Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 17306 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 17306 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/02/2025
proprio difensore fiduciario, Avv. NOME COGNOME articolando sette motivi.
3.1. Con il primo ha eccepito violazione di legge processuale e vizio di motivazione in relazione all’utilizzabilità delle dichiarazioni di NOME COGNOME nonostante la violazione dell’art. 63 cod. proc. pen. e alla sussistenza del reato di cui al capo 13) della rubrica.
Qualora la pretesa creditoria di COGNOME e COGNOME avesse tratto origine da un rapporto illecito con COGNOME, questi avrebbe dovuto essere sentito con l’assistenza del difensore.
In caso contrario, ossia se il rapporto fosse stato lecito, al piø, COGNOME avrebbe dovuto rispondere del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Sul punto la ricostruzione del Tribunale sarebbe contraddittoria e perplessa, non avendo chiarito, in termini sufficientemente certi, l’origine del credito, siccome non univocamente emersa nel corso delle indagini.
Anche la ricostruzione della natura estorsiva dell’operazione in ragione dell’intervento di terzi non sarebbe stata compiuta in termini esenti da palesi illogicità e contraddizioni, stante la mancanza di adeguati elementi indiziari in ordine al mandato conferito da COGNOME per tale intervento.
Apodittica, inoltre, sarebbe l’affermazione secondo cui la persona offesa sarebbe stata costretta a pagare somme ulteriori rispetto a quelle dovute.
3.2. Con il secondo motivo la violazione di legge e i vizi di motivazione sono stati eccepiti in relazione all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. contestata al capo 13).
La motivazione sul metodo sarebbe affetta da manifesta illogicità e contraddittorietà, stante l’impossibilità di desumere la riferibilità dell’appartenenza dell’autore ad un sodalizio mafioso, nØ essendo, in alcun modo, desumibile la percezione effettiva della persona offesa di avere a che fare con un contesto criminale.
Anche il riferimento all’agevolazione mafiosa Ł stato ritenuto apodittico e generico a ragione della mancanza di qualsiasi legame tra la pretesa creditoria e le esigenze del sodalizio.
3.3. Con il terzo motivo sono state eccepite la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione relativa alla sussistenza del reato di cui al capo 14).
Alcuna prova sarebbe emersa in relazione alle condotte di minaccia e violenza in danno di COGNOME, ancor meno del coinvolgimento di COGNOME.
Sarebbe carente l’illustrazione della natura illecita della pretesa di Vestiti verso la persona offesa e del tutto apodittica la relativa affermazione articolata in termini dubitativi.
NØ tale natura avrebbe potuto desumersi dall’utilizzazione di linguaggio criptico che, in base a quanto emerso dalle intercettazioni, era del tutto assente nelle conversazioni tra COGNOME e COGNOME.
Non emerge la pronuncia di alcuna espressione effettivamente minacciosa e, quanto alla partecipazione di COGNOME, Ł stata valorizzata una sola espressione usata dall’indagato («buttato la salute a terra» riferito all’interlocuzione con COGNOME) e trascurata, per contro, altra parte della conversazione nel corso della quale l’indagato aveva mostrato un atteggiamento ben piø remissivo e comprensivo rispetto alle difficoltà economiche nelle quali versava lo stesso COGNOME.
3.4. Con il quarto motivo sono stati eccepiti i vizi di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica con riguardo alla circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. per il reato di cui al capo 14).
Non sarebbe ravvisabile alcun rapporto tra l’operazione asseritamente illecita e gli interessi dell’associazione; inoltre, l’aggravante del metodo mafioso sarebbe stata illustrata in termini apodittici e con mere clausole di stile.
3.5. Con il quinto motivo sono stati lamentati violazione di legge e plurimi difetti motivazionali aventi ad oggetto la sussistenza del delitto associativo di cui al capo 1).
Ripercorsi i tratti essenziali della ricostruzione operata dal Tribunale per addivenire alla conclusione della configurabilità dell’associazione mafiosa di cui al capo 1), il ricorrente ha segnalato, in primo luogo, la contraddittorietà della ricostruzione basata sull’assenza dei caratteri di novità in un sodalizio composto da soggetti provenienti da contesti delinquenziali del tutto eterogenei.
La ricostruzione non sarebbe persuasiva laddove Ł stato negato il carattere di novità dell’associazione, al fine di pretendere un ridotto livello di dimostrazione dell’esternazione della sua forza intimidatrice.
Le lacune motivazionali riguardano gli elementi costitutivi dell’associazione, l’individuazione degli episodi piø significativi, la loro ricostruzione parziale, gli elementi qualificanti la vita associativa ricostruita in termini assertivi e con l’utilizzazione solo parziale del complessivo compendio investigativo.
3.6. Il sesto motivo contiene l’illustrazione dei vizi di violazione di legge e difetti di motivazione in relazione alla partecipazione di Sorrentino all’associazione di cui al capo 1).
Gli elementi valorizzati dal Tribunale di Milano sarebbero isolati, privi di quella idoneità a convergere verso l’ipotesi dell’adesione dell’indagato al sodalizio.
Si tratta di dati che attestano rapporti di conoscenza con alcuni dei numerosi soggetti indiziati di appartenere all’associazione mafiosa; soggetti ai quali COGNOME era legato da antichi rapporti di natura commerciale (come, ad esempio, con COGNOME).
Sporadici e inconferenti i rapporti con NOME e NOME, privi di rilevanza quelli con NOME e COGNOME.
D’altronde, la marginalità della figura di COGNOME emergerebbe da una captazione nel corso della quale COGNOME spiega a Castiglia che Ł necessario «tenere fuori» l’indagato da un certo affare.
Si tratta di captazione che il Tribunale, illogicamente, avrebbe interpretato in senso contrario a quanto prospettato dalla difesa.
In termini illogici sarebbe stata valorizzata l’attività di sostentamento delle rispettive famiglie di COGNOME e COGNOME nel corso della loro carcerazione.
3.7. Con il settimo motivo la violazione di legge e i vizi di motivazione sono stati eccepiti con riferimento alle esigenze cautelari.
Il superamento della doppia presunzione, alla luce del dato, pacificamente emerso, dell’allontanamento di COGNOME dal gruppo Senese, sarebbe avvenuto con argomentazioni illogiche.
La tesi secondo cui il dato non sarebbe idoneo a eliminare il pericolo concreto di reiterazione (potendo rilevare, invece, al piø, ai fini della commisurazione della pena) contrasterebbe con le risultanze agli atti e sarebbe meramente apodittica (espressa, ancora una volta, con una clausola di stile) oltre che contrastante con le emergenze indiziarie.
Anche il riferimento al comportamento descritto da COGNOME come recentemente posto in essere con riguardo alla richiesta di pagamento del debito di cui al fatto descritto al capo 13) sarebbe stato frutto di una impropria valorizzazione, essendosi limitato l’indagato a chiedere il pagamento di un debito incontestatamente esistente.
Il difensore ha chiesto procedersi a discussione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł fondato relativamente al capo 14) e, limitatamente alle esigenze cautelari, anche con riguardo ai capi 1) e 13).
Il primo motivo riferito all’inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 63 cod. proc. pen., delle dichiarazioni della persona offesa del delitto di estorsione di cui al capo 13), NOME COGNOME e alla gravità indiziaria di tale fattispecie Ł inammissibile.
2.1. L’eccezione di natura processuale, già proposta davanti al Tribunale milanese, Ł stata respinta con argomentazioni persuasive.
I giudici di merito hanno segnalato come in nessuna delle occasioni in cui COGNOME Ł stato escusso in qualità di persona offesa sono emersi a suo carico indizi di reato tali da renderne
necessaria la sospensione a norma dell’art. 63 cod. proc. pen.
NØ a supportare la tesi della operatività della disposizione invocata possono essere addotti elementi di mero sospetto, come correttamente evidenziato, ancora una volta, dal Tribunale di Milano.
L’esistenza di una condizione di illiceità di contesto comune a indagati e persona offesa (integrato, semmai, dal comune coinvolgimento in pregresse attività di riciclaggio) non costituisce certamente elemento idoneo ad integrare le condizioni per l’applicabilità dell’art. 63 cod. proc. pen.
