Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 33201 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 33201 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 24/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a TERRACINA il 24/04/1981
avverso l’ordinanza del 11/02/2025 del TRIB. LIBERTA’ di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha concluso per la inammissibilità del ricorso;
è presente l’avv. NOME COGNOME del foro di MESSINA in difesa di NOME COGNOME (alias COGNOME) il quale espone le motivazioni poste alla base del ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con provvedimento depositato in data 10 marzo 2025 il Tribunale di Roma ha accolto l’appello proposto dal Pubblico Ministero avverso l’ordinanza emessa dal Gip locale con la quale era stata rigettata la richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai seguenti reati:
capo 2), cessione di kg 90 di hashish a NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in Roma il 7 agosto 2020;
capo 3), cessione di kg 150 di hashish del tipo “dry” a NOME COGNOME che la acquistava insieme a COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME dal 26 al 28 agosto 2020;
capo 4), cessione di kg 150 di hashish del tipo “rubio” e kg 57 di marijuana a Demce, Corvesi, Buonomo, Bumbaca, COGNOME e COGNOME in epoca compresa tra il 26 e il 31 agosto 2020.
Il Giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto che i complessivi trentanove fatti di cui alla richiesta di misura cautelare (tra i quali, quelli ipoti a carico del Deiana) si arrestavano all’8 marzo 2021 e che del sodalizio di cui al capo 1) si avevano tracce solo fino alla emissione dell’ordinanza custodiale emessa nei confronti di capi e organizzatori, già giudicati con sentenza di condanna del 13 febbraio 2022, con conseguente disarticolazione dell’organigramma della consorteria. Da ciò aveva fatto discendere «il difetto di attualità delle esigenze cautelari».
Il Tribunale, di diverso avviso, dopo avere ricostruito il quadro indiziari posto a carico del Deiana rispetto alle imputazioni provvisorie sub 2), 3) e 4), ha ritenuto anche la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, lett. c cod. proc. pen.
Nell’ordinanza impugnata, il Tribunale spiega che il procedimento cui si riferisce la presente vicenda cautelare rappresenta uno sviluppo delle indagini compiute nel procedimento n. 26389/18 R.G.N.R. avente ad oggetto il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e numerosi reati fine (tra cu anche estorsioni e incendi), in relazione ai quali veniva eseguita ordinanza cautelare in data 10 gennaio 2022 nei confronti, tra gli altri, di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME COGNOME NOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME la cui posizione è stata definita con sentenza di condanna pronunciata dal Gup in data 13 dicembre 2022. Precisa poi che, tra i fatti contestati in quella sede, vi era l’acquisto di ingenti quantit di sostanza stupefacente del tipo marijuana e hashish effettuato nel mese di
agosto 2020 da un fornitore milanese che, all’epoca, non era stato individuato. Il Tribunale cita la pag. 34 della sentenza sopra indicata nella quale si legge: che, all’indomani dell’applicazione nei confronti di NOME della misura degli arresti domiciliari, furono sequestrati 90 chilogrammi di hashish; che questa sostanza doveva essere trasportata da Milano a Roma da NOME COGNOME e NOME COGNOME, arrestati in flagranza, seguiti a distanza da COGNOME e da COGNOME in costante contatto con NOME, per conto del quale il trasporto avveniva; che altri trasporti di consistenti quantitativi di stupefacente furono organizzati nel breve volgere di venti giorni. Secondo quanto ricostruito dal Tribunale, all’epoca era emerso solo che il canale di approvvigionamento si trovava a Milano e che vi erano rapporti pregressi tra alcuni dei sodali e i fornitori milanesi. Il prosieguo de indagini, grazie alla acquisizione, tramite OIE, della messaggistica criptata intercorsa sulla piattaforma RAGIONE_SOCIALE, aveva consentito di indentificare nell’odierno ricorrente il fornitore milanese che, come emerso nel proc. n. 26389/2018 R.G.N.R, utilizzava un criptofonino con il nicknanne “Bansky”.
Il Tribunale, passando in rassegna lo scambio di chat tra NOME, NOME e COGNOME, in cui si progettava l’avvio di una collaborazione con il sodalizio ricollegabile ai narcotrafficanti internazionali NOME COGNOME e NOME COGNOME mediante l’intermediazione di “RAGIONE_SOCIALE“, ha ritenuto di poter attribuire al ricorrente, utilizzatore del criptofonino sopra indicato, tutte e tre le fornit contestate, ivi compresa quella del 7 agosto 2020, avente ad oggetto 90 chilogrammi di hashish. Il Tribunale ha richiamato i messaggi intercorsi tra NOME e COGNOME dai quali si coglieva che NOME aveva “parlato con “Neptune” – da identificarsi in NOME COGNOME – il quale gli aveva dato l’assenso a interfacciar con “Bansky” (definito da NOME come il suo “braccio destro”) per concordare prezzo e modalità di consegna dello stupefacente. L’ordinanza esamina anche la conversazione tra NOME e COGNOME del 25 agosto 2020 durante la quale veniva organizzata la trasferta per ritirare direttamente da “Bansky” 150 chilogrammi di hashish: nell’occasione, COGNOME informava COGNOME della possibilità – di dovere effettuare un ulteriore viaggio, proprio quel fine settimana, nella città di Milano La notte tra il 26 e il 27 agosto 2020 COGNOME confermava a COGNOME che avrebbe acquistato anche dell’hashish al prezzo di 4.300 euro al chilogrammo sempre dal fornitore milanese. Dalla messaggistica, secondo quanto valutato dal Tribunale, sarebbe emersa la possibilità di rendere costante il rifornimento di droga anche grazie ad una grossa ditta di trasporti che avrebbe messo a disposizione otto camion per il viaggio. NOME si diceva pronto ad acquistare un quantitativo pari a kg. 1.000 di hashish del tipo “rubio”. Tra i messaggi criptati che il Tribunale ha valorizzato nel delineare il grave quadro indiziario a carico del ricorrente, è stato anche preso in esame quello in cui è raffigurato il denaro corrisposto al NOME
(491.000 euro, suddivisi in mazzette), che COGNOME sollecitava COGNOME a consegnare.
Il Tribunale ha poi evidenziato che l’attività di Deiana non si sarebbe arrestata al mese di agosto 2020, ma sarebbe proseguita, come si evince dal fatto che, a settembre 2020, egli riferì a NOME di poter importare ketannina dall’India, narcotico “speed” direttamente dalla Germania e cocaina dal Sud America. Sulla scorta degli elementi passati in rassegna, il Tribunale, delineato il grave quadro indiziario a carico del Deiana, ha ritenuto, altresì, sussistenti le esigenze cautelari riferite al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie.
Avverso il provvedimento suddetto è stato proposto ricorso nell’interesse del Deiana affidato ad un unico motivo con cui si deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta attualità delle esigenze cautelari.
La difesa riferisce che, in un interrogatorio reso il 21 febbraio 2024, NOME ha reso confessione sui fatti di cui ai capi 3) e 4) e sostiene che, per questo, l’ordinanza avrebbe dovuto riguardare solo il capo 2).
Secondo la difesa, il Tribunale non avrebbe rilevato alcune anomalie relative alle date. Dall’ordinanza di rigetto della misura cautelare adottata dal Gip in data 22 aprile 2024 si evince che la richiesta era stata depositata il 22 febbraio 2024. I pubblici ministeri, dunque, non avevano allegato alla richiesta il verbale dell’interrogatorio del 21 febbraio 2024 e, soprattutto, non avevano dato conto della confessione resa, che riguardava almeno due dei tre fatti contestati.
La difesa riferisce che l’interrogatorio del 21 febbraio 2024 è stato reso in un diverso procedimento (n. 42961/2021 R.G.N.R.). Osserva però che, se si esamina l’informativa conclusiva dei carabinieri di Roma del 1° settembre 2023, si comprende che il procedimento n. 42961/2021 è proprio quello nel quale è stata depositata l’informativa di PG in esito alla quale sono state iscritte le notizie reato oggetto del presente procedimento.
