Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7372 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7372 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/01/2025
TERZA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato a Formia il 16/04/1975, avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Roma del 05/09/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. NOME COGNOME cui il P.G. si Ł riportato in udienza, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. uditi, per il ricorrente, gli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME del foro di Latina, che si sono riportati al ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 05/09/2024, il Tribunale del riesame di Roma accoglieva parzialmente la richiesta di riesame avanzata da NOME COGNOME avverso l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari di Latina aveva applicato al medesimo la misura degli arresti domiciliari per i reati di cui agli articoli 81 cod. pen. 73 d.P.R. 309/1990 (capi 8, 12 e 14).
Il Tribunale distrettuale capitolino, nell’annullare l’ordinanza impugnata limitatamente ai capi 8) e 12), confermava, nel resto, l’ordinanza impugnata.
Avverso tale ordinanza ricorre – tramite il suo difensore – lo COGNOME, affidando le sue doglianze a sei motivi di censura.
2.1. Con il primo motivo lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al corretto inquadramento del fatto-reato contestato al ricorrente legittimante l’uso delle intercettazioni, nonchØ violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 266 in relazione all’art. 338 cpp in riferimento ai decreti autorizzativi del 29 settembre 2023 (RIT 368/23) e del 20 ottobre 2023 (RIT 382/23).
Le intercettazioni sono state disposte oltre i limiti di ammissibilità di cui all’art. 266 cod. proc. pen., atteso che ab origine la condotta contesta al ricorrente andava inquadrata al piø nell’art. 336 cod. pen., reato escluso dai limiti di ammissibilità dell’attività captativa.
Ne discende l’assoluta e non frazionata inutilizzabilità ex art. 271 cpp dei risultati delle intercettazioni telefoniche e mediante captatore informatico.
Il Tribunale del riesame conferma che NOME COGNOME, concorrente dello Spirito, fosse il mandante dell’incendio della vettura del sindaco e che tali condotte erano certamente volte ad influenzare l’attività amministrativa che riguardava il cimitero di Lenola che era stato ampliato con l’acquisto del terreno da parte del sindaco nel 2021, ma che evidentemente il ricorrente temeva che potesse aver degli sviluppi ulteriori che avrebbero inciso sulla sua proprietà, confinante con il cimitero stesso.
Tali condotte, secondo il Riesame, anche se non ritenute integrare il delitto di cui all’art. 338 c.p., integrerebbero comunque quello di cui all’art. 336 c.p..
Il ricorrente eccepisce l’inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni ab origine perchØ, nel momento in cui Ł stato adottato il provvedimento autorizzativo, la gravità indiziaria per il reato di cui all’art. 338 c.p. non sussisteva neanche in astratto.
Come evidenziato dalle Sezioni Unite della Corte (Sez. U., n. 26889 del 28/04/2016, Scurato, in motivazione, par. 11) la qualificazione, pure provvisoria, del fatto deve essere ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari che ne sorreggano, per un verso, la corretta formulazione da parte del pubblico ministero e, per altro verso, la successiva, rigorosa, verifica dei presupposti da parte del giudice chiamato ad autorizzare le relative operazioni intercettative; fermo restando il sindacato di legittimità della Corte di cassazione in ordine all’effettiva sussistenza di tali presupposti.
La Cassazione ritiene inoltre che, in caso di modifica della struttura giuridica del fatto-reato autorizzato, l’inutilizzabilità delle intercettazioni consegue solo se i presupposti per disporre il mezzo di ricerca della prova mancassero già al momento in cui il procedimento autorizzativo si Ł compiuto e perfezionato attraverso il controllo del giudice, e ciò al fine di evitare abusi, che potrebbero configurarsi con il ricorso pretestuoso alla descrizione di un fatto reato autorizzabile al fine di aggirare i limiti legali stabiliti.
Ove, pertanto, si verifichi la divergenza tra fatto-reato di cui si chiede l’autorizzazione ad intercettare ed il fatto emergente dalle risultanze investigative si manifesti già al momento in cui l’intercettazione Ł richiesta, il giudice Ł tenuto a non autorizzare l’intercettazione.
Al contrario, ove l’addebito si modifichi solo per motivi sopravvenuti fisiologici, legati cioŁ alla naturale evoluzione del procedimento, che può determinare una modifica del fatto storico e della sua qualificazione giuridica, considerando la provvisorietà dell’addebito, la fluidità degli elementi raccolti e la loro possibile modificazione, non vi Ł elusione delle garanzie.
Nel caso in esame, nel momento genetico delle intercettazioni il fatto – reato non presentava una gravità indiziaria tale da configurare violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi componenti.
