Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11191 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11191 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TORCHIAROLO il 13/07/1967
avverso l’ordinanza del 21/10/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso e dell’avv.to NOME COGNOME difensore di Maiorano, che ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza depositata il 16/9/2024, il GIP del Tribunale di Lecce ha disposto nei confronti di COGNOME NOME l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per i delitti di cui agli artt. 416 bis commi 1 e 6 cod. pen. (capo a), 74 commi 1, 2 e 3 d.P.R. 309/90 e 416 bis.1 cod. pen. (capo b) e 73 commi 1 e 1 bis d.P.R. 309/90 (capo b16).
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Lecce ha respinto la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di COGNOME condannando il medesimo al pagamento delle spese.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricors9 per Cassazione l’indagato, a mezzo del difensore di fiducia, denunciando, con il primo motivo, la violazione di legge
sostanziale e processuale e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 416 bis comma 2 cod. pen., 74 comma 2 e 73 commi 1 e ibis d.P.R. 309/90 nonché 273 cod. proc. pen.
Si assume che la conclusione cui pervengono i giudici di merito secondo cui COGNOME era partecipe dell’associazione capeggiata da NOME e COGNOME, rimasti estranei al procedimento, e faceva anche parte dell’associazione dedita al narcotraffico riconducibile a Soleti è illogica e contraddittoria.
Nelle due associazioni, poi, secondo l’ordinanza di custodia cautelare, COGNOME e COGNOME si occupavano della “gestione del traffico di stupefacenti provvedendo al mantenimento degli affiliati e a versare parte dei proventi nelle casse del clan”, in palese violazione del principio di legittimità (Sez. 6, n. 28154 del 20/4/2021, COGNOME) secondo il quale il partecipe a una associazione di stampo mafioso che operi solo nel settore del traffico di stupefacenti non può anche rispondere del reato di cui all’art. 74 comma 2 d.P.R. 309/90 in quanto, in tale caso, si avrebbe una duplicazione delle imputazioni.
Si sottolinea, ancora, che le fonti di prova valorizzate dal Tribunale hanno una valenza limitata se non addirittura nulla nei confronti di COGNOME. E, infatti:
il collaboratore di giustizia NOME NOME non fa cenno a COGNOME ma solo a COGNOME;
le prime evidenze investigative a carico di COGNOME risalgono al settembre 2020;
in relazione alla intercettazione del 23/12/2020, l’esortazione rivolta agli interlocutori a porre in essere atti di violenza nei confronti di NOME COGNOME non poteva costituire indice della partecipazione a un’associazione di stampo mafioso, e, inoltre, COGNOME non intervenne allorquando NOME e COGNOME iniziarono a confrontarsi sulla gestione degli spacciatori e sull’opportunità di adottare nei loro confronti metodi intimidatori;
difettavano i requisiti di stabilità e durevolezza per poter ricondurre il rapporto intercorso con il clan COGNOME alla fattispecie incriminatrice di cui al capo b) risultando la collaborazione di COGNOME con elementi della predetta consorteria esauritasi in pochi mesi;
non avevano rilevanza, ai fini dei reati associativi, i pagamenti delle forniture di droga eseguiti da COGNOME – per conto di COGNOME.
3.1 Il secondo motivo si denuncia la violazione di legge sostanziale e processuale con riferimento agli artt. 274 e 275 comma 3 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari. Si lamenta che, al fine di configurare i pericula libertatis, era stata valorizzata la decisione dell’indagato di non rispondere all’interrogatorio di garanzia mentre non si era tenuto conto del cd. “tempo silente” intercorso tra il momento di ipotizzata
consumazione dei reati e quello di esecuzione della misura cautelare e del ruolo marginale svolto, a tutto voler concedere, da COGNOME nelle vicende criminose.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato risultando fondato su motivi a tratti non consentiti in sede di legittimità e comunque infondati.
