Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 11743 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 11743 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Foggia il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del Tribunale di Bari del 10/08/2023;
letti gli atti, il ricorso e l’ordinanza impugnata;
udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Bari, con ordinanza del 10 agosto 2023 (motivazione depositata il successivo 29 settembre), ha rigettato l’istanza di riesame proposta da COGNOME NOME avverso l’ordinanza del Gip che ha applicato al predetto la misura cautelare della custodia in carcere.
1.1. Gli addebiti provvisori hanno ad oggetto: a) la violazione dell’art. 74 TU Stup., aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen., per aver l’indagato partecipato – da novembre 2016 al 19 dicembre 2019 – ad RAGIONE_SOCIALE finalizzata al traffico di stupefacente, aggravata dal “metodo mafioso” e dalla finalità di agevolare il sodalizio mafioso denominato “RAGIONE_SOCIALE“, con lo specifico ruolo di “componente della catena di spaccio ai clienti finali dei quantitativi di cocaina mensilmente assegnati” (capo 1); b) i reati di cui agli artt. 81, comma 2, cod. pen. e 73 TU cit., per aver ricevuto da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, dal mese di dicembre 2016 al 3 luglio 2018, dietro corrispettivo di 55 euro al grammo, 500 grammi al mese di sostanza stupefacente del tipo cocaina, per la vendita in dosi a diverse persone non identificate (capo 65).
Avverso l’ordinanza del riesame l’indagato ha presentato, per mezzo del proprio difensore, ricorso nel quale deduce quattro motivi, declinati come violazione di legge e vizio di motivazione.
2.1. Con primi tre motivi – tra loro correlati – si contesta la ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per la fattispecie associativa, eccependosi in particolare la mancanza dei presupposti rappresentati dalla stabile adesione al sodalizio, tanto da un punto di vista oggettivo, quanto sotto il profilo dell’affectio societatis, nonché la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. per la valutazione della “chiamata di correo”, nonché per la circostanza aggravante della “mafiosità” (affermata, si sostiene, in modo apodittico dai giudici cautelari).
2.2. Il quarto motivo è riferito alle esigenze cautelari e alla adeguatezza della misura carceraria, rilevandosi l’insussistenza delle predette esigenze in considerazione del tempo trascorso dai fatti contestati, esigenze che potrebbero comunque essere soddisfatte con misura meno afflittiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato.
Inammissibili, in quanto manifestamente infondati, sono i primi tre motivi.
2.1. L’ordinanza del Tribunale riesame motiva in modo adeguato la gravità indiziaria a carico del COGNOME in ordine alle fattispecie provvisoriamente addebitate (peraltro, la difesa non contesta la sussistenza dell’RAGIONE_SOCIALE, ma la partecipazione alla medesima dell’indagato).
Gravità indiziaria fondata, oltre che sulle dichiarazioni, niente affatto tra loro contrastanti (come dedotto dal ricorrente), di tre collaboratori di giustizia (tali COGNOME e COGNOME che hanno descritto il “sistema” in base al quale tutti i soggetti inseriti nella “catena di spaccio”, tra cui l’indagato, si approvvigionavano secondo indicazioni e prezzi stabiliti dai vertici del sodalizio, nonché COGNOME, le cui propalazioni “provano che i fratelli COGNOME erano grandi spacciatori da cui si rifornivano anche criminali provenienti da altri territori”), sulle intercettazioni dalla quale emerge che l’indagato agiva “in simbiosi” con il fratello NOME, di tal che per il fornitore NOME era irrilevante con quale dei due interloquisse per questioni legate al traffico di droga, la cui quota affidata ai COGNOME era “gestita come unica entità familiare” – e su un appunto (“la lista”), sequestrato al COGNOME, riportante nomi, tra cui il ricorrente, e dati temporali e quantitativi, non illogicamente ritenuti riferibili agli stupefacenti.
2.2. Il Tribunale del riesame chiarisce ancora che la intraneità dell’indagato al sodalizio non è infirmata dalla circostanza che egli dovesse pagare “il punto” (ossia una sorta di “tassa” relativa alla droga spacciata), atteso che, comunque, i fratelli COGNOME avevano un rapporto privilegiato con l’esponente di spicco dell’RAGIONE_SOCIALE “che aveva imposto agli apicali del sodalizio di lasciare in pace i fratelli COGNOME che, evidentemente, proprio pagando il punto potevano continuare ad agire indisturbati e godere della protezione del “sistema” così da neutralizzare la concorrenza”. Da tali elementi l’ordinanza impugnata, in modo non illogico, conclude nel senso che COGNOME NOME, spacciasse, agendo unitamente al fratello, in modo sistematico per conto dell’organizzazione criminale.