Con riferimento al decreto autorizzativo del 29 settembre 2023, il pubblico ministero, che aveva iscritto l’odierno ricorrente sul registro degli indagati per il reato di cui all’articolo 338 cod. pen., chiedeva l’autorizzazione alle operazioni di intercettazione per 40 giorni ex art. 6 D.lgs. 216/2017 e 266, comma 1, lettera b), e 2-bis cpp, intercettazioni telefoniche e tra presenti mediante captatore informatico (con esclusione dei luoghi di privata dimora) in relazione alla utenza telefonica Samsung Galaxy A32 avente IMEI n. 355808985496303 in uso a COGNOME NOME -RIT 368/23.
Il Gip, in tale occasione, affrontava il tema della nuova imputazione di cui all’art. 338 c.p., rappresentando come dagli esiti delle indagini emergevano «la diretta partecipazione dello COGNOME all’incendio dell’autovettura del sindaco» e «un diretto collegamento tra l’episodio intimidatorio e l’attività amministrativa del sindaco COGNOME», sia sulla base dell’annotazione del 23 settembre
2023 a firma di NOME COGNOMEche riportava una fonte anonima che attribuiva la paternità dell’incendio allo COGNOME e a tale NOME COGNOME ed individuava il movente nell’ampliamento del cimitero di Lenola), sia sulla base delle s.i.t. del COGNOME (che rappresentava di aver personalmente segnalato lo COGNOME ai Carabinieri di Lenola per il furto del legname).
Tali indizi, a parere del GIP, trovavano conferma nell’acquisizione dell’atto di compravendita per l’ampliamento cimiteriale, di fatto concretizzatasi già a far data dal 29 ottobre 2021 (data dell’atto di compravendita dei terreni dai germani Pietrasanta) e nell’esistenza del p.p. n. 896/2023 RGNR che vedeva lo COGNOME rispondere del tentativo di furto di legname con riferimento alla segnalazione del sindaco COGNOME.
La qualificazione, pure provvisoria, del fatto come esplicitata nel citato decreto non risulterebbe ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari in ordine alla corretta qualificazione giuridica e alla sussistenza di gravi indizi di reato atteso che alla data del decreto, 29 settembre 2023, il Gip in base agli atti acquisiti era in grado di verificare che:
l’ampliamento cimiteriale era già stato disposto con delibera del consiglio comunale di Lenola del 30 gennaio 2020, e si era definito con l’acquisizione dei terreni già a far data dal 29 ottobre 2021;
già in data 17 febbraio 2023, lo COGNOME era perfettamente a conoscenza della segnalazione da parte del Magnafico e dell’esistenza del relativo procedimento penale con riferimento al p.p. n. 896/23 RGNR;
nessuna notifica del decreto penale di condanna era stata fatta allo Zizzo prima del 19 settembre 2023 (data dell’incendio) e in tal senso non poteva esservi alcun movente come individuato dal
P.M..
Pertanto, la gravità indiziaria veniva desunta solo dalla fonte anonima.
Identico discorso deve essere fatto con riferimento al successivo decreto del 20 ottobre 2023 in cui il Gip ripropone identica motivazione del precedente, senza inserire alcun elemento di novità.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce; violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 266 e 267, in relazione all’art. 271, cod. proc. pen., nonchØ violazione dei presupposti e delle forme del provvedimento di autorizzazione di cui all’art. 267 cpp nei decreti autorizzativi del 29 settembre 2023 (RIT 368/23) e del 20 ottobre 2023 (RIT 382/23); contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla corretta applicazione dei presupposti applicativi di cui all’art. 267 c.p.p., in relazione all’art. 338 cod. pen.; inutilizzabilità delle intercettazioni, ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 267 c.p.p., comma 1bis e 203, comma 1bis , cod. proc. pen., atteso che nei decreti autorizzativi del 29 settembre 2023 e del 20 ottobre 2023 l’unico elemento oggetto di valutazione ai fini degli indizi di reità era la fonte anonima di cui alla annotazione di servizio di NOME COGNOME del 23 settembre 2023.
Il Tribunale del riesame, pur evidenziando che non poteva trovare applicazione la disciplina speciale dettata dall’articolo 13 d.l. 203/1991, ha ritenuto che il decreto autorizzativo del 29 settembre 2023 e il decreto autorizzativo del 20 ottobre 2023, nonostante tutto, soddisfacessero i presupposti richiesti dall’art. 267 cpp in ordine ai gravi indizi di reato (in luogo dei sufficienti indizi di reato richiesti per la disciplina speciale) ed in ordine all’assoluta indispensabilità delle intercettazioni ai fini della prosecuzione delle indagini, fermo restando il limite oggettivo di durata, per cui il decreto del 29 settembre 2023 deve intendersi autorizzato sino al 14 ottobre 2023 e il decreto del 20 ottobre 2023 deve intendersi autorizzato sino al 4 novembre 2023 in virtø della applicazione dei limiti di durata di cui all’art. 267 co 3 cpp (15 giorni + 15 giorni).