Anche il ricorso per cassazione, in realtà, non va oltre la mera allegazione dell’esistenza di «pregressi affari illeciti», non meglio circostanziati, avendo omesso il ricorrente di spiegare quale sia la natura del rapporto con l’indagato e da quale elemento concreto e specifico avrebbe dovuto desumersi l’esistenza di indizi per escutere la persona offesa con l’assistenza del difensore.
Deve dunque essere affermato che il Tribunale di Milano ha fatto corretta applicazione del principio per cui «la sanzione di inutilizzabilità “erga omnes” delle dichiarazioni assunte senza garanzie difensive da un soggetto che avrebbe dovuto fin dall’inizio essere sentito in qualità di imputato o persona soggetta alle indagini, postula che a carico dell’interessato siano già acquisiti, prima dell’escussione, indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti dall’autorità procedente, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti od intuizioni personali dell’interrogante» (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243417 – 01).
Nella motivazione di tale fondamentale arresto Ł stato richiamato l’orientamento secondo cui la condizione di soggetti che sin dall’inizio avrebbero dovuto essere sentiti in qualità di imputati o di persone sottoposte ad indagine «non può automaticamente farsi derivare dal solo fatto che i dichiaranti risultino essere stati in qualche modo coinvolti in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti penali a loro carico, occorrendo invece che tali vicende, per come percepite dall’autorità inquirente, presentino connotazioni tali da non poter formare oggetto di ulteriori indagini se non postulando necessariamente l’esistenza di responsabilità penali a carico di tutti i soggetti coinvolti o di taluni di essi» (Sez. 1, n. 8099 del 29/01/2002, COGNOME, Rv. 221327; Sez. 1, n. 4040 del 8/11/2007, dep. 2008, Sommer, Rv. 239195).
Inoltre, Ł stato ribadito il precedente delle stesse Sezioni Unite in base al quale gli elementi a carico del dichiarante devono assumere la consistenza dell’indizio, non potendo la sua posizione di persona informata essere mutata dall’esistenza di sospetti o ipotesi investigative; conclusione, questa, ritenuta «coerente con la presunzione di non colpevolezza, con l’onere probatorio dell’accusa e con la strumentalità rispetto all’accertamento della verità materiale, principi cui Ł improntato l’intero sistema processuale» (Sez. U, n. 21832 del 22/02/2007, COGNOME, Rv. 236370).
Si tratta di impostazione costantemente seguita dalla giurisprudenza di questa Corte successiva alla definizione del principio di diritto delle Sezioni Unite.
In particolare, si segnala Sez. 1, n. 48861 del 11/07/2018, COGNOME, Rv. 280666 con la quale Ł stato affermato che «l’inutilizzabilità assoluta, ai sensi dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., delle dichiarazioni rese da soggetti che fin dall’inizio avrebbero dovuto essere sentiti in qualità di imputati o di persone sottoposte ad indagini richiede che a carico degli stessi risulti l’originaria esistenza di precisi, anche se non gravi, indizi di reità e tale condizione non può automaticamente farsi derivare dal solo fatto che il dichiarante risulti essere stato coinvolto in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti penali a suo carico».
Di rilievo anche il principio in base al quale la verifica della sussistenza della qualità di indagato va condotta «non secondo un criterio formale, quale l’esistenza della “notitia criminis” e l’iscrizione nel registro degli indagati, ma secondo il criterio sostanziale della qualità oggettivamente attribuibile al soggetto in base alla situazione esistente nel momento in cui le dichiarazioni sono state rese» (Sez. 2, n. 8402 del 17/02/2016, COGNOME, Rv. 267729).
2.2. A supporto della ricostruzione della gravità indiziaria della fattispecie estorsiva di cui al capo 13) sono state richiamate le dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME che ha descritto l’origine del credito vantato da COGNOME e dal coindagato NOME COGNOME con particolare riferimento ad un prestito personale di 30.000 euro oggetto, inizialmente, di parziale restituzione.
