Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2083 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2083 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato il 30/04/1963 a Policoro avverso l’ordinanza in data 16/05/2024 del Tribunale di Potenza
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 16/05/2024 il Tribunale di Potenza ha giudicato sull’istanza di riesame presentata nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Potenza in data 18/04/2024: in particolare il Tribunale ha escluso il presupposto per l’applicazione di misura cautelare con riguardo ai reati sub 5), 7), 26), ha escluso l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1
cod. pen. in relazione al delitto di estorsione di cui al capo 4), ha riqualificato l’associazione dedita al narcotraffico di cui al capo 31) ai sensi dell’art. 74, comma 6, d.P.R. 309 del 1990, ha riqualificato i reati in materia di detenzione e spaccio di stupefacenti ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990, ha confermato nel resto la misura cautelare della custodia in carcere applicata a NOME COGNOME.
Ha proposto ricorso NOME COGNOME tramite il suo difensore.
2.1. Con il primo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione agli atti del procedimento e ai motivi nuovi presentati all’udienza del 14/06/2024, con riferimento alla gravità indiziaria per il reato associativo e per gli altri reati i materia di stupefacenti.
Delineata la struttura dell’ordinanza impugnata e dato conto del fatto che erano state valorizzate conversazioni intercettate e dichiarazioni dei collaboratori, il ricorrente segnala che non erano stati acquisiti elementi idonei a dimostrare l’esistenza di un’associazione dedita al narcotraffico, potendosi al più prospettare un concorso di persone in condotte di approvvigionamento e spaccio di stupefacenti, in assenza di un accordo volto alla commissione di una serie indeterminata di delitti, di un’organizzazione stabile, tale da consentire la realizzazione del programma, e dell’affectio societatis.
Non sussisteva la prova di scambi di stupefacenti tra il presunto capo e altri compartecipi e comunque la sussistenza del sodalizio non avrebbe potuto desumersi dalla serialità di presunti scambi di sostanze stupefacenti, serialità peraltro assente.
Il ricorrente compariva in poche intercettazioni e per un periodo ridotto e non vi erano contatti con altri soggetti ritenuti sodali.
Nel dar conto di risultanze riferite a distinti procedimenti, il Tribunale non aveva ricostruito organicamente e in termini inequivoci la posizione e il ruolo del ricorrente. Il carattere pluridirezionale dei rapporti in cui il ricorrente era coinvolto non era coerente con l’ipotesi dell’inserimento in un contesto associativo, a fronte di una serie di reati non previamente determinata e di un vincolo meramente transitorio, al di là di un assetto volto solo alla realizzazione di singoli episodi.
Richiamando una pronuncia della Corte di cassazione in ordine al tema del reato associativo, rileva il ricorrente che non ricorrevano i presupposti in essa delineati.
Aggiunge che il Tribunale non aveva rilevato l’esistenza di una base logistica, la canalizzazione dei proventi verso qualcuno, il vincolo di solidarietà e la comune progettazione, i diversi canali di approvvigionamento.
Non vi erano conversazioni idonee a dimostrare il ruolo esponenziale del ricorrente.
2.2. Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari.
Indebitamente valorizzando i precedenti penali e omettendo di valutarne la concreta datazione, il Tribunale aveva ravvisato la sussistenza di esigenze cautelari tali da imporre la restrizione in carcere, senza tuttavia valutare l’attualità del pericolo a fronte del lungo tempo trascorso dall’ultimo dei reati contestati, risalente al 2021, in assenza di elementi attestanti ulteriori manifestazioni di attività illecita: ciò assumeva rilievo anche ai fini della scelta dell’eventuale misura da applicare, se del caso rafforzata da braccialetto elettronico, profilo che il Tribunale non aveva preso in considerazione.
Né era stato rilevato quanto difensivamente dedotto circa il fatto che il ricorrente svolgeva attività di agricoltore, non potendo affermarsi che egli viva dei proventi di attività delittuose, fermo restando che il Tribunale aveva riconosciuto che il sodalizio non aveva significative risorse economiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è infondato e in larga misura genericamente formulato.
1.1. Il Tribunale, anche sulla base di ampi richiami all’ordinanza genetica, ha indicato gli elementi ritenuti non illogicamente idonei a suffragare l’ipotesi dell’esistenza di un sodalizio dedito al narcotraffico, facente capo ai fratelli NOME e NOME COGNOME, quest’ultimo successivamente deceduto.
