Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37863 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37863 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2025
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
COGNOME
Presidente
Sent.n.sez.1597/2025
NOME COGNOME
CC – 23/10/2025
NOME BELMONTE
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME COGNOME
– Relatore
–
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 21/05/2025 del Tribunale di Palermo
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette/sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza del 21 maggio 2025 il Tribunale di Palermo ha accolto l’appello del Pubblico Ministero avverso l’ordinanza emessa dal G.I.P. dello stesso Tribunale, con la quale era stata applicata, nei confronti di COGNOME NOME, la misura cautelare dell’obbligo di dimora e di presentazione alla P.G. in luogo di quella richiesta della custodia cautelare in carcere, in ordine al delitto di cui all’art. 74 d.p.r. 309/90, aggravato dalla natura armata, dal metodo mafioso e dall’agevolazione dell’attività di associazione mafioso (capo 4), e al delitto di cui all’art. 73 d.p.r. 309/90 in relazione ad ingente quantitativo di droga leggera e pesante, 6.566 grammi di hashish e 6.740 grammi di cocaina (capo 28). Indi ha applicato al predetto la misura custodiale, sospendendone l’esecuzione fino alla definitività.
Con atto a firma del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME avverso il provvedimento del Tribunale, deducendo vizio di motivazione e violazione di legge.
Il ricorrente lamenta, innanzitutto, che il Tribunale ha erroneamente valorizzato ai fini della sua valutazione la sentenza del 22 Febbraio 2024, resa all’esito di giudizio abbreviato, dal G.u.p. del Tribunale di Palermo, che ha affermato la sussistenza del reato di associazione a delinquere dedita al traffico di stupefacenti, aggravato ai sensi dell’articolo 416-bis.1, cod. pen., ‘al fine di annettere al mandamento mafioso RAGIONE_SOCIALE Porta Nuova la gestione e il coordinamento di alcune piazze di spaccio site nel centro cittadino ove ricade anche il deposito de quo’.
Si evidenzia al riguardo che infatti trattasi di sentenza rispetto alla quale difetta la prova della sua irrevocabilità, con la conseguenza che essa avrebbe potuto essere utilizzata unicamente quale documento producibile a norma dell’art. 234 c.p.p., ma non ai fini della valutazione delle prove e della ricostruzione dei fatti oggetto di accertamento nel diverso procedimento penale.
Nel caso in esame il Tribunale è incorso in un duplice vizio: da un lato ha utilizzato ben oltre i limiti consentiti dall’articolo 234 del codice di rito la sentenza citata, avendo attribuito alla statuizione in essa richiamata valore probatorio ( rectius gravemente indiziante) in relazione al presunto contributo qualificato che il COGNOME avrebbe offerto; dall’altro lato, ha posto a sostegno della decisione elementi relativi a vicende processuali rispetto alle quali il ricorrente non ha avuto alcuna possibilità di interlocuzione difensiva trattandosi di emergenze processuali in alcun modo legate al predetto.
A ciò si aggiunga che il Tribunale non ha comunque offerto elementi di sorta per poter, anche in termini ipotetici, configurare un collegamento di qualsivoglia natura o identità tra il ricorrente e taluno dei soggetti menzionati nella sentenza in questione, posto che dagli atti non emerge alcun contatto tra essi e il COGNOME, nè risulta che il P.M. ne abbia dato contezza; evidente è dunque il vizio di violazione di legge e di illogicità nella motivazione.
Deve poi rilevarsi che anche se il tempo trascorso dalla commissione del reato non esclude automaticamente l’attualità e la concretezza delle condizioni di cui all’art. 274, comma 1 lettera c) del codice di rito, tuttavia è indubbio che in presenza di una distanza temporale dai fatti che sia oggettivamente apprezzabile – come nel caso di specie superiore ai due anni – l’obbligo di motivazione debba essere adempiuto in termini particolarmente rigorosi nell’indicare le ragioni sia dell’attualità del tipo di esigenza cautelare ritenuta sussistente che della scelta della misura cautelare, perché tale distanza temporale di per sé costituisce un elemento di fatto tendenzialmente dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare, ancorché non per sé
incompatibile. D’altronde oramai non è più obbligatoria la misura custodiale in carcere in relazione all’articolo 74 d.p.r. 309/90.
Nel caso di specie non può dirsi operata tale valutazione da parte del Tribunale. Nel caso di specie a fronte di un periodo temporale di più di due anni dai fatti oggetto di investigazione all’adozione della misura, il Tribunale ha ricordato il pericolo di recidiva derivante dal presunto contesto mafioso ma non ha chiarito il ragionamento seguito al fine di valutare l’attualità del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quelli per cui si procede, e la sussistenza delle condizioni per ritenere che tali esigenza non potessero essere garantite mediante l’adozione di misure cautelari meno incisive della custodia in carcere. Il Tribunale ha quindi omesso di considerare i principi costituzionali di riferimento che impongono il criterio del minor sacrificio necessario, nel senso che la compressione della libertà personale va contenuta entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari riconducibili al caso concreto. Anche in relazione a tale profilo manca di motivare l’ordinanza impugnata.
Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato – ai sensi dell’art. 611 come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni, e dell’art. 127 del codice di rito – su richiesta, con l’intervento delle parti, rectius del Pubblico Ministero che ha rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è, nel suo complesso, infondato, presentando tratti di inammissibilità.
1.1.Esso risulta, invero, generico nella parte in cui lamenta l’utilizzo di sentenza, non passata in giudicato, emessa dal G.u.p. del Tribunale di Palermo, all’esito di giudizio abbreviato, in data 22 febbraio 2024, nell’ambito di procedimento penale al quale è rimasto estraneo il COGNOME. Prospetta, il ricorrente, che il Tribunale sarebbe incorso in un duplice vizio, perché da un lato, avrebbe utilizzato ben oltre i limiti consentiti dall’art. 234 del codice di rito la sentenza citata, avendo attribuito alla statuizione in essa richiamata valore probatorio ( rectius gravemente indiziante) in relazione al presunto contributo qualificato che il ricorrente avrebbe offerto, e, dall’altro lato, avrebbe posto a sostegno della decisione elementi relativi a vicende processuali rispetto alle quali il COGNOME non ha avuto alcuna possibilità di interlocuzione difensiva, trattandosi di emergenze processuali in alcun modo legate al predetto.
Tuttavia, nel dolersi di tale utilizzo improprio da parte del Collegio cautelare, il ricorrente non indica in che termini esso abbia inciso, in termini decisivi, sulla valutazione della posizione del COGNOME. Laddove il provvedimento impugnato fonda sulla pluralità di elementi emersi nell’ambito del presente procedimento la gravità indiziaria relativa al ruolo di custode dello stupefacente per conto dell’associazione, ritagliato in capo al ricorrente grazie alla stabile messa a disposizione dei sodali di un’abitazione nella propria disponibilità, usata come deposito del compromettente materiale. E quanto all’interazione tra l’associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti e il mandamento di Porta Nuova, il Tribunale ha fatto altresì riferimento, oltre che alla sentenza indicata dalla difesa, anche all’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti di COGNOME e COGNOME, proprio quali associati mafiosi preposti, tra le altre incombenze, al coordinamento del circuito di imposizione e distribuzione degli stupefacenti per conto del mandamento di Porta Nuova (non oggetto di contestazione da parte della difesa).
In ogni caso il riferimento alla sentenza non passata in giudicato – al pari di quello ai provvedimenti cautelari emessi nei confronti di coindagati – costituisce un modo per attestare un dato di fatto, consistente, in un caso, nell’intervenuta condanna, sia pure non definitiva, di determinati soggetti in ordine a reato associativo mafioso afferente il territorio operativo dell’associazione oggetto del presente procedimento, e, nell’altro caso, nell’intervenuto arresto di determinati soggetti per reato di tipo associativo mafioso, rispetto ai quali il contenuto dei rispettivi provvedimenti consente comunque di prendere cognizione di quanto in esse scritte ai fini dei rilievi del caso (nel caso di specie assenti).
Fermo restando che, versandosi nell’ambito della gravità indiziaria, non è escluso che determinate circostanze affermate in provvedimenti non definitivi possano assumere un qualche rilievo valutativo, ove siano indicate nell’ambito del contesto ricostruttivo complessivo che si fonda anche su altri elementi.
D’altronde, per espressa previsione normativa, di cui all’art.275, comma 1-bis cod. proc. pen., in caso di sentenza di condanna, non definitiva, il perimetro cognitivo-valutativo è limitato alla verifica della sussistenza delle sole esigenze cautelari, proprio perché ai fini cautelari assume rilievo la gravità indiziaria e non necessita la prova della responsabilità penale che solo una sentenza definitiva può attestare.
Si tratta piuttosto di valutare la valenza degli elementi desumibili dalla sentenza di condanna, nel senso di verificare in che misura essi possono avere un qualche rilievo ai fini della diversa valutazione da effettuare in sede cautelare (laddove il fatto che il difensore sia rimasto estraneo al procedimento in cui è stata emessa la sentenza di condanna, a rigore, di per sé, non rileva, trattandosi di circostanza che per espressa previsione normativa assume specifico rilievo rispetto alla diversa
ipotesi dell’utilizzo, ex art. 238 c.p.p., nell’ambito di un procedimento penale, dei verbali di prove assunte in altro procedimento penale).
1.2. Infondata è poi la doglianza che assume che il Tribunale, a fronte del lasso di tempo trascorso dalla commissione del reato – superiore ai due anni nel caso di specie – non ha adempiuto all’obbligo di motivazione, che deve in tale ipotesi essere assolto in termini particolarmente rigorosi nell’indicare le ragioni sia dell’attualità del tipo di esigenza cautelare ritenuta sussistente che della scelta della misura cautelare, perché la distanza temporale di per sé costituisce un elemento di fatto tendenzialmente dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare, ancorché non per sé incompatibile.
Ebbene, leggendo il provvedimento impugnato balza invece evidente che il Tribunale non ha fondato la sua valutazione sulla presunzione di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen., ma ha saggiato, in concreto, la ricorrenza del pericolo di recidiva specifica. Ha, in particolare, il Tribunale, posto in evidenza, da un lato, l’epoca comunque relativamente recente dei fatti, e soprattutto la co-essenzialità dell’associazione finalizzata al narcotraffico, in rilievo per COGNOME, all’organizzazione mafiosa e all’imminente presenza intimidatrice nel territorio di quest’ultima, e, dall’altro, la collocazione del contributo del COGNOME, a livello della commercializzazione all’ingrosso, per via delle ingenti quantità di droga custodita, nel sistema di relazioni che danno vita al mercato dello stupefacente.
Indi, ha concluso, il Tribunale – adducendo in tal modo una motivazione congrua, e conforme ai dettami normativi, a sostegno della decisione assunta – che ‘l grado elevato della cautela special preventiva, di cui va ribadita la ricorrenza anche in concreto, e l’assenza di dati di positiva valutazione in favore dell’indagato, attestano la necessità dell’adozione del presidio cautelare di massimo rigore’, non potendosi in vero ritenere che ‘misure meno contenitive, ivi compresi gli arresti domiciliari col cosiddetto braccialetto elettronico, possano monitorare costantemente e così interrompere quel crogiuolo di relazioni criminali, persino collaterali a cosa nostra in cui l’indagato risulta inserito. Non è, infatti, neppure ipotizzabile – prosegue il Tribunale – malgrado l’incensuratezza, l’osservanza di presidi cautelari attenuati, avuto proprio riguardo al grado intenso della pericolosità sociale che deriva da quella sorta di doppia caratura criminale (mafiosa e finalizzata al narcotraffico) che caratterizza l’operatività della struttura associativa di militanza dell’indagato’.
2.Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.
Seguono, per la cancelleria, gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 23/10/2025.
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME