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Esigenze cautelari: la Cassazione sul no agli arresti

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata, condannata per narcotraffico, che chiedeva gli arresti domiciliari. La Corte ha confermato la valutazione sulle attuali esigenze cautelari, basata sulla consolidata partecipazione all’associazione criminale e sulla personalità dell’imputata, ritenendo irrilevante il tempo trascorso dai fatti.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esigenze Cautelari e Narcotraffico: Quando il Tempo Non Basta a Ottenere i Domiciliari

La valutazione delle esigenze cautelari rappresenta un punto cruciale nel bilanciamento tra la libertà personale dell’imputato e la tutela della collettività. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato principi fondamentali in materia, chiarendo come la gravità dei reati e la personalità del soggetto possano prevalere sul tempo trascorso dai fatti, giustificando il mantenimento della custodia in carcere. Il caso in esame riguarda un’imputata condannata in primo grado a oltre tredici anni per partecipazione a un’associazione finalizzata al narcotraffico.

I Fatti del Caso: Dalla Condanna alla Richiesta di Arresti Domiciliari

Una donna, condannata in primo grado a tredici anni e sei mesi di reclusione per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e altri reati connessi, si trovava in regime di custodia cautelare in carcere. La difesa aveva richiesto la sostituzione di tale misura con gli arresti domiciliari, facendo leva principalmente su due argomenti: il notevole lasso di tempo trascorso dai fatti contestati (risalenti al 2017-2018) e la natura del reato associativo, distinto dalla più grave fattispecie di associazione mafiosa.

La richiesta, tuttavia, era stata respinta sia dal Tribunale di Palmi sia, in sede di appello, dal Tribunale di Reggio Calabria. Quest’ultimo, in particolare, aveva ritenuto ancora attuali e concrete le esigenze cautelari, motivando la decisione sulla base della pericolosità sociale dell’imputata, desunta dalla sua consolidata partecipazione al sodalizio criminale. Contro questa ordinanza, la difesa ha proposto ricorso per cassazione.

I Motivi del Ricorso e le persistenti esigenze cautelari

Il ricorso presentato alla Suprema Corte si articolava su tre motivi principali:

1. Errata valutazione dell’attualità delle esigenze cautelari: La difesa contestava che il giudice non avesse adeguatamente considerato il tempo trascorso, elemento che avrebbe dovuto attenuare la presunzione di pericolosità.
2. Travisamento del ruolo dell’imputata: Si lamentava l’eccessivo rilievo dato al ruolo della ricorrente all’interno dell’associazione, aggravato da un presunto collegamento con ambienti di ‘ndrangheta, nonostante l’assoluzione dall’accusa di cui all’art. 416-bis c.p.
3. Illogicità della motivazione sul pericolo di fuga: Infine, si criticava la motivazione del Tribunale riguardo al pericolo di fuga, ritenuta manifestamente illogica e incompatibile con la concessione degli arresti domiciliari.

La Decisione della Cassazione: Inammissibilità del Ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la decisione del Tribunale di Reggio Calabria. Gli Ermellini hanno ritenuto che le censure della difesa non fossero idonee a scalfire la logicità e la coerenza del provvedimento impugnato, risolvendosi in un tentativo di ottenere una nuova e non consentita valutazione dei fatti in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha specificato che il Tribunale aveva correttamente applicato la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari legata al titolo di reato, ma non si era limitato a questo. Aveva infatti fornito contenuti concreti a tale presunzione, valorizzando elementi fattuali emersi nel processo di merito che delineavano una consolidata ‘intraneità’ della ricorrente nel contesto associativo e una rilevante personalità criminale. Questi aspetti sono stati giudicati prevalenti rispetto alla mera incensuratezza o al tempo trascorso dai fatti.

Inoltre, il riferimento al contesto ‘ndranghetistico, pur in assenza di una condanna per mafia, è stato ritenuto legittimo al solo fine di inquadrare meglio la gravità dell’azione criminale. Infine, la Corte ha bacchettato la difesa per aver sollevato censure, come quella relativa all’uso del braccialetto elettronico, solo nel titolo del motivo di ricorso senza poi svilupparle adeguatamente nel corpo dell’atto.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cardine in materia di misure cautelari: la valutazione della pericolosità sociale dell’imputato deve essere concreta e basata su tutti gli elementi a disposizione del giudice. Il semplice trascorrere del tempo non costituisce un automatismo per l’attenuazione delle esigenze cautelari, specialmente di fronte a reati di grave allarme sociale come il narcotraffico associativo. La decisione sottolinea come la personalità criminale, desunta da una partecipazione attiva e consapevole a un sodalizio criminoso, possa giustificare il mantenimento della misura più afflittiva, anche a distanza di anni dalla commissione dei reati.

Il tempo trascorso dai reati è sufficiente per attenuare le esigenze cautelari?
No, secondo la Corte di Cassazione, il tempo trascorso non è di per sé decisivo per escludere o attenuare le esigenze cautelari se altri elementi concreti, come la consolidata partecipazione a un’associazione criminale e la rilevante personalità dell’imputato, indicano una persistente pericolosità sociale.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le critiche mosse dalla difesa non si sono confrontate efficacemente con le argomentazioni del provvedimento impugnato e tendevano a una rilettura dei fatti, non consentita in sede di legittimità. Alcuni motivi, inoltre, erano solo enunciati e non adeguatamente argomentati.

L’assoluzione dal reato di associazione mafiosa impedisce al giudice di considerare il contesto criminale di riferimento?
No. La Corte ha ritenuto legittimo che il giudice di merito facesse riferimento al contesto criminale di matrice ‘ndranghetistica per meglio inquadrare la gravità della condotta e il ruolo dell’imputata nell’associazione dedita al narcotraffico, anche in presenza di un’assoluzione dalla specifica accusa di cui all’art. 416-bis del codice penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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