Il Tribunale ha descritto le varie fasi in cui si sono susseguite le richieste di ripetizione delle somme residue da parte, anche, di COGNOME e, dunque, la pronuncia di espressioni intimidatorie, l’intervento di intermediari, fra i quali NOME COGNOMEgravemente indiziato di essere esponente della componente ndranghetista del sodalizio di cui al capo 1)) ed altri contattati dallo stesso COGNOME allo scopo di mediare con i creditori.
Costoro, in particolare NOME COGNOME in un contesto nel quale era presente anche COGNOME, sebbene in disparte per discutere con NOME COGNOME (intervenuto su richiesta della persona offesa e considerato da COGNOME, COGNOME e COGNOME, una sorta di garante), aveva malmenato e violentemente percosso il debitore con l’aiuto del citato COGNOME.
Si tratta di episodio avvenuto tra il 30 e il 31 dicembre 2019.
L’attività di persuasione allo scopo di ottenere il pagamento del credito era proseguita, tramite intermediari, anche in costanza di detenzione di COGNOME e, personalmente, da parte di quest’ultimo, in seguito alla sua scarcerazione.
In base a quanto dichiarato da COGNOME, per la parte residua del debito, prima dell’estate del 2023, COGNOME, una volta scarcerato, lo aveva contattato e preteso, in occasione di un incontro al quale aveva partecipato anche NOME COGNOME, la restituzione di 8.000 euro, a fronte di un debito di 5.000 euro.
La somma era stata pagata dalla persona offesa allo scopo di evitare ulteriori problemi.
Ai fini della ricostruzione della vicenda sono state richiamate anche le risultanze di attività intercettative.
La qualificazione in termini di estorsione Ł stata affermata tenuto conto delle modalità con le quali il prestito era stato erogato e restituito, con conseguente dubbio anche sulla natura lecita del rapporto e sulla ragionevolezza della convinzione di esercitare un diritto in capo a chi chiedeva la restituzione del denaro.
La qualificazione Ł stata ritenuta corretta anche laddove si ravvisi la natura illecita dell’operazione che ha dato origine al credito.
In tal senso anche il coinvolgimento di soggetti terzi diversi dai titolari del credito e il pagamento, da parte della persona offesa, di somme ulteriori rispetto a quelle dovute.
A fronte del corposo compendio indiziario illustrato nell’ordinanza impugnata, il ricorrente propone una mera rilettura di fatto delle evidenze segnalate, senza evidenziare decisive e manifeste carenze motivazionali.
Il Tribunale ha messo in evidenza le specifiche connotazioni oggettive e soggettive della condotta consistita nella pretesa restitutoria del credito da parte dell’indagato, in concorso con NOME COGNOME oltre che con l’ausilio di soggetti terzi intervenuti evocando anche l’esistenza di un gruppo organizzato che spalleggiava le pretese dei creditori.
Sul punto non Ł dato rinvenire alcuna intima contraddizione del percorso motivazionale, nØ appare decisivo il riferimento alla presunta liceità del rapporto creditorio, essendosi fatto carico il Tribunale di spiegare che la qualificazione come estorsiva della pretesa prescinde dalla sua origine.
E’ inammissibile, stante la sua genericità e la formulazione in termini meramente rivalutativi, anche il secondo motivo riferito all’aggravante di cui all’art. 416bis.1. cod. pen. in relazione al reato di cui al capo 13).
Il Tribunale ha illustrato la sussistenza dell’elemento circostanziale nella sua doppia
declinazione (metodo e agevolazione) richiamando le dichiarazioni della persona offesa delle quali ha offerto una interpretazione priva di evidenti criticità.
In particolare, ha evidenziato come COGNOME abbia visto evocare, da parte dei creditori, per tutta la durata della condotta estorsiva, la contiguità ad un’associazione mafiosa in funzione della creazione di una condizione di assoggettamento.
Le modalità collettive della gestione della pretesa e la violenza (anche fisica) che ha caratterizzato le richieste di pagamento confermano la correttezza della ritenuta sussistenza dell’aggravante.
