti penali, anche specifici, annoverati dal ricorrente (per il delitto previsto dall’art. 74 d.P.R. n. 309/1990), il quale risulta essere sta sottoposto a misura di prevenzione. Si tratta di un dato che – unitamente alle modalità non elementari della condotta per come descritte dal giudice del merito, ai rapporti intrattenuti direttamente con il capo dell’organizzazione criminale da cui si rifornivap ,all’esistenza di altri canali di approvvigionamento della sostanza di cui all’occorrenza poteva disporre – dà ragionevolmente conto del significativo ruolo assunto dal ricorrente nell’ambito del settore degli stupefacenti.
Di talché ) non affatto sopito può ritenersi il proposito di riprendere i traffici d droga e tanto a prescindere dal rilievo attribuito ad altro episodio non contestato, comunque richiamato dal giudice di merito ai fini della dimostrazione della persistenza del legame intrattenuto dal ricorrente con il capo dell’organizzazione da cui si riforniva per i suoi traffici.
3.2. Quanto, infine, all’inidoneità di misure meno afflittive di quella applicata, va richiamato il principio affermato dalla Corte di legittimità secondo cui fin tema di misure cautelari personali, l’inadeguatezza degli arresti domiciliari in relazione alle esigenze di prevenzione di cui all’art. 274, lett. c) cod. proc. pen., può essere ritenuta quando, alla stregua di un giudizio prognostico fondato su elementi specifici inerenti al fatto, alle motivazioni di esso ed alla personalità dell’indagato sia possibile prevedere che lo stesso si sottrarrà all’osservanza dell’obbligo di non
allontanarsi dal domicilio (Sez. 6, n. 53026 del 6/11/2017, Rv. 271686; Sez. 1, n. 30561 del 15/07/2010, Rv. 248322).
In aggiunta agli elementi di disvalore relativi al fatto per cui si procede e ai precedenti penali specifici di cui risulta gravato il ricorrente, il Tribunale d riesame, in punto di adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere, ha fatto riferimento a due precedenti condanne per evasione. L’avere ricavato da tale dato il giudizio di inaffidabilità del ricorrente a rispettare le prescrizioni iner ad un regime cautelare di minor rigore, non sconta alcuna illogicità, in quanto si accompagna anche all’evidenziato pericolo del mantenimento dei rapporti con l’ambiente criminale di riferimento – posto che è emerso che l’indagato ha seri contatti anche con altre fonti di approvvigionamento della droga – che potrebbe proseguire anche per interposta persona o avvalendosi di strumenti di comunicazione a distanza.
In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186).
Non conseguendo dall’adozione del presente provvedimento la rimessione in libertà dell’indagato, deve provvedersi ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, il 19 luglio 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente