Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26809 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26809 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 30/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 15/02/2024 del TRIB. RIESAME di TORINO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza pronunciata a norma dell’art. 309 cod. proc. pen, il Tribunale del Riesame di Torino ha confermato l’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Torino di applicazione nei confronti di NOME (alias NOME) della misura della custodia cautelare in carcere GLYPH in ordine a tre distinti reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 73, comma 1, d.P.R. ottobre 1990 n. 309, commessi il 3 agosto 2019 (capo 3), il 9 settembre 2019 (capo 8) e il 23/24 novembre 2019 (capo 19).
Nell’ambito di una complessa e articolata attività di indagine in materia di traffico di sostanze stupefacenti posto in essere da soggetti, per lo più di nazionalità albanese, che aveva consentito di disvelare l’esistenza di tre distinti nuclei associativi, era emersa la figura dell’odierno ricorrente NOME coinvolto negli episodi su indicati.
Contro l’ordinanza, la difesa del ricorrente ha proposto ricorso, formulando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati su indicati e alla mancata derubricazione di tali reati in quello di cui all’art. comma 5, d.P.R. n 309/90.
Il difensore osserva che, in relazione ai tre episodi contestati, i gravi indiz di colpevolezza sarebbero rappresentati esclusivamente dalle intercettazioni telefoniche, in quanto durante i servizi di appostamento che avevano riguardato NOME non era stata sequestrata sostanza stupefacente, né erano state monitorate cessioni. La giurisprudenza di legittimità -ricorda il difensore- afferma che in tema di stupefacenti, laddove gli elementi a carico di un soggetto consistano in mere dichiarazioni captate nel corso di operazioni di intercettazioni, prive di riscontri oggettivi, la loro valutazione deve essere compiuta dal giudice con particolare rigore (Sez 3 n. 16792 del 22 aprile 2015) e comunque, in difetto di dati certi sul quantitativo, in ragione del principio del favor rei, deve essere individuata la fattispecie meno grave (Sez 4, n. 33979 del 2021). Nel caso in esame non sussisterebbero dati certi sul dato ponderale e prima ancora sulla illiceità della detenzione: le modalità di organizzazione degli incontri, le tempistiche in cui si sono svolti, le cautele adottate sono, invero, compatibili con qualunque tipo di acquisto, sia per uso personale (ed in tal caso non potrebbe ravvisarsi la fattispecie penale), sia per quantitativi minimi. In maniera illogic
il Tribunale avrebbe affermato che tutte le transazioni del concorrente NOME COGNOME avevano ad oggetto quantitativi notevoli, quando, invece, con riferimento ai reati di cui ai capi 15) e 25) era stata riconosciuta la fattispec della lieve entità e non avrebbe valorizzato il dato emergente da una conversazione, in cui NOME aveva fatto riferimento al controvalore di 250 euro, compatibile con un quantitativo modesto di sostanza stupefacente, interpretando tale indicazione come relativa ad un acconto rispetto ad una maggiore somma.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari. Il difensore contesta che la produzione documentale da parte dell’accusa relativa ad una recente sentenza del Tribunale di Asti nei confronti di COGNOME, relativa ad ipotesi di spaccio di sostanze stupefacenti negli anni 2021/2022, non varrebbe a provare la attualità delle esigenze cautelari, posto che anche tali reati risalivano, comunque, al massimo ad aprile 2022 e, dunque, a due anni prima rispetto alla applicazione della misura. Il Tribunale, inoltre, non avrebbe tenuto conto che NOME proprio nell’aprile del 2022 aveva aperto una RAGIONE_SOCIALE edile RAGIONE_SOCIALE, a dimostrazione del suo distacco dagli ambienti delinquenziali in cui, secondo l’accusa, era inserito.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
E’ principio consolidato quello per cui “in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito” (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazze/li, Rv. 276976). L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. è, quindi, rilevabile in cassazione
-soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda né ricostruzione di fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibili delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori. Ne consegue che non sono consentite censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice dì merito (quanto al contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, pare sufficiente rAchiamare il consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, rinviandosi sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013, Rv. 254584, in motivazione; Sezioni Unite n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
Più specificamente, per soffermarsi sui temi trattati con il ricorso, si osserva che con riferimento al mezzo di prova delle intercettazioni, questa Corte ha stabilito che “costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza del motivazione con cui esse sono recepite” (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337).
Così ricostruito il perimetro del sindacato di legittimità in tema di misure cautelari personali, si osserva che il primo motivo è incentrato su due diversi profili, il primo attinente alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ed secondo attinente alla qualificazione giuridica dei reati contestati.
Sotto il primo profilo, il difensore non contesta che nelle occasioni di cui ai capi 4), 8) e 19), COGNOME abbia acquistato e detenuto sostanza stupefacente del tipo cocaina, ma argomenta che non vi era prova della illiceità della condotta, rilevando che egli avrebbe potuto detenere la droga per uso personale. Si tratta di censura inammissibile per difetto di specificità e per assenza di confronto con la motivazione dell’ordinanza impugnata. Il motivo si limita a sostenere la plausibilità del consumo personale, senza dare conto di elementi concreti atti a suffragare tale versione difensiva; soprattutto oblitera che i Tribunale ha spiegato come le transazioni contestate nei suddetti capi fossero collegate ad un contesto associativo, nel quale NOME COGNOME, regista delle varie operazioni fra cui anche quelle oggetto di contestazione, e NOME trattavano significative partite di droga.
Sotto il secondo profilo, il difensore si limita a richiamare il principio per cu in assenza di dati certi in ordine ai quantitativi di sostanza stupefacente trattata la qualificazione giuridica deve essere quella più favorevole, ma, ancora una volta, non si confronta con il percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata, nella quale si dà atto (pag. 6) del contesto complessivo dell’indagine in cui NOME e i suoi complici erano dediti in maniera professionale al rifornimento nei confronti di terzi subfornitori di quantitativi significati cocaina, in una posizione, dunque, ben distante dalle minute transazioni da strada. In tal senso l’interpretazione del passaggio della conversazione in cui si fa riferimento al pagamento di 250 euro, tale per cui tale somma sarebbe stat’i-solo un acconto rispetto ad una maggiore somma, non è sindacabile, in quanto non irragionevole.
La mancata derubricazione nella fattispecie di lieve entità è stata, dunque, giustificata da parte del Tribunale in modo logico e coerente con le risultanze delle indagini, mentre il motivo, nella sua genericità, non ha evidenziato ragioni di fatto o di diritto tali da incrinare la tenuta logica della motivazione.
2. Il secondo motivo, incentrato sulle esigenze cautelari, è manifestamente infondato.
Il Tribunale ha ritenuto sussistente il pericolo di reiterazione di reati del stessa specie, valorizzando, a tale fine, gi stabili contatti del ricorrente con vertice di una organizzazione criminale e la recente sentenza emessa dal Tribunale di Asti di condanna ad anni tre mesi nove e giorni ventisei di reclusione per numerosissimi episodi di spaccio risalente agli anni 2021 e 2022. I fatti contestati e il precedente giudiziario sopravvenuto convergono- secondo i giudici- nel delineare un soggetto inserito stabilmente nel mercato delinquenziale della droga, con consegunte grave, attuale e concreto pericolo di recidiva, salvaguardabile soló (ià misura massimamente afflittiva.
La motivazione adottata è in linea con i principi del diritto vivente, ovvero con l’interpretazione elaborata da questa Corte dell’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., nel testo introdotto dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, secondo la quale il requisito dell’attualità deve essere inteso nel senso che possa essere formulata una prognosi di ricaduta nel reato fondata sia sulla personalità dell’accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, sia sull’esame d sue concrete condizioni di vita. Tale valutazione prognostica non richie tuttavia, la previsione di una “specifica occasione” per delinquere, che esula facoltà del giudice (sez. 4 n. 47837 del 04/10/2018, Rv. 273994), bensì valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla str un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle mod
F
realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socioambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (sez. 5 n. 11250 del 19/11/2018, dep. 2019, Avolio Mario, Rv. 277242).
Nel caso in esame la valutazione richiesta dalla giurisprudenza di legittimità è stata condotta dal Tribunale in modo corretto, giacchè la attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione sono state ancorate a dati concreti e non semplicemente affermate in astratto.
Di contro la censura del ricorrente, nel tentativo di scardinare il percorso IL aVoldel Tribunale, è generica e meramente avversativa: da un lato il decorso di neanche due anni fra gli ultimi fatti per cui ha riportato condanna e l’applicazione della misura non può essere ritenuto significativo nel senso dell’azzeramento delle esigenze cautelari, in rapporto alla gravità complessiva delle contestazioni, dall’altro l’apertura da parte dell’indagato della RAGIONE_SOCIALE nell’anno 2022 non è elemento che possa valere a dimostrare un cambiamento radicale del percorso di vita. €
4.Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, oltre che la trasmissione degli atti alla cancelleria per quanto di competenza, ai sensi all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Deciso il 30 maggio 2024