Le successive proroghe dovevano invece intendersi quali nuovi e autonomi decreti autorizzativi in quanto soddisfano comunque i presupposti di cui all’art. 267 cpp. in termini di gravi indizi di reato e assoluta indispensabilità delle operazioni di intercettazione.
Il ricorrente contesta tale motivazione, ritenendo che il Tribunale abbia ritenuto, con motivazione
meramente apparente, che tanto il decreto del 29 settembre 2023 quanto quello del 20 ottobre 2024 fossero stati sufficientemente motivati in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di reato ed in ordine all’assoluta indispensabilità delle intercettazioni ai fini della prosecuzione delle indagini benchØ tanto la richiesta del PM a cui i decreti rinviano quanto i decreti stessi sono stati elaborati dal Gip avendo come confine motivazionale quello ampio della disciplina speciale e pertanto la mera sussistenza di sufficienti indizi di reato e la mera necessità delle operazioni di intercettazioni per lo svolgimento delle indagini.
Come evidenziato nel precedente motivo, la qualificazione, seppur provvisoria, del fatto come esplicitata nel citato decreto non risulta ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari in ordine alla corretta qualificazione giuridica e alla sussistenza di gravi indizi di reato, in quanto la necessità di intercettare l’utenza del ricorrente poteva trovare riscontro solo nella fonte anonima (unico indizio di reità) di cui alla citata annotazione in violazione del divieto di utilizzo ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 267 c.p.p., comma 1bis e art. 203 c.p.p., comma 1bis . Cod. proc. pen..
Quanto alla assoluta indispensabilità, il decreto autorizzativo non può omettere di indicare il collegamento tra l’indagine in corso e l’intercettando, nel caso di specie mancante al momento del provvedimento.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione e della falsa applicazione degli artt. 267, comma 3, 191, 271, 273 cod. proc. pen., 15 Cost., lamentando altresì motivazione illogica ed apparente, travisamento del fatto e violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in riferimento all’art. 271, comma 1, cod. proc. pen. atteso che i decreti di proroga del 28 novembre 2023, 14 dicembre 2023, 9 gennaio 2024, 23 gennaio 2024 e 15 febbraio 2024, adottati a seguito del decreto autorizzativo del 20 ottobre 2023 (Rit 382/2023), risulterebbero privi dei presupposti di legge ex art. 267 c.p.p..
Il Tribunale di Roma ha stabilito che i successivi decreti di proroga del 28 novembre 2023, 14 dicembre 2023, 9 gennaio 2024, 23 gennaio 2024 e 15 febbraio 2024, adottati a seguito del decreto autorizzativo del 20 ottobre 2023 (RIT 382/2023) devono essere considerati nuovi e autonomi decreti autorizzativi in quanto soddisfano comunque i presupposti di cui all’art. 267 del codice di rito in termini di gravi indizi di reato e assoluta indispensabilità delle operazioni di intercettazione.
Tuttavia, la motivazione del decreto de quo , in quanto avente natura sostanzialmente autonoma, deve essere ispirata a criteri di maggiore specificità rispetto alle motivazioni di un decreto di proroga, ciò che rende necessaria una verifica in concreto del contenuto dello stesso che effettivamente si fondi su una autonoma valutazione critica della sussistenza dei presupposti richiesti per intercettare ex novo , valutazione che nel caso di specie manca totalmente.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce nullità dell’ordinanza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 274 cod. proc. pen., come modificato dalla l. n. 47 del 2015, che richiede ai fini della individuazione del pericolo di reiterazione l’emersione di indici diversi dalla gravità dei fatti per cui si procede e concretamente dimostrativi sia della concretezza del pericolo, che della attualità dello stesso, nonchØ omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione sullo specifico punto.
A carico dello COGNOME Ł rimasta in piedi, ai fini cautelari, la sola ipotesi di cui al Capo 14), in relazione alla quale il Tribunale del riesame ancora il giudizio prognostico negativo sulla sola gravità della condotta, trattandosi di «attività di spaccio posta in essere in concorso con COGNOME, in modo organizzato e professionale e che denota la contiguità ad ambienti criminali di notevole spessore». L’ordinanza impugnata omette di valutare se l’esigenza cautelare fosse ancora attuale e la commissione del reato non fosse stata determinata da un momento di sconforto o di debolezza dello Spirito, incensurato, laureato in sociologia e gestore dell’azienda di famiglia.