Il Tribunale del riesame esamina anche la deduzione difensiva (che aveva evidenziato che in realtà l’indagato era in sostanza “costretto” a spacciare, e dunque non poteva ritenersi intraneo all’RAGIONE_SOCIALE) evidenziando che, al contrario, egli era pienamente partecipe delle dinamiche associative (pag. 55 s.)
che COGNOME prevedevano, COGNOME per COGNOME tutti COGNOME gli COGNOME associati, COGNOME regole COGNOME vincolanti COGNOME circa l’approvvigionamento e la successiva vendita al dettaglio della cocaina.
2.3. D’altro canto, è corretta la conclusione del Tribunale barese secondo cui, a livello indiziario, emergono a carico dell’indagato gli elementi costitutivi della fattispecie associativa. Invero, «in tema di RAGIONE_SOCIALE a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al sodalizio, ed in particolare dell’ “affectio” di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato» (Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021, COGNOME, Rv. 282122 – 01).
In relazione allo specifico ruolo del COGNOME l’ordinanza del riesame è coerente con i principi affermati da questa Corte, in base ai quali «integra la condotta di partecipazione ad un’RAGIONE_SOCIALE finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilità all’acquisto delle sostanze stupefacenti di cui il sodalizio illecito fa traffico, ove sussista la consapevolezza che la stabilità del rapporto instaurato garantisce l’operatività dell’RAGIONE_SOCIALE, rivelando in tal modo la presenza del cd. affectio societatis tra l’acquirente ed i fornitori. (Nella specie, la RAGIONE_SOCIALE. ha ritenuto che la partecipazione all’RAGIONE_SOCIALE non sia esclusa dal fatto che l’indagato, pur di continuare a spacciare, fosse stato costretto a rifornirsi costantemente di droga dal sodalizio criminale)» (Sez. 1, n. 30233 del 15/01/2016, Giaquinto e altro, Rv. 267991 – 01).
Ancora, «in tema di RAGIONE_SOCIALE per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, il vincolo associativo può essere ravvisato anche tra soggetti che si pongono in posizioni contrattuali contrapposte nella catena del traffico di stupefacenti (come i fornitori all’ingrosso e i compratori dediti alla distribuzione), ed anche tra soggetti che agiscono in gruppi separati, eventualmente in concorrenza tra loro, a condizione che i fatti costituiscano espressione di un progetto indeterminato volto al fine comune del conseguimento del lucro da essi derivante, e che gli interessati siano consapevoli del ruolo svolto nell’economia del fenomeno associativo» (Sez. 6, n. 20069 del 11/02/2008, Oidih, Rv. 239643 – 01).
2.4. Per quanto poi concerne la contestazione del capo 65) – ossia le specifiche condotte di spaccio – l’ordinanza impugnata valorizza anzitutto le intercettazioni delle conversazioni, chiaramente indicative dell’attività svolta dall’indagato COGNOME. Inoltre, a conferma di detto compendio indiziario, sono stati indicati anche ulteriori elementi (quali l’inserimento nella “lista” e, appunto, le dichiarazioni dei collaboratori).
In tal modo è stato fatto buon governo del principio secondo il quale «in tema di stupefacenti, la sussistenza del reato di cessione di sostanze stupefacenti può essere desunta anche dal contenuto delle conversazioni intercettate qualora il loro tenore sia sintomatico dell’organizzazione di una attività illecita e, nel caso in cui ai dialoghi captati non abbia fatto seguito alcun sequestro, l’identificazione degli acquirenti finali, l’accertamento di trasferimenti in denaro o altra indagine di riscontro e controllo, il giudice di merito, al fine d affermare la responsabilità degli imputati, è gravato da un onere di rigorosa motivazione, in particolare con riferimento alle modalità con le quali è risalito alle diverse qualità e tipologie della droga movimentata» (Sez. 4 , n. 20129 del 25/06/2020, COGNOME Simone, Rv. 279251 – 01).
In riferimento alla doglianza relativa alla circostanza aggravante della “mafiosità”, che risulta contestata in riferimento al solo capo 1), l’ordinanza impugnata ne argomenta in modo adeguato la gravità indiziaria, alla luce del principio affermato da Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019 – dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734 – 01, secondo cui «la circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe».
Peraltro, nella specie difetta anche l’interesse a ricorrere sotto tale specifico profilo, atteso che questa Sezione (sent. n. 5213 del 11/12/2018 – dep. 2019, Fucito, Rv. 275028 – 01) ha avuto modo di precisare che «sussiste l’interesse dell’indagato a ricorrere per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame che abbia ritenuto sussistente una circostanza aggravante a effetto speciale, sempre che da questa conseguano immediati riflessi sull'”an” o sul “quomodo” della misura. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto inammissibile per carenza d’interesse il ricorso con cui era stata contestata la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa senza che fossero impugnate le valutazioni in punto di pericolo di reiterazione non fondate su tale presunzione)»; aspetto questo assolutamente non indicato nel motivo di ricorso.
Fondato è, invece, il quarto motivo relativo alle esigenze cautelari.