Espressioni del tipo «Ti spacchiamo, ti spacco (…) non sai chi siamo noi, non sai contro chi ti sei messo» sono state adeguatamente valorizzate.
Va ribadito che «ricorre la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui all’art. 416-bis. 1 cod. pen., quando l’azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità ad una associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune» (Sez. 5, n. 14867 del 26/01/2021, Marciano’, Rv. 281027 – 01).
Altrettanto congrua la motivazione sotto il profilo dell’agevolazione, tenuto conto della ritenuta sussistenza della gravità indiziaria della partecipazione sia di COGNOME che di NOME COGNOME (oltre che di NOME COGNOME uno dei soggetti intervenuti per agevolare la riscossione del credito) all’associazione mafiosa di cui al capo 1).
Le censure, rispetto a tale percorso motivazionale, sono inammissibili in quanto tendono a rivalutare dati congruamente esposti e manifestamente esenti dalle censure di apoditticità.
4. E’ fondato il terzo motivo di ricorso riferito al capo 14) della rubrica.
La tesi accusatoria alla quale il Tribunale ha aderito ritenendo sussistente la relativa gravità indiziaria Ł che NOME COGNOME, debitore di circa 43.000 euro nei confronti di NOME COGNOME, poichØ non piø in grado di pagare il relativo importo, dopo essere stato sollecitato all’adempimento, sarebbe stato costretto ad affittare il ramo d’azienda della RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE.
A seguito del successivo arresto di COGNOME e COGNOME altri soggetti erano subentrati nel recupero del credito ponendo in essere condotte intimidatorie su indicazione del secondo.
In particolare, sarebbero stati coinvolti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La ricostruzione della vicenda operata nell’ordinanza poggia, per quanto riguarda la posizione di COGNOME, essenzialmente, sulla ritenuta natura illecita della pretesa vantata dai creditori, sulla veemenza delle richieste di pagamento rivolte al debitore e sulla insistenza delle anche successivamente alla carcerazione dei creditori, tramite l’intervento di terzi.
Invero, sul punto, meritano di essere accolti i rilievi sollevati dal ricorrente in quanto, risulta di tutta evidenza la carenza ricostruttiva in ordine alla origine del credito vantato da COGNOME e COGNOME nei confronti della persona offesa giacchØ la conclusione alla quale Ł pervenuto il Tribunale si fonda su dati oggettivamente neutri come il riferimento ad espressioni quali assegni in scadenza e scadenze mensili rispetto alle quali non Ł dato comprendere, secondo l’illustrazione operata nel provvedimento impugnato (pag. 46), il rilievo ai fini della individuazione dell’origine del credito.
NØ pare chiarito, nel contesto di conversazioni riferite ad un’operazione commerciale, per quale precisa ragione i termini riportati debbano essere ritenuti criptici.
Parimenti, deve ritenersi che quanto riferito da COGNOME a COGNOME circa l’avere buttato la salute a terra a Giarretti in occasione delle richieste di pagamento del credito, non costituisca, in base alla motivazione complessivamente adottata dal Tribunale milanese, elemento di centrale rilievo ai fini della ricostruzione della natura del credito e dell’attribuzione della natura estorsiva alle
richieste di pagamento.
Peraltro, la figura di COGNOME, nell’economia della complessiva ricostruzione del fatto, Ł inclusa, nella descrizione del Tribunale dell’appello cautelare, in due soli segmenti della complessiva vicenda e in entrambi i contesti la sua condotta pare, allo sato delle acquisizioni illustrate, compatibile con quella di un ordinario creditore che richiede il pagamento del proprio credito.
NØ appare illustrata adeguatamente la riferibilità delle richieste rivolte da RAGIONE_SOCIALE tramite intermediari anche a Sorrentino posto che la condizione di detenzione di entrambi esclude, in assenza di elementi di segno contrario, che possa affermarsi che anche in tale fase vi sia stata una effettiva concertazione tra i due.
Tanto piø che l’utilizzazione delle espressioni ritenute dimostrative della natura estorsiva dell’operazione, secondo la stessa ricostruzione dell’ordinanza, si accompagna a frasi (coeve) che denotano, invece, una atteggiamento maggiormente comprensivo da parte di COGNOME («purtroppo, ma adesso Ł inutile che andiamo a fare discussioni con una persona che a sua volta sta chiusa non ha attività»).
