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Esigenze cautelari: il tempo trascorso conta?

La Corte di Cassazione ha analizzato il caso di un indagato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti con aggravante mafiosa. Pur ritenendo inammissibile il ricorso sulla gravità indiziaria, la Corte ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere limitatamente al profilo delle esigenze cautelari. La decisione sottolinea che un considerevole lasso di tempo tra i fatti contestati e l’applicazione della misura obbliga il giudice a una motivazione rafforzata sull’attualità del pericolo, non potendo basarsi su una motivazione apparente o sulla sola presunzione di pericolosità.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esigenze cautelari e tempo: quando la motivazione deve essere rafforzata

La valutazione delle esigenze cautelari rappresenta uno dei punti più delicati del procedimento penale, bilanciando la libertà dell’individuo con la necessità di salvaguardare il processo e la collettività. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 9167/2024) torna su un tema cruciale: l’impatto del tempo trascorso tra i fatti e l’applicazione di una misura restrittiva. La Corte ha stabilito che, anche in presenza di reati gravi come l’associazione mafiosa, il giudice non può esimersi dal fornire una motivazione concreta e attuale sulla persistenza del pericolo, specialmente quando sono passati anni dagli eventi.

I Fatti del Caso

Il caso riguardava un individuo sottoposto a custodia cautelare in carcere con l’accusa di partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, aggravata dal metodo e dall’agevolazione mafiosa. Secondo l’accusa, l’indagato era un componente attivo della rete di spaccio di una nota organizzazione criminale, con il compito di commercializzare al dettaglio ingenti quantitativi di cocaina. Le prove a suo carico includevano intercettazioni, dichiarazioni di collaboratori di giustizia e il suo inserimento in una lista di spacciatori gestita dai vertici del gruppo.

La Decisione del Tribunale del Riesame

Il Tribunale del Riesame, investito della questione, aveva confermato la misura cautelare. I giudici avevano ritenuto solido il quadro indiziario e pienamente sussistenti le esigenze cautelari, sottolineando la sistematicità dell’attività criminale, l’attualità operativa del gruppo e il vincolo associativo mai rescisso. Secondo il Tribunale, il tempo trascorso dalla commissione dei reati (risalenti al 2018) non era sufficiente a far venir meno la presunzione di pericolosità.

L’impatto del tempo sulle esigenze cautelari secondo la Cassazione

Il difensore dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando due aspetti principali: la sussistenza della gravità indiziaria e, soprattutto, la valutazione sull’attualità delle esigenze cautelari. La difesa ha evidenziato che la condotta contestata si era protratta per pochi mesi nel 2018 e si era interrotta con l’arresto dei vertici del gruppo criminale avvenuto nello stesso anno, un evento che avrebbe dovuto essere considerato come un fattore di destrutturazione della consorteria.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibili le censure relative alla gravità indiziaria, poiché implicavano una rivalutazione del merito preclusa in sede di legittimità. Al contrario, ha accolto il motivo relativo alle esigenze cautelari. I giudici supremi hanno affermato un principio fondamentale: sebbene per i reati di cui all’art. 275, comma 3, c.p.p. esista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze, quando intercorre un considerevole lasso di tempo tra i fatti e la misura, il giudice ha l’obbligo di motivare puntualmente sulla loro attuale rilevanza.

Nel caso specifico, la motivazione del Tribunale del Riesame è stata giudicata ‘apparente’. Quest’ultimo, infatti, aveva omesso di considerare in modo adeguato l’effetto dell’arresto dei capi e dei promotori dell’associazione, avvenuto nel novembre 2018. Tale evento, secondo la Corte, avrebbe potuto determinare una ‘destrutturazione della consorteria’, indebolendo o annullando la pericolosità attuale dell’indagato. Il Tribunale non ha fornito elementi concreti per dimostrare che, nonostante quegli arresti e il tempo passato, l’organizzazione fosse ancora operativa e che il ricorrente vi fosse ancora legato.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce che la pericolosità sociale non può essere un concetto astratto e atemporale. Il giudice della cautela deve sempre ancorare il proprio giudizio a elementi concreti e attuali. Un significativo intervallo temporale, unito a eventi che possono aver modificato la struttura criminale, impone una motivazione rafforzata, che vada oltre la semplice presunzione legale. La decisione è stata quindi annullata con rinvio al Tribunale di Bari per un nuovo esame che tenga conto di questi principi, valutando specificamente se, alla luce di tutti gli eventi intercorsi, le esigenze cautelari possano ancora oggi ritenersi sussistenti.

Il tempo trascorso tra i reati e l’applicazione di una misura cautelare ha importanza?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra la commissione dei fatti contestati e l’emissione della misura, il giudice ha l’obbligo di motivare in modo puntuale e specifico sulla sussistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari.

Per i reati di associazione mafiosa, la pericolosità dell’indagato si presume sempre attuale?
Esiste una presunzione relativa di attualità delle esigenze cautelari, ma questa può essere superata. Il giudice non può basarsi solo su tale presunzione se è passato molto tempo e se sono intervenuti eventi, come l’arresto dei vertici dell’organizzazione, che potrebbero averne minato l’operatività. In questi casi, è necessaria una motivazione concreta sul perché il pericolo persista.

Cosa significa che la motivazione del giudice è ‘apparente’?
Una motivazione è ‘apparente’ quando, pur essendo formalmente presente, è talmente generica, contraddittoria o superficiale da non permettere di comprendere l’iter logico-giuridico seguito dal giudice per arrivare alla sua decisione. Nel caso specifico, il Tribunale non ha spiegato adeguatamente perché gli arresti dei vertici del clan non avessero inciso sulla pericolosità attuale dell’indagato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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