Il difensore riferisce che, nell’udienza dinanzi Tribunale del riesame, il PM ha sostenuto l’attuale esistenza delle esigenze cautelari rilevando, da un lato, che la confessione era stata parziale (non avendo riguardato il reato contestato al capo 2) dall’altro che la collaborazione avviata era stata interrotta. Nel criticare t affermazioni, il difensore osserva che NOME non ha mai interrotto la collaborazione, ha reso più interrogatori, ha risposto a tutte le domande senza mai opporre il diritto al silenzio, e la Procura di Milano ha ritenuto il contributo for insufficiente per ammetterlo ad un programma di protezione perché le dichiarazioni rese si riferivano a fatti già in larga parte accertati. Non per questo tuttavia – sostiene la difesa – le esigenze cautelari possono essere ritenute persistenti e attuali.
In tesi difensiva, il fatto che non vi sia stata confessione per il reato di cui capo 2) non ha alcun rilievo a fini cautelari. Il quadro indiziario relativo a quest capo, infatti, si fonda su una errata interpretazione del contenuto delle conversazioni e, quindi, sul travisamento di una prova. In particolare, sarebbe stato mal interpretato il riferimento ad una partita di 90 chilogrammi contenuto in una conversazione del 25 agosto 2020 che è stato collegato alla precedente spedizione del 7 agosto 2020 mentre nella conversazione si faceva riferimento a una partita da acquistare in futuro.
In sintesi, secondo la difesa, pur avendo potuto esaminare il verbale dell’interrogatorio reso da NOME, il Tribunale non avrebbe tenuto conto che, prima del deposito della richiesta di misura cautelare, l’odierno ricorrente, oltre ad ammettere i fatti di cui ai capi 3) e 4), aveva reso dichiarazioni auto ed etero accusatorie in relazione al sodalizio capeggiato da NOME COGNOME e NOME COGNOME riferendo, inoltre, su tutte le operazioni di narcotraffico a lui note. Né spiega il Tribunale quale interesse avrebbe avuto NOME a confessare le forniture oggetto dei capi 3) e 4) (250 chilogrammi di hashish e 57 di marijuana) e non quella di cui al capo 2), avente ad oggetto 90 chilogrammi di hashish, che, posta in continuazione con gli altri capi avrebbe potuto, al più, determinare un minimo aumento della pena ai sensi dell’art. 81 cod. pen.
Il Tribunale, inoltre, avrebbe omesso di considerare che, già nel primo interrogatorio reso dinanzi alla Procura di Milano, NOME aveva indicato i nomi in codice usati sui criptofonini.
All’odierna udienza, disposta la trattazione orale su richiesta della difesa, le parti hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. La motivazione del provvedimento impugnato è adeguata, non presenta i profili di contraddittorietà o manifesta illogicità dedotti ed è conforme ai principi diritto che regolano la materia. Le ampie argomentazioni sviluppate dal Tribunale appaiono coerenti con il materiale acquisito in merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per tutti i reati contestati. D’altro canto, l’interpretazione linguaggio e del contenuto delle intercettazioni è questione di fatto, non sollevabile nella presente sede se non quando tale interpretazione sia motivata illogicamente. A questo proposito va rammentato che, in sede di legittimità, è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da
quella proposta dal giudice di merito solo nel caso in cui questi ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile; solo in tal caso, infatti, può ritenersi un travisamento della prova (cfr. Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272558 – 01) e tale situazione Conon è ravvisabile nel caso oggetto del presente ricorso.
Sulla scorta degli elementi acquisiti, in specie delle chat, il Tribunale ha individuato nell’odierno ricorrente il fornitore milanese di COGNOME e dei suoi complici. A tal fine, ha posto l’accento sulla conversazione del 20 agosto 2020 tra COGNOME e COGNOME i quali avevano indicato in “RAGIONE_SOCIALE” il soggetto tramite il quale stavano avviando una collaborazione con i narcotrafficanti internazionali NOME COGNOME e NOME COGNOME. Nell’occasione, trattando di un nuovo approvvigionamento di stupefacente, NOME chiedeva a COGNOME se la droga fosse sempre fornita “da lui a Milano” e COGNOME rispondeva di sì aggiungendo che al fornitore, era da poco nata una figlia e che, pur vivendo in Olanda, abitava a Como. Nell’immediatezza venivano avviati accertamenti da cui emergeva che il 9 agosto 2020 era nata a Milano la figlia del NOME e che costui, in quel periodo, dimorava a Milano, ma viveva in Olanda. Da qui l’identificazione che, peraltro, il ricorrente non ha contestato avendo reso confessione per i reati di cui ai capi 3) e 4) .