Ma la disciplina introdotta dalla L. n. 47 del 2015 richiede, ai fini della individuazione del pericolo di
reiterazione del reato, l’emersione di indici diversi dalla gravità dei fatti per cui si procede e concretamente dimostrativi sia della concretezza del pericolo, che della attualità dello stesso. 2.5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 274 c.p.p.: i giudici di merito hanno trascurato di considerare il profilo della formale e sostanziale incensuratezza dello Spirito, ritenendolo all’evidenza subvalente e non tale da escludere il rischio di recidiva in ragione dell’assorbente gravità della condotta.
La pericolosità sociale dell’indagato deve infatti risultare congiuntamente dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla sua personalità, come desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, che ancorano tale valutazione alla specifica situazione dell’indagato, scongiurando automatismi nell’applicazione delle misure dipendenti dalla mera gravità in astratto del titolo di reato contestato.
2.6. Con il sesto motivo il ricorrente deduce violazione del principio di adeguatezza e proporzionalità della misura ex art. 275 cod. proc. pen., commi 1 e 2. Omessa motivazione sul punto.
Il Tribunale del riesame sul punto si Ł limitato a condividere le superficiali motivazioni indicate dal Gip pontino nell’ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari, nonostante apposita censura formulata in sede di riesame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł inammissibile.
I primi tre motivi di ricorso, che, sia pure sotto diversi profili e angolazioni, deducono l’inutilizzabilità delle operazioni di intercettazione telefonica e telematica, sono inammissibili per genericità.
Essi, infatti, appaiono fuori fuoco, in quanto, come chiaramente evincibile dalla loro espressione, gli stessi appaiono interamente declinati in relazione alla posizione del coindagato COGNOME laddove, nei confronti dello COGNOME, la contestazione del reato di cui all’articolo 338 non Ł stata sollevata.
NØ, del resto, l’indagato rappresenta in che modo e a che titolo la doglianza, ove accolta, proietterebbe i suoi effetti sulla sua posizione, in relazione alla imputazione sub 14). Le doglianze debbono quindi essere dichiarate inammissibili per difetto di specificità intrinseca.
Le ultime censure, relative alle esigenze cautelari, possono essere trattate congiuntamente. Esse sono inammissibili.
4.1. Quanto alla «attualità» della esigenza cautelare (quarto motivo), il Collegio rammenta che, in tema di misure coercitive, l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari non deve essere concettualmente confusa con l’attualità e la concretezza delle condotte criminose, sicchØ il pericolo di reiterazione di cui all’art. 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. può essere legittimamente desunto dalle modalità delle condotte contestate, anche se risalenti nel tempo (Sez. 2, n. 38299 del 13/06/2023, COGNOME, Rv. 285217 – 01).
La prevalente giurisprudenza della Corte (Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991 – 01; Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282891 – 01; in senso contrario: Sez. 6, n. 11728 del 20/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286182 – 01) ha ulteriormente precisato che «il requisito dell’attualità del pericolo previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non Ł equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto piø approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza».
Nel caso in esame, il provvedimento impugnato fa buon governo dei principi sopra espressi.
A pagina 8, infatti, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, l’ordinanza evidenzia come connotano negativamente la personalità dello Spirito le gravi condotte ritorsive programmate nei confronti di NOME COGNOME o COGNOME COGNOME, quest’ultimo dipendente dello Spirito, colpevole di avere intentato una vertenza sindacale nei suoi confronti (v. conversazioni dello Spirito in cui si parla della necessità di «commettere un omicidio» o di «appicciare la macchina paro paro»)
Elementi, tutti questi, che il Tribunale del riesame ritiene dimostrativi di una personalità spregiudicata e totalmente indifferente ai provvedimenti dell’autorità, in grado di sterilizzare la incensuratezza dello Spirito (quinto motivo).
6.2. Quanto alla proporzionalità e adeguatezza della misura adottata (sesto motivo), l’ordinanza, dopo avere valutato la particolare gravità del fatto e la personalità dell’indagato a fini cautelari, evidenzia come solo una misura detentiva, ancorchØ diversa da quella di massimo rigore (in ciò dimostrando di avere effettuato un ponderato esame della proporzionalità della misura), Ł in grado di fronteggiare le esigenze cautelari dianzi evidenziate ed assicurare la rescissione dei legami con gli ambienti criminali di riferimento.
Con la motivazione – non manifestamente illogica – fornita dal Tribunale romano, il motivo di ricorso non si confronta, limitandosi a esaltare l’assenza di precedenti penali in capo all’indagato, risultando di tal guisa inammissibile per genericità.
7. Il ricorso in conclusione va dichiarato inammissibile.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonchØ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 08/01/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente COGNOME NOME