Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 46837 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 46837 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Zurigo il 24/05/1966 rappresentato e difeso dall’avv NOME COGNOME di fiducia;
avverso l’ordinanza del 31/05/2024 del Tribunale di Venezia, sezione per riesame;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sen artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 ago 2023, n. 112 e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato co contraddittorio scritto;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte depositate dal sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni scritte depositate in data 18/10/2024 dall’avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Venezia, sezione per il riesame, ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., avverso il provvedimento emesso in data 22/04/2024 dal Tribunale di Treviso che aveva, a sua volta, respinto la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere – in corso di esecuzione ed applicata dal giudice per le indagini preliminari nei confronti dello stesso COGNOME in data 21/04/2022 per il delitto di estorsione in forma continuata – con quella dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria o, quantomeno, degli arresti domiciliari, anche eventualmente con braccialetl:o elettronico.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso in cassazione l’indagato tramite il difensore fiduciario articolando le doglianze che di seguito si illustrano.
2.1. Con il primo motivo si è dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., la carenza e comunque illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata con riferimento alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari.
Il Tribunale della cautela ha fondato il giudizio di attualità e concretezza del pericolo di reiterazione di reati sulla circostanza – già posta a base di precedenti analoghi rigetti- che parte delle condotte contestate erano state commesse mentre COGNOME si trovava in regime di arresti donniciliari per illeciti della stessa specie, mai giudizialmente accertati e comunque risalenti al maggio 2021.
Il Collegio non ha, invece, tenuto in considerazione il comportamento collaborativo serbato dall’indagato in sede di interrogatorio che, già di per sé, escluderebbe l’esigenza special preventiva.
Il rischio di inquinamento probatorio non si ravvisa essendo stato ormai definito il procedimento di primo grado relativo ai fatti per il quali COGNOME si trova sottoposto alla misura carceraria.
Neppure è sussistente il pericolo di fuga non avendo questi mai manifestato una propensione in tal senso ed avendo i propri riferimenti familiari nel territono Veneto.
2.2. Con il secondo motivo si è dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 275 codice di rito.
Il Tribunale del riesame ha violato il principio di proporzionalità mantenendo la misura carceraria ancorchè l’indagato abbia palesato una condotta collaborativa, non risultino a suo carico condanne definite per fatti analoghi a quelli per cui si procede e questi ultimi risalgano ormai a prima del maggio 2021.
Neppure è stato considerato, ai fini del giudizio di adeguatezza della misura in atto, che COGNOME si trova sottoposto alla massima cautela da oltre tre anni, sicchè, tenuto conto della liberazione anticipata concedibile in relazione alla condanna riportata in primo grado, residua una sanzione non superiore a tre anni che preclude, ai sensi dell’art. 275, comma 2 bis, cod. proc. pen., il mantenimento del regime di massimo rigore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Manifestamente infondato è il primo motivo di doglianza con il quale si deduce il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata con riferimento alla ritenuta attualità e concretezza dell’esigenza special preventiva di cui all’art 274 lett. c) cod. proc. pen.
Il Tribunale del riesame, con motivazione articolata e scevra da illogicità, a fondamento del ravvisato pericolo di reiterazione, ha posto gli elementi che erano già stati valorizzati in due precedenti provvedimenti emessi in sede di appello cautelare e che non risultavano avere perso rilievo sul piano cautelare.
In particolare, ha richiamato non solo la gravità del fatto oggetto di imputazione provvisoria (estorsione commessa in concorso con altri ed in danro di COGNOME NOME per avere, in più occasioni, costretto costui con violenza e minaccia a cedere la gestione di fatto della società RAGIONE_SOCIALE e di altre società partecipate, nonché a consegnare denaro ed altri beni, tra cui autovetture di lusso) ma anche la circostanza, ritenuta decisiva sotto il profilo della attualità e concretezza dell’esigenza special preventiva, che parte delle condotte estorsive oggetto di imputazione provvisoria erano state consumate mentre COGNOME si trovava già sottoposto alla misura cautelare degli arresti donniciliari per fatto analogo.