Una rilettura della messaggistica criptata, rispetto a quella che ha consentito di identificare il NOME come il fornitore milanese (utilizzatore del nickname “Bansky”), non è consentita in questa sede, atteso che nella ricostruzione fornita dal Tribunale non si ravvisano illogicità manifeste.
Secondo il Tribunale, dalla messaggistica acquisita emerge che NOME era definito come un fornitore in grado di portare a termine “lavori enormi”; era quel “COGNOME” che, secondo NOME COGNOME, era “fratello nostro”; era l’uomo che indicò l’indirizzo (il centro commerciale “il Globo”) dove il 26 agosto 2020, sarebbe avvenuta la consegna di un carico di ben 150 chilogrammi di hashish del tipo “dry” e, come il Tribunale sottolinea, si tratta dello stesso luogo nel quale, il 7 agosto 2020 era avvenuta la consegna di 90 chili di hashish.
Il Tribunale ha ripercorso anche lo scambio di chat tra NOME e NOME del 27 agosto, che quest’ultimo inviava a COGNOME informandolo che nel fine settimana sarebbe stato effettuato un altro “carico” a Milano. Ha fatto riferimento, poi, ad altri messaggi scambiati tra NOME e COGNOME nei quali si riferiva che l’odierno ricorrente aveva prospettato la possibilità di avvalersi, ai fini della consegna, d una grossa ditta di trasporti che disponeva di otto camion.
L’ordinanza impugnata valorizza, ancora, uno scambio di chat dal quale emerge che la sostanza era stata pagata a Deiana. Corvesi, infatti, inviava la foto che raffigurava il denaro diviso in mazzette e NOME lo sollecitava ad effettuare il
transfert del denaro in favore del Deiana. Di lì a poco, COGNOME informava NOME di avere effettuato il versamento di 491.000 euro.
Così ricostruito il compendio indiziario, i giudici romani hanno ritenuto il pericolo di reiterazione di reati concreto e attuale, ancorché le condotte contestate a Deiana fossero risalenti al 2020. Hanno valorizzato in tal senso le «allarmanti modalità» delle condotte (rifornimenti di ingenti quantitativi di stupefacente nel breve arco di venti giorni da Milano a Roma), realizzate in modo organizzato e professionale, in concorso con soggetti dello spessore di NOME. In proposito è stato evidenziato che i traffici illeciti avvenivano utilizzando cellulari cript condivisi solo con una cerchia ristretta di persone,.e NOME aveva rapporti di affari consolidati con NOME, tanto da aver programmato in suo favore ulteriori cessioni di sostanze provenienti dal Marocco, dalla Spagna e dall’India.
A ben vedere, il ricorso non si confronta con queste argomentazioni e le contestazioni difensive circa il reale significato delle conversazioni, nei concreti termini in cui si sono svolte, si scontrano irrimediabilmente con il consolidato principio di diritto secondo il quale l’attribuzione di un determinato contenuto alle intercettazioni è insindacabile in sede di legittimità, ove sorretto, come nel caso di specie, da adeguata motivazione. È noto, infatti, che in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità» (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337).
Considerazioni analoghe devono essere svolte con riferimento ad altri argomenti spesi dalla difesa. Il Tribunale non ha affatto ignorato le dichiarazioni rese da NOME nell’interrogatorio del 21 febbraio 2024. Ha sottolineato, tuttavia, che, in questo interrogatorio, egli ha ammesso di avere effettuato, nel periodo in esame, forniture di sostanza stupefacente “a Roma”, ma per quantitativi decisamente più modesti, ossia 20-30 chilogrammi, negando non solo di essere coinvolto nell’approvvigionamento dei 90 chili di hashish sequestrati il 7 agosto 2020, ma anche di avere avuto rapporti con il Demce: circostanze che secondo i giudici capitolini sarebbero emerse pacificamente dalle chat.