Da ciò consegue l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata con riguardo al capo 14).
Dalla fondatezza del motivo in esame, deriva l’assorbimento del quarto riferito all’aggravante di cui all’art. 416bis.1. cod. pen.
5. Il quinto motivo di ricorso Ł infondato.
In relazione alla fattispecie associativa mafiosa, ponendosi in termini di serrato confronto con l’ordinanza di rigetto del giudice investito dell’originaria richiesta cautelare, il Tribunale ha preventivamente illustrato gli elementi sui quali ha insistito il ragionamento del Giudice per le indagini preliminari, con particolare riguardo alla capacità intimidatoria del sodalizio, alla sua struttura, alla prova della partecipazione al gruppo e dell’affectio societatis e alla mancata valutazione dei elementi indiziari di segno contrario rispetto alla ipotesi avanzata con la richiesta originaria.
L’affermazione dell’esistenza di una sorta di consorzio tra alcune famiglie ascrivibili al novero delle mafie storiche operanti nel territorio milanese e limitrofo, ha trovato significativa convalida nell’affermazione del Tribunale secondo cui Ł configurabile un accordo stabile e duraturo tra indagati legati alle diverse componenti nel contesto di un sistema di comuni interessi tra gruppi operativi disomogenei che, tuttavia, sono risultati consociati mediante il comune apporto di capitali, la predisposizione di mezzi, la messa a disposizione di risorse umane, la costituzione di società.
Si tratta di elementi rispetto ai quali Ł dato ravvisare la comunanza di finalità, individuata nell’intenzione di trarre profitto attraverso attività, lecite ed illecite, che costituiscono la fonte delle entrate delle organizzazioni criminali mafiose.
Il capitale sociale portato da ciascun indagato nel contesto dell’associazione Ł costituito dal legame con i gruppi originari rispetto ai quali lo stesso viene mantenuto proprio per il suo valore mafioso.
Tale nuova organizzazione mutua, secondo la ricostruzione del Tribunale, la natura mafiosa dalle organizzazioni originarie di appartenenza dei diversi consociati.
E’ stato ricostruito tale indissolubile legame con le cosche storiche anche attraverso l’analisi degli interessi dei vari soggetti appartenenti ai gruppi operanti tuttora nei territori che le hanno originariamente espresse (come, ad esempio, i rapporti di cointeressenza con la cosca della quale NOME COGNOME era il massimo esponente).
I legami sono stati giudicati tali da non escludere l’autonomia del gruppo mafioso di nuova costituzione e, comunque, da non pregiudicare la nascita e l’operatività di un nuovo, autonomo,
sodalizio frutto di una cointeressenza inedita di affari tali da consentire un mutuo scambio di profitti tra i gruppi federatori in una sorta di patto criminale, per come risultante da alcune vicende di natura economica espressamente riportate nel provvedimento impugnato.
La presenza di imponenti interessi comuni di natura economica non ha escluso la configurabilità, anche, di una gestione comunitaria o consortile di asset piø tradizionali delle cosche mafiose quali il narcotraffico e la disponibilità delle armi.
In sostanza, Ł risultato dimostrato, a livello indiziario, un assetto organizzativo stabile, con una suddivisione di ruoli tra soggetti organizzati secondo rapporti funzionali ad una progettualità criminale, con la condivisione di attività illecite svolte anche attraverso un numero rilevante di società le cui compagini, ruoli e interessi sono state oggetto di ampia disamina.
Il Tribunale ha, altresì, affrontato la questione dell’affectio societatis ritenendo dimostrata la stabilità dei rapporti soggettivi.
In ordine alla capacità di intimidazione e quindi alla estrinsecazione del vincolo e del metodo mafioso, Ł stato messo in rilievo come l’associazione non fosse «nata dal nulla» e non avesse bisogno di imporsi «ex novo».
Ha comunque richiamato le modalità di consumazione di diverse fattispecie estorsive evidenziando come diversi fatti siano stati «connotati dalla formulazione esplicita di minacce o dall’impiego di violenza (…) altri si caratterizzano per la spendita (sola o congiunta ad essi) nei confronti della vittima di un legame criminale con mafie ben note alla comunità, anche già stanziate nelle aree geografiche di interesse che ha solo bisogno solo bisogno di essere richiamato per evocare le possibili conseguenze della mancata adesione alla pretesa».
Anche il costante impiego della violenza, di minacce, di vessazioni e soprusi Ł stato ritenuto indicativo della spendita della fama criminale acquisita in funzione della dimostrazione della percezione, sul territorio, della natura mafiosa del sodalizio.
Il Tribunale Ł giunto, così alla conclusione che si Ł formata una sufficiente provvista indiziaria sull’esistenza di un sodalizio strutturato e composito e peculiare per il fatto di associare soggetti di diversa estrazione mafiosa i quali hanno apportato all’associazione la mafiosità dei singoli, la mafiosità derivante dai collegamenti funzionali con le cosche storiche radicate nei territori d’origine e che hanno consentito (in ragione degli stretti legami maturati e coltivati al fine di assicurare l’operatività pacifica sul territorio lombardo monitorato), l’espressione di una carica intimidatoria propria dell’associazione in quanto tale e tipica delle associazioni di stampo mafioso, in un contesto territoriale quello lombardo, in cui ampio, diffuso e trasversalmente noto era il radicamento delle mafie tradizionali, consapevolezza, che in capo alla collettività si Ł tradotta in una effettiva e percepibile condizione di assoggettamento.
Contrariamente a quanto ritenuto in ricorso, dunque, il Tribunale ha compiutamente illustrato le ragioni per le quali l’associazione delineata al capo 1) deve ritenersi, pur essendo parzialmente emanazione delle diverse articolazioni delle mafiose storiche che hanno contribuito alla relativa costituzione, un sodalizio autonomo, dotato di proprie ragioni sociali e tale da esprimere una propria, autonoma, forza di intimidazione.
Peraltro, non pare, a livello indiziario e secondo i criteri di valutazione propri della fase cautelare, che i giudici di merito abbiano operato alcuna «inversione logica» avendo, piuttosto, delineato la sussistenza di precisi elementi indiziari della configurabilità del sodalizio per poi indicare i componenti dello stesso mediante la definizione dei rispettivi ruoli.
I rapporti tra i partecipi sono stati ricostruiti tenendo conto dei principi giurisprudenziali che governano la materia e le censure del ricorrente si appuntano su singoli elementi trascurando una lettura unitaria e complessiva del compendio indiziario.
Analoghe le ragioni che conducono alla infondatezza del sesto motivo avente ad oggetto la posizione soggettiva del ricorrente nel contesto dell’associazione mafiosa.
Anche in questo caso, le censure del ricorrente si pongono in termini ai limiti dell’ammissibilità proponendo una critica parcellizzata dei singoli indizi valorizzati nel provvedimento impugnato.
L’ordinanza si Ł soffermata, infatti, sui distinti procedimenti che hanno visto imputati l’indagato e NOME COGNOME relativi, rispettivamente, il primo, ai delitti di usura ed estorsione, il secondo, a quello di associazione di stampo mafioso, intestazioni fittizie ed altri reati fine, pendenti presso le Autorità giudiziarie di Napoli Nord e di Roma.
In particolare, la sentenza pronunciata da questa Corte nell’ambito del secondo procedimento Ł stata ritenuta significativa avendo pronunciato l’annullamento con rinvio relativamente all’esclusione dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa in relazione ad un sodalizio mafioso denominato Senese ed operante a Roma e nelle regioni settentrionali.
In particolare, i rapporti con NOME COGNOME sono stati ritenuti significativi per avere COGNOME stesso presentato il primo a NOME COGNOME uno dei capi del gruppo, in funzione della partecipazione ad operazioni di riciclaggio e, comunque, ad attività di interesse comune rispetto alle quali COGNOME ha mostrato condivisione e senso di appartenenza solidale alludendo all’esistenza di una ‘famiglia nostra’.