Ha poi ribadito l’irrilevanza delle dichiarazioni rese dall’indagato nel corso dell’interrogatorio al pubblico ministero che si erano esaurite in una semplic:e negazione degli addebiti, smentita dagli elementi obiettivi agli atti, quindi non significative di un comportamento collaborativo e del tutto neutre sul piano della elisione o dell’affievolimento delle esigenze cautelari.
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Rispetto a tale quadro, già delineato in precedenza e puntualmente ribadito nell’ordinanza impugnata, il Tribunale si è poi compiutamente confrontato con le doglianze difensive ed in particolare con il dato “nuovo” introdotto con l’atto di appello cautelare, rappresentato dalla sentenza di primo grado pronunciata in data 12/03/2024 che aveva condannato COGNOME per i fatti estorsivi oggetto dell’ordinanza cautelare genetica con irrogazione delle pena detentiva di anni sei mesi sei di reclusione.
In tal modo si è perfettamente adeguato al principio secondo cui il giudic:e della cautela, ove investito dell’appello ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., nell’ambito dei motivi prospettati e, quindi, del principio devolutivo, deve confrontarsi con il novum costituito dalle sopravvenienze processuali o dalle produzioni difensive in grado di incidere su tale scrutinio, da effettuarsi tanto al momento della scelta e della adozione del provvedimento coercitivo che per tutta la durata dello stesso, e quindi deve misurarsi con eventuali elementi diversi e successivi rispetto a quelli utilizzati nell’ordinanza impugnata ( Sez. U, n. 16085 del 31/03/2011, Khalil, Rv. 249324).
Con considerazione del tutto logica, nell’ordinanza impugnata si è osservato che la sopravvenuta pronuncia di condanna non era idonea a ritenere eliso o comunque affievolito il pericolo di reiterazione di reati della stesse.. specie, al contrario essa rivestiva ancor maggiore pregnanza sul piano cautelare in quanto confermava la fondatezza dell’ipotesi accusatoria che aveva condotto alla emissione della misura cautelare e la notevole gravità degli illeciti, tra l’altr perpetrati in costanza di altro provvedimento restrittivo emesso per fatti analoghi, non ancora giudizialmente accertati ma per i quali erano stati comunque ravvisati gravi indizi di colpevolezza.
Con tale puntuale costrutto argomentativo, il ricorrente non si confronta e si limita, da un lato, ad osservare che gli illeciti oggetto della prima misura cautelare non sono stati definitivamente accertati e, dall’altro, a spendere considerazioni inconferenti rispetto ad ipotetici rischi di inquinamento probatorio e di pericolo di fuga che, tuttavia, l’ordinanza cautelare genetica non ha ravvisato, fondando il provvedimento restrittivo esclusivamente sul pericolo di reiterazione previsto dall’art. 274, comma 1 lett. c), cod. proc. pen. Ancora, nel ricorso si pone l’accento su un comportamento collaborativo dell’indagato che, invece, il Tribunale del riesame ha motivatamente escluso.
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di doglianza con il quale si è dedotto violazione di legge con riferimento all’art. 275, comma 2, cod. proc. pen.
Anche sotto tale profilo, l’ordinanza impugnata è sorretta da precisa motivazione, del tutto aderente ai principi di adeguatezza e proporzionalità della misura cautelare per la cui valutazione occorre tenere conto della entità del fatto e della sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata.
Il Tribunale del riesame ha infatti evidenziato che la commissione delle condotte estorsive era avvenuta durante la sottoposizione a misura domiciliare applicata per fatti analoghi e che tale circostanza rendeva del tutto inadeguate cautele diverse da quella carceraria; ha poi ritenuto recessivo il tempo di sottoposizione al regime restrittivo per questa causa (pari a due anni e non tre, come invece sostenuto dal ricorrente) che non risultava sproporzionato tenuto conto della intervenuta condanna in primo grado alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione a fronte della quale la residua sanzione risultava essere ampiamente superiore al limite dei tre anni.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000 n. 186), al versamento della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende, che si ritiene equa considerando che l’impugnazione è stata esperita per ragioni manifestamente infondate.
Ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att., cod. proc. pen., la condizione detentiva del ricorrente impone al direttore dell’istituto penitenziario di provvedere agli adempimenti indicati al comma 1 bis della medesima disposizione normativa.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 24/10/2024