Il Tribunale ha ritenuto, dunque, che la collaborazione prestata da NOME fosse «parziale» e inidonea ad escludere la sussistenza di esigenze di cautela sociale. Di questa motivazione, che costituisce una valutazione circa la portata delle dichiarazioni rese dal NOME, come tale insindacabile in questa sede, il ricorso
propone una rilettura critica, senza riuscire ad evidenziarne la manifesta illogicità. Si assume infatti (senza neppure documentare tali affermazioni) che NOME continuerebbe a rendere dichiarazioni dinnanzi alla Procura di Milano e si sostiene che la mancata ammissione al programma di protezione, rimarrebbe un fatto di natura amministrativa come tale neutro ai fini in esame.
A fronte di ciò, è doveroso ricordare che il controllo di legittimità nel giudizi cautelare personale, susseguente alla proposizione del ricorso per cassazione, non comprende il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e quello di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato che rientrano nella valutazione del gip prima e del tribunale del riesame poi: al giudice di legittimità si chiede di esaminare l’atto impugnato al fine di verificare che esso contenga l’esposizione delle ragioni che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti (tra le tante Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, COGNOME, Rv. 269438 – 01 ).
Nel caso in esame, gli argomenti difensivi non si confrontano con il percorso logico motivazionale posto a fondamento della decisione adottata. Nel provvedimento impugnato, invero, si pone l’accento innanzitutto sulla gravità dei fatti e sulle modalità con le quali le condotte illecite sarebbero state portate a compimento; circostanze che, secondo il Tribunale, il Gip non avrebbe adeguatamente valutato essendosi limitato a prendere atto del tempo trascorso.
Non è revocabile in dubbio che il tempo trascorso dal fatto debba essere valutato a fini cautelari nella prospettiva della attualità e concretezza del pericolo di reiterazione di reati. È altrettanto vero, però, che questo dato deve essere esaminato unitamente agli altri e che la valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative richiede un’analisi accurata della fattispecie concreta che tenga Conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio ambientale.
Il Tribunale ha fatto applicazione di questi principi quando ha sottolineato che l’intervenuta disarticolazione del sodalizio (secondo il Gip verificatasi con l’arresto degli associati) è smentita da alcune dalle risultanze investigative e ha evocato le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME il quale ha riferito che, mentre era detenuto a Rebibbia, aveva a disposizione un cellulare con cui continuava l’attività di narcotraffico e che, quando era in isolamento, aveva intrattenuto rapporti con il Tel, che non solo gli aveva parlato dell’associazione con il Demce, ma che gli aveva proposto di presentargli un fornitore “forte forte”.
Il Tribunale ha rilevato inoltre, con argomenti non manifestamente illogici, che la «supposta disarticolazione del sodalizio non farebbe venir meno il pericolo che il Deiana continui nei suoi traffici internazionali di stupefacenti attestati nel chat riportate», atteso che, quei traffici «non coinvolgevano solo il sodalizio di cui
al capo 1)». A tal fine ha posto l’accento sulla personalità del NOME, definita allarmante in relazione ai riconosciuti rapporti con narcotrafficanti internazionali e al precedente specifico. Ha sottolineato, inoltre, che NOME è gravato da un carico pendente per violazioni degli artt. 74 e 73 d.P.R. n. 309/1990 per le quali ha · ; GLYPH – GLYPH – GLYPH · GLYPH riportato una condanna a dodici anni di rettasione e ha ritbrdato cfib, per questi reati, NOME era stato raggiunto da una ordinanza cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Milano il 14 marzo 2022, che ha potuto essere eseguita solo il 13 gennaio 2024, quando l’odierno ricorrente ha posto fine alla latitanza, trascorsa (per quanto da lui stesso riferito) in Messico, Olanda, Spagna, Turchia e anche in Italia.
Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso, il 24 giugno 2025
La
NOME
NOME
CANCELLERIA