Nel dar conto di convergenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia in ordine all’operatività del gruppo RAGIONE_SOCIALE, insediato in particolare nella zona di Policoro, il Tribunale ha specificamente suffragato l’assunto accusatoria attraverso il riferimento a numerosi episodi di approvvigionamento, coltivazione, detenzione e spaccio di stupefacenti, ascrivibili alla consorteria, avente essenzialmente base familiare, ma attiva anche attraverso il contributo di altri soggetti, in costante contatto con i COGNOME, a conoscenza dei rapporti di costoro con i fornitori e dediti alla detenzione e allo spaccio di sostanze stupefacenti in una logica di gruppo.
1.2. In particolare, il Tribunale ha segnalato come il sodalizio avesse caratteristiche compatibili con l’ipotesi delineata dall’art. 74, comma 6, d.P.R. 309 del 1990, non essendo emersi approvvigionamenti di consistenza particolarmente elevata in assenza della disponibilità di cospicue risorse finanziarie, ed essendo per altro verso emerso che gli stessi vertici del gruppo erano a loro volta impegnati nell’attività di spaccio.
Nondimeno è stato posto in evidenza come la consorteria fosse connotata da stabili contatti tra i sodali, invitati alla cautela nelle conversazioni telefonich (pagg. 75 e 76 dell’ordinanza impugnata) e attenti ai controlli delle forze dell’ordine, tanto da comunicare le informazioni acquisite in merito a perquisizioni ed arresti eseguiti, nonché dalla disponibilità di basi logistiche e operative, come la serra, denominata centro commerciale, tanto che in data 24/10/2019 era stato scoperto all’interno di un capannone in Tursi, località Giardini, un deposito di infiorescenze di «canapa indiana», qualificato come «fabbrica della droga», luogo frequentato dai fratelli COGNOME, dove avveniva anche l’essiccazione, la trasformazione e l’imbustamento della droga, fermo restando che i predetti avevano nei giorni precedenti organizzato con altri sodali il trasferimento della droga da serra e terreni nella loro disponibilità.
A ben guardare dunque il Tribunale ha dato conto degli elementi costitutivi di un’associazione dedita al narcotraffico, ponendo in luce la sincronica e stabile operatività di un gruppo di soggetti, per lo più uniti anche da vincoli familiari, che disponevano di mezzi idonei ed erano attivi nella realizzazione di un progetto non temporalmente limitato, avente ad oggetto l’approvvigionamento, la preparazione e lo spaccio di stupefacenti, attuato anche attraverso pusher fidelizzati mediante consegne a credito, che agivano in una determinata piazza di spaccio in Policoro.
Il Tribunale ha anche sottolineato come i sodali avessero piena contezza del rischio che potesse venire in evidenza un’associazione, ciò che aveva indotto NOME COGNOME ad ammonire NOME COGNOME in ordine ai suoi rapporti con albanesi e baresi (cfr. pag. 66 dell’ordinanza impugnata).
1.3. Si tratta di ricostruzione che si pone in linea con gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità.
E’ stati infatti affermato che, ai fini della configurabilità del reato d associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, «è necessaria la predisposizione di un’organizzazione strutturale, sia pure minima, di uomini e mezzi, funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nella consapevolezza, da parte di singoli associati, di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponibili ad operare nel tempo per l’attuazione del programma criminoso comune» (Sez. 2, n. 20451 del 03/04/2013, COGNOME, Rv. 256054; Sez. 1, n. 30463 del 07/07/2011, COGNOME, Rv. 251011; in senso analogo, più di recente, Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, COGNOME, Rv. 275583). D’altro canto «il patto associativo non deve necessariamente consistere in un preventivo accordo formale, ma può essere anche non espresso e costituirsi di fatto fra soggetti consapevoli che le attività proprie ed altrui ricevono vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscono all’attuazione dello scopo comune» (Sez. 3, n. 32485 del 24/05/2022, COGNOME, Rv. 283691).
Inoltre, si è affermato che «l’esistenza della consorteria criminosa non è esclusa per il fatto che la stessa sia imperniata per lo più intorno a componenti della stessa famiglia, atteso che, al contrario, i rapporti parentali o coniugali, sommandosi al vincolo associativo, rendono quest’ultimo ancora più pericoloso» (Sez. 3, n. 48568 del 25/02/2016, COGNOME, Rv. 268184).
1.4. In tale quadro è stato coerentemente collocato il ruolo assunto dal ricorrente, quale organo apicale del sodalizio, che si occupava in varia guisa sia dell’approvvigionamento -se del caso ricorrendo anche a modalità truffaldine, come in occasione dell’acquisto di droga da NOME COGNOME in cambio di orologi poi risultati di poco valore (episodio narrato dal collaboratore COGNOME e riscontrato dal rinvenimento di orologi dopo la morte di COGNOME)- sia dello spaccio, oltre che della custodia e preparazione della droga, tenendo contatti con gli altri sodali e con i pusher.