4.1. Preliminarmente, va rilevato che risulta che in data 10 gennaio 2024 e dunque dopo la presentazione del ricorso per cassazione – l’originaria custodia carceraria è stata sostituita con la misura degli arresti domiciliari. Nondimeno, permane l’interesse all’esame del motivo relativo alle esigenze cautelari dal momento che questa Corte (Sez. 6, n. 18302 del 09/03/2004, Ferro, Rv. 229677 – 01) ha precisato che «la sostituzione della misura della custodia cautelare in
carcere con quella degli arresti domiciliari, in pendenza di riesame contro la più grave misura, non fa venire meno l’interesse all’impugnazione pendente quando la sussistenza delle esigenze cautelari sia contestata in radice»; situazione, questa, rinvenibile nel ricorso presentato dal COGNOME che, al quarto motivo, contesta in primo luogo la attuale esistenza di concrete esigenze cautelari chiedendo, in via logicamente subordinata, l’applicazione di misura meno afflittiva.
4.2. L’ordinanza impugnata richiama una serie di elementi che si assumono dimostrativi – al di là della doppia presunzione relativa ex art. 275 comma, comma 3, cod. proc. pen. – della perdurante sussistenza delle stesse e della inidoneità di misure meno afflittive (pag. 62 s.). In particolare, si fa riferimento, oltre alla contestazione “all’attualità” della fattispecie associativa, all sistematicità delle condotte e al coinvolgimento con articolata e pervasiva RAGIONE_SOCIALE criminale, alla “professionalità criminale” dell’indagato che era “noto come capace di spacciare grossi quantitativi di droga (insieme agli altri due fratelli entrava, infatti, nella lista dei grandi spacciatori)” e alle circostanze che predetto è stato già condannato più volte, anche per il reato di cessione illecita di sostanze stupefacenti, ed è stato anche sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciali; elementi di specifica valenza che non possono essere superati “dalla documentata attività lavorativa in quanto non prova l’elisione dei rapporti con i descritti circuiti criminali”.
4.3. Il ricorrente deduce che il suo coinvolgimento nell’RAGIONE_SOCIALE è stato di breve durata e che i reati fine gli sono contestati limitatamente a periodo compreso tra dicembre del 2016 e luglio del 2018, ossia cinque anni prima dell’emissione della misura cautelare, in assenza di elementi che dimostrino la concreta attualità della partecipazione al contesto associativo.
La doglianza è fondata. L’ordinanza impugnata, pur dando conto che l’RAGIONE_SOCIALE è tuttora in essere e riportando i precedenti a carico dell’indagato, ha mancato di indicare concreti elementi dai quali logicamente inferire che COGNOME NOME, dopo cinque anni dalle ultime condotte poste in essere in esecuzione del pactum sceleds, sia tuttora intraneo alle dinamiche associative, presupposto, sulla base del ragionamento del Tribunale del riesame, per ritenere sussistente il rischio di reiterazione delle condotte criminose. Indicazione ancora più necessaria dal momento che all’indagato non si contesta un ruolo di vertice o di carattere organizzativo, ma quello di “componente della catena di spaccio ai clienti finali dei quantitativi di cocaina mensilmente assegnati” (capo 1).
4.3. Questa Sezione ha affermato il principio – che va in questa sede ribadito – secondo cui «in tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la sussistenza delle esigenze cautelari, rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo, deve essere
desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualità, in quanto tale fattispecie associativa è qualificata unicamente dai reati fine e non postula necessariamente l’esistenza dei requisiti strutturali e delle peculiari connotazioni del vincolo associativo previste per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., di talché risulta ad essa inapplicabile la regola di esperienza, elaborata per quest’ultimo, della tendenziale stabilità del sodalizio in difetto di elementi contrari attestanti il recesso individuale o lo scioglimento del gruppo» (Sez. 6, n. 3096 del 28/12/2017 – dep. 2018, Busillo, Rv. 272153 – 01).
In riferimento, poi, all’intervenuta sostituzione della misura, deve tenersi conto che «in tema di misure cautelari applicate per uno dei reati di cui al comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen., il giudice procedente chiamato a valutare un’istanza di revoca o sostituzione della misura degli arresti donniciliari, che deduca l’insussistenza di concrete ed attuali esigenze cautelari, non può prescindere dall’apprezzamento del “fattore tempo” trascorso dai fatti e dalla sottoposizione al regime domiciliare, in totale assenza di fattori sopravvenuti indicativi della pericolosità del soggetto» (Sez. 2, n. 23801 del 27/04/2021, COGNOME, Rv. 281674 – 01 che, in motivazione, ha precisato che, nel caso in cui la misura applicata sia quella degli arresti domiciliari, la valutazione prognostica non può prescindere dalla considerazione della natura autocustodiale del regime in atto e dell’avvenuto superamento della presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia in carcere).
Per le suesposte ragioni si impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata – limitatamente al solo profilo delle esigenze cautelari – con rinvio al Tribunale del riesame di Bari che, alla luce dei principi sopra indicati, valuterà la attuale permanenza delle stesse e la adeguatezza della misura in corso.
P. Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Bari, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 13 febbraio 2024