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Esigenze cautelari: la valutazione del tempo trascorso

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per un imputato di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. La Corte ha ritenuto che il Tribunale del Riesame non avesse adeguatamente valutato le esigenze cautelari attuali, in particolare il lungo tempo trascorso (circa tre anni) dall’ultimo reato contestato, e non avesse motivato in modo logico l’inadeguatezza di misure meno afflittive come gli arresti domiciliari.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esigenze Cautelari: Il Tempo Trascorso È Decisivo

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 2083 del 2025, riafferma un principio fondamentale in materia di misure restrittive della libertà personale: le esigenze cautelari devono essere non solo concrete ma anche attuali. Il semplice decorso del tempo dall’ultimo fatto contestato può indebolire il pericolo di reiterazione del reato, imponendo al giudice una valutazione più attenta sull’adeguatezza della custodia in carcere rispetto a misure meno afflittive. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un soggetto sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per reati legati al narcotraffico, inclusa l’accusa di far parte di un’associazione a delinquere. L’interessato, tramite il suo difensore, presentava istanza di riesame al Tribunale competente, il quale, pur riqualificando alcuni reati ed escludendo un’aggravante, confermava la misura detentiva.

Contro questa decisione, veniva proposto ricorso per Cassazione basato su due motivi principali:
1. L’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza per il reato associativo, sostenendo che si trattasse al più di episodi di spaccio in concorso, privi di una stabile organizzazione.
2. Il vizio di motivazione riguardo alle esigenze cautelari, lamentando che il Tribunale non avesse considerato l’attualità del pericolo, dato il notevole tempo trascorso (circa tre anni) dall’ultimo reato contestato, né la possibilità di applicare misure meno severe come gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha analizzato distintamente i due motivi di ricorso, giungendo a conclusioni opposte.

Sulla Sussistenza del Reato Associativo

Per quanto riguarda il primo motivo, la Corte lo ha ritenuto infondato. Secondo gli Ermellini, il Tribunale del Riesame aveva fornito una motivazione logica e coerente sull’esistenza di un sodalizio criminale a base familiare, dedito stabilmente all’approvvigionamento e allo spaccio di stupefacenti. La Corte ha ribadito che per la configurabilità di un’associazione criminale non è necessario un patto formale, potendo questo emergere dai fatti, dalla stabilità dei contatti tra i sodali, dalla disponibilità di basi logistiche e dalla consapevolezza di contribuire a un programma criminoso comune e duraturo. Pertanto, su questo punto, il ricorso è stato rigettato.

Sulle Esigenze Cautelari e l’Importanza del Tempo

Il secondo motivo di ricorso è stato invece accolto. La Cassazione ha censurato duramente la decisione del Tribunale del Riesame, rilevando una grave carenza motivazionale proprio sulla valutazione delle esigenze cautelari. I giudici di legittimità hanno sottolineato che, pur in presenza di precedenti penali, il giudice della cautela ha l’obbligo di verificare la concretezza e l’attualità del pericolo di reiterazione del reato.

In questo contesto, il notevole lasso di tempo trascorso dall’ultimo episodio delittuoso contestato (circa tre anni) costituiva un elemento ineludibile che il Tribunale avrebbe dovuto ponderare. Il passaggio del tempo, infatti, può affievolire le esigenze cautelari, rendendo sproporzionata la misura carceraria e giustificando l’applicazione di misure meno invasive.

Inoltre, la Corte ha criticato come illogica la motivazione con cui il Tribunale aveva escluso la misura degli arresti domiciliari. Tale esclusione era stata fondata non sulla specifica inadeguatezza della misura a prevenire il pericolo, ma su una generica valutazione di “incapacità del ricorrente di ravvedersi”. Questo, secondo la Cassazione, è un errore, poiché la valutazione deve concentrarsi sull’idoneità della misura e non su un giudizio morale sulla persona.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata limitatamente al profilo delle esigenze cautelari, rinviando il caso al Tribunale del Riesame per un nuovo esame. Questa decisione ribadisce che la libertà personale è un bene primario e ogni sua limitazione deve essere supportata da una motivazione rigorosa, concreta e, soprattutto, attuale. Il tempo che passa non è un dettaglio irrilevante, ma un fattore che incide profondamente sulla legittimità e sulla proporzionalità della più grave delle misure cautelari.

Il tempo trascorso dal reato può influire sulla custodia in carcere?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la valutazione del tempo trascorso dai fatti è un elemento ineludibile. Un lungo periodo di tempo può affievolire le esigenze cautelari e deve essere considerato per determinare se la misura carceraria sia ancora attuale e proporzionata o se siano più adeguate misure meno afflittive.

Per configurare un’associazione a delinquere è necessario un accordo formale?
No. La sentenza conferma che il patto associativo non deve necessariamente consistere in un accordo formale. Può essere anche non espresso e costituirsi di fatto tra soggetti consapevoli che le proprie attività e quelle altrui si supportano a vicenda per raggiungere uno scopo criminoso comune.

La pericolosità di una persona, desunta dai precedenti, è sufficiente a giustificare il carcere?
No. La Corte chiarisce che non è sufficiente. Il giudice deve dare conto in modo positivo della concretezza e dell’attualità delle esigenze cautelari. Inoltre, per escludere misure alternative come gli arresti domiciliari, deve motivare sulla loro specifica inadeguatezza a prevenire il pericolo, non basandosi su un generico giudizio sulla ‘incapacità di ravvedersi’ dell’indagato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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