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Esigenze cautelari mafia: il tempo non basta a escluderle

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di scarcerazione per due indagati per associazione mafiosa. Il Tribunale del Riesame aveva ritenuto insussistenti le esigenze cautelari mafia solo per il tempo trascorso dai fatti. La Suprema Corte ha ribadito che la presunzione di pericolosità non può essere superata dal mero ‘tempo silente’, ma richiede prove concrete di un distacco irreversibile dal sodalizio criminale.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esigenze Cautelari Mafia: Il Tempo Non Basta a Superare la Presunzione di Pericolosità

La recente sentenza della Corte di Cassazione Penale riafferma un principio fondamentale in materia di esigenze cautelari mafia. Il semplice trascorrere del tempo dai fatti contestati non è sufficiente a vincere la presunzione di pericolosità sociale per chi è indagato per associazione di tipo mafioso. Questa decisione chiarisce che per ottenere una revoca della misura cautelare occorrono elementi concreti che dimostrino un allontanamento definitivo dal sodalizio criminale.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari (G.i.p.) di Napoli nei confronti di due soggetti, accusati di partecipazione a un’associazione di tipo mafioso ai sensi dell’art. 416-bis del codice penale. Secondo l’accusa, gli indagati, fino all’ottobre del 2018, avevano avuto il compito di individuare e sottoporre a estorsione cantieri edili nel territorio controllato dal clan.

Gli indagati presentavano ricorso al Tribunale del Riesame, il quale, pur riconoscendo la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, annullava l’ordinanza di custodia in carcere. La ragione? L’insussistenza delle esigenze cautelari. Il Tribunale motivava la sua decisione sottolineando il notevole lasso di tempo trascorso dai fatti (risalenti al 2018) e la mancata produzione, da parte del Pubblico Ministero, di elementi nuovi capaci di dimostrare l’attualità di tali esigenze.

Il Ricorso e la questione sulle esigenze cautelari mafia

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ha impugnato la decisione del Riesame dinanzi alla Corte di Cassazione. Il Pubblico Ministero ha lamentato l’erronea applicazione della legge penale, in particolare degli articoli 274 e 275 del codice di procedura penale.

Secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe errato nel considerare il solo decorso del tempo come fattore decisivo per escludere le esigenze cautelari. Così facendo, avrebbe ignorato la presunzione relativa di sussistenza di tali esigenze che la legge prevede specificamente per i reati di associazione mafiosa. L’accusa ha sottolineato che gli indagati erano accusati di far parte di un’organizzazione criminale storica, radicata sul territorio e tuttora operativa, circostanza che rafforza la presunzione di pericolosità.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso del Pubblico Ministero, annullando con rinvio l’ordinanza impugnata. I giudici di legittimità hanno richiamato i principi consolidati in materia di esigenze cautelari mafia.

In primo luogo, la Corte ha chiarito che la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, sancita dall’art. 275, comma 3, c.p.p. per i delitti di mafia, è una presunzione relativa, ovvero può essere superata da una prova contraria. Tuttavia, tale prova non può consistere nel mero decorso del cosiddetto ‘tempo silente’, cioè il periodo intercorso tra i fatti e l’applicazione della misura. Qualsiasi automatismo valutativo basato solo sul tempo è escluso.

Per vincere la presunzione, è necessario un apprezzamento di elementi concreti, significativi e specifici. Questi elementi devono dimostrare un’effettiva e irreversibile cessazione del legame con l’associazione criminale. La Corte cita alcuni esempi: il recesso dell’indagato dal sodalizio, l’esaurimento dell’attività associativa, un’attività di collaborazione con la giustizia o il trasferimento in un’altra zona territoriale. Il ‘tempo silente’ può essere valutato solo in via residuale, come uno dei tanti elementi volti a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari.

Nel caso di specie, il Tribunale del Riesame ha errato proprio perché ha fondato la sua decisione esclusivamente su due fattori: il tempo trascorso (sei anni) e l’assenza di nuovi elementi probatori da parte dell’accusa. Questo approccio è stato giudicato contrario alla legge, che impone una valutazione più approfondita e non si accontenta del solo silenzio investigativo per ritenere venuta meno la pericolosità dell’indagato.

Conclusioni

La sentenza in esame costituisce un’importante conferma della linea dura della giurisprudenza nei confronti dei reati di criminalità organizzata. La decisione ribadisce che il legame con un’associazione mafiosa si presume persistente e pericoloso, e che tale presunzione non si affievolisce con il semplice passare degli anni. Per un indagato, dimostrare di aver reciso ogni legame con il passato criminale richiede prove tangibili e inequivocabili. La pronuncia della Cassazione serve da monito: la lotta alla mafia si combatte anche sul piano processuale, impedendo che cavilli procedurali o il decorso del tempo possano vanificare l’efficacia delle misure preventive e repressive dello Stato.

Il solo trascorrere del tempo è sufficiente a far decadere le esigenze cautelari per il reato di associazione mafiosa?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il mero decorso del c.d. ‘tempo silente’ non è di per sé sufficiente a superare la presunzione legale di sussistenza delle esigenze cautelari per i delitti di cui all’art. 416-bis cod. pen.

Cosa è necessario per superare la presunzione di pericolosità di un indagato per mafia?
Per superare la presunzione, occorre fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione che indichi l’assenza di esigenze cautelari. Ciò può avvenire, ad esempio, provando il recesso dell’indagato dall’associazione, l’esaurimento dell’attività del gruppo criminale, o attraverso altri elementi come la collaborazione con la giustizia.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale del Riesame?
La Corte ha annullato l’ordinanza perché il Tribunale ha escluso le esigenze cautelari basandosi esclusivamente sul tempo trascorso dai fatti contestati e sulla mancata produzione di nuovi elementi da parte del pubblico ministero, senza considerare che questi fattori da soli non sono sufficienti a vincere la presunzione di pericolosità prevista dalla legge per i reati di mafia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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