Una parte del compendio delle intercettazioni ha dimostrato la sussistenza della gravità indiziaria riferita agli interessi nella commercializzazione di presidi sanitari.
In chiave dimostrativa della partecipazione al sodalizio sono stati richiamati anche i rapporti tra COGNOME e altri indagati come NOME COGNOME e NOME COGNOME anch’essi fruitori dell’attività di NOME nell’ambito delle operazioni di acquisizioni di credito di imposta da portare in detrazione.
Anche i segnalati rapporti con NOME COGNOME sono stati ritenuti di rilievo in chiave associativa, siccome intervenuti, secondo la ricostruzione dell’ordinanza impugnata, in relazione alla scomparsa di NOME COGNOME nel contesto di vicenda di sicuro rilievo nella ricostruzione dell’intera associazione per la quale si procede.
Anche gli elementi emersi in relazione all’estorsione di cui al capo 13) sono stati ritenuti funzionali alla dimostrazione della gravità indiziaria circa il delitto associativo, così come il coinvolgimento in un atto di intimidazione ai danni della ditta Ricar posto in essere per favorire il coindagato NOME COGNOME.
7. E’ fondato il settimo motivo relativo alle esigenze cautelari in relazione ai capi 1) e 13).
Sebbene si verta in tema di fattispecie per le quali opera la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (nelle diverse declinazioni previste per il capo 1) – relativa con riguardo alle esigenze cautelari e assoluta quanto all’adeguatezza – e per il capo 13) – relativa per entrambi i profili), il Tribunale ha omesso di confrontarsi adeguatamente con un dato emergente dal testo del provvedimento e risultante dal compendio indiziario.
Si tratta della circostanza che il ricorrente risulta essere stato allontanato dal gruppo Senese a seguito a seguito di contrasti insorti con NOME COGNOME in merito ad un investimento in un locale di Riccione.
Sebbene il dato sia emerso sin dall’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari, il Tribunale ha motivato, sul punto, omettendo di prenderlo in considerazione ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari e ritenendo la circostanza tale da non escludere la gravità indiziaria potendo, semmai, essere valorizzato in punto di commisurazione della pena.
L’affermazione sconta significativi deficit motivazionali laddove trascura di prendere in esame il dato ai fini della permanenza delle esigenze cautelari e ciò alla luce del consolidato orientamento in base al quale «in tema di custodia cautelare in carcere, l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. pone
una presunzione relativa di pericolosità sociale che determina, in chiave di motivazione del provvedimento cautelare, la necessità, non già di dar conto della ricorrenza dei “pericula libertatis”, ma solo di apprezzarne le ragioni di esclusione, ove queste siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti, tra le quali, in particolare, rilevano il fattore “tempo trascorso dai fatti”, che deve essere parametrato alla gravità della condotta, e la rescissione dei legami con il sodalizio di appartenenza, che ha valore determinante nella esclusione della sussistenza delle esigenze cautelari» (Sez. 5, n. 36891 del 23/10/2020, Quaceci, Rv. 280471 – 01).
Ebbene, nel caso di specie, risultano illustrati nello stesso provvedimento impugnato elementi in grado di mettere in crisi l’affermazione della configurabilità delle esigenze cautelari, nonostante la sussistenza della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
NØ, ai fini indicati, appare sufficiente, il solo richiamo alla richiesta di pagamento rivolta dal ricorrente (una volta scarcerato) a NOME COGNOME in merito al pagamento delle somme pretese con riguardo alla fattispecie di cui al capo 13).
Da quanto esposto, discendono l’annullamento dell’ordinanza impugnata, relativamente al capo 14) e limitatamente al profilo segnalato in merito ai capi 1) ne 13) con rinvio al Tribunale di Milano, Sezione per il riesame per nuovo giudizio.
Va, infine, disposta la trasmissione, a cura della Cancelleria, di copia del presente provvedimento al a norma dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata relativamente al reato di cui al capo 14) e, in riferimento ai reati di cui ai capi 1) e 13) limitatamente alle esigenze cautelari, e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Milano competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 18/02/2025.
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
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