A fronte di ciò le doglianze esposte nel motivo di ricorso, incentrate sulla mancanza di elementi attestanti l’esistenza di un sodalizio e il coinvolgimento del ricorrente in una trama associativa e sull’insufficienza delle conversazioni intercettate, risultano infondate, avendo il Tribunale segnalato il quadro operativo del gruppo avente base familiare, al di là di divergenze tra NOME COGNOME e il fratello NOMECOGNOME dato conto del fatto che i due fratelli frequentavano il capannone rinvenuto in Tursi dove era stato rinvenuto un atomizzatore dai predetti custodito, rilevato che esisteva una contabilità e vi erano stabili contatti tra tutti gli associati.
Generiche risultano inoltre le deduzioni facenti leva sulla giurisprudenza di legittimità, che in realtà non può essere invocata su basi astratte, ma deve essere correlata a specifiche e concrete fattispecie, dovendosi in realtà rilevare la piena conformità degli assunti del Tribunale ad orientamenti giurisprudenziali consolidati.
2. Il secondo motivo è fondato.
2.1. Il Tribunale, pur avendo rilevato, a seguito dell’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. e della riqualificazione del reato associativo nell’ipotesi di cui all’art. 74, comma 6, d.P.R. 309 del 1990, che non operava la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ha nondimeno ritenuto che fosse ravvisabile il pericolo di reiterazione criminosa e che si imponesse l’applicazione della custodia in carcere.
A tali fini ha valorizzato i precedenti da cui il ricorrente è gravato e la circostanza che egli avesse continuato a delinquere nonostante la sottoposizione a misura di prevenzione, elemento attestante la sua incapacità di ravvedersi.
2.2. Deve tuttavia rimarcarsi, alla luce dei rilievi esposti nel motivo di ricorso, che il Tribunale non ha tenuto conto della concreta datazione dei precedenti e che
soprattutto non ha specificamente valutato né il tempo trascorso dall’ultimo episodio contestato né l’idoneità di una misura cautelare meno afflittiva della restrizione in carcere, a cominciare da quella degli arresti domiciliari, se del caso presidiati da strumento elettronico di controllo.
2.3. Ed invero, pur potendosi desumere da quei precedenti un profilo personologico significativo, ai fini dell’applicazione di misure cautelari, tanto più nei casi in cui non opera la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è necessario dare positivamente conto della concretezza e dell’attualità delle esigenze cautelari e, nel contempo, dell’adeguatezza esclusiva della misura più afflittiva, a fronte della possibile applicazione di misure diverse.
D’altro canto, l’attualità non implica l’imminenza di una nuova occasione per delinquere quanto la persistenza e la continuità del pericolo che il soggetto, avuto riguardo alle sue esperienze, alle sue condizioni di vita e al contesto nel quale opera, possa nuovamente volersi procurare un’occasione propizia per intraprendere un’azione delittuosa, in tal senso potendosi rinvenire una linea interpretativa idonea a ricondurre ad unità l’orientamento che fa leva sulla previsione di un’occasione prossima per compiere delitti della stessa specie (Sez. 6, n. 11728 del 20/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286182) e l’orientamento che dà rilievo alla continuità del pericolo nella sua dimensione temporale, alla luce di una attenta analisi personologica e socio-ambientale, continuità correlata alla vicinanza ai fatti e ad elementi indicativi recenti (Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282767; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, 282991).
2.4. In tale prospettiva costituisce elemento ineludibile la valutazione del tempo trascorso dai fatti e la presenza o meno di elementi sintomatici recenti, dovendosi a questo riguardo rilevare come il passaggio del tempo influisca non solo sulla sussistenza o meno delle esigenze cautelari ma anche sull’individuazione della misura più adeguata nel presupposto che si registri un affievolimento delle esigenze, tale da giustificare misure meno afflittive (sul punto Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, COGNOME, Rv. 244 377).
2.5. Ed allora deve convenirsi con il ricorrente che il Tribunale si è del tutto sottratto alla valutazione, ai fini indicati, del tempo trascorso, pari a circa tre anni dall’ultimo episodio, avendo inoltre illogicamente fondato l’esclusione della misura degli arresti domiciliari non sulla valutazione dell’adeguatezza della stessa a prevenire pericoli di reiterazione quanto sull’incapacità del ricorrente di ravvedersi, ciò che semmai inerisce alla sussistenza di un pericolo ma non vale a qualificarne la consistenza e a definire l’adeguatezza di una misura meno afflittiva.
Con riguardo ai profili strettamente cautelari l’ordinanza impugnata deve essere dunque annullata con rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale di Potenza, mentre il ricorso va rigettato nel resto.
P. Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Potenza competente ai sensi dell’art. 309, co. 7 c.p.p.; rigetta nel resto. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 31/10/2024