I ragionamenti probatori dai quali è stato desunto il ruolo di partecipe di COGNOME nelle due associazioni valorizzano:
la posizione di NOME NOME all’interno della “frangia della Sacra Corona Unita”, operante nella zona di San Pietro Vernotico, Torchiarolo e Tuturano, che aveva quali capi COGNOME NOME e NOME NOME, nel cui interesse COGNOME gestiva la piazza di spaccio di Torchiarolo, siccome emerso dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME NOME e dall’attività captativa, e segnatamente dall’intercettazione ambientale del 23/12/2020;
il rapporto di stretta collaborazione e cointeressenza esistente fra COGNOME e COGNOME, cui il primo aveva affidato compiti inerenti alle operazioni di approvvigionamento della cocaina dal clan COGNOME nonché la gestione della parte dei proventi dell’attività illecita destinata agli affiliati del clan COGNOME– COGNOME;
la stabilità, la continuità e la persistenza dei rapporti di approvvigionamento che facevano di COGNOME e di COGNOME uno dei principali canali di smercio della droga commercializzata dal clan COGNOME.
L’ordinanza, ancora, indica le fonti di prova che giustificano gli snodi argomentativi attraverso cui si articola il ragionamento probatorio disattendendo le censure difensive con argomenti che non presentano alcuno dei vizi denunciati dal ricorrente.
La collocazione di COGNOME in due differenti associazioni è dall’ordinanza spiegata, quanto al reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90, con la stabilità dei rapporti con l’associazione dedita al narcotraffico facente capo a COGNOME che alimentavano l’attività di spaccio di COGNOME e COGNOME e, in relazione all’associazione di stampo mafioso, con la struttura associativa, comandata da COGNOME e COGNOME, della quale COGNOME e COGNOME erano espressione, che controllava la piazza di spaccio di Torchiarolo.
Tale ricostruzione non presenta alcuna contraddizione logica, tanto meno manifesta, né confligge con l’arresto giurisprudenziale di legittimità richiamato in ricorso, risultando differente la composizione soggettiva delle due associazioni, il loro ambito di attività e le modalità di partecipazione integranti le ipotesi delittuose contestate a Maiorano.
Le conclusioni cui pervengono i giudici di merito trovano, ancora, saldo ancoraggio negli elementi probatori richiamati nell’ordinanza.
Le intercettazioni del 23/12/2020 dimostrano la piena conoscenza da parte di COGNOME della composizione dell’associazione facente capo a COGNOME e COGNOME, la cointeressenza del medesimo nelle attività illecite gestite per conto del clan da COGNOME, l’adesione del ricorrente alle regole interne della consorteria, che imponevano l’accantonamento di una parte dei proventi dell’attività illecita al fine di assicurare il sostentamento degli affiliati detenuti e il pagamento degli avvocati, e il ruolo svolto da COGNOME all’interno della consorteria di stampo mafioso, risultando preposto alla distribuzione del denaro e a raccogliere dagli associati e dai loro familiari richieste e informazioni.
I messaggi scambiati sulla piattaforma Sky-Ecc e le intercettazioni telefoniche e ambientali, ancora, smentiscono l’allegazione difensiva secondo la quale COGNOME e COGNOME si erano approvvigionati di cocaina dal clan COGNOME solo per un breve lasso temporale.
I primi messaggi richiamati nell’ordinanza che documentano i rapporti fra COGNOME e il gruppo di Soleti risalgono sì al luglio del 2020 ma disvelano un rapporto di affari consolidato, cementato dalla rispettiva fiducia, avendo a quella data COGNOME un debito di C 26.000,00 nei confronti della consorteria fornitrice e la facoltà di restituire le partite di cocaina ritenute di qualità scadente.
E’ vero, poi, che le prime evidenze investigative relative a Maiorano risalgono al settembre del 2020 ma, anche in questo caso, le intercettazioni disvelano un rapporto di collaborazione consolidato tant’è che NOME, ossia il corriere cui COGNOME affidava la cocaina inviata a Miglietta, disponeva non soltanto dell’utenza di telefonia mobile di Maiorano ma anche della moglie di questi, dato che rende evidente che il coinvolgimento del ricorrente nelle operazioni di consegna della droga era precedente all’autunno del 2020.
Non meno indicativi risultano i contatti di COGNOME, di cui COGNOME era fedele collaboratore, con i vertici dell’associazione di San Donaci, tant’è che le intercettazioni e le chat rivelano che COGNOME si relazionava direttamente con COGNOME per richiedere l’invio di una partita di cocaina e, spesso, anche per i pagamenti.
L’intercettazione ambientale del 23/12/2020, riportata a pag. 11 dell’ordinanza impugnata, ancora, rivela la piena consapevolezza, in capo a COGNOME, della struttura associativa che alimentava la piazza di spaccio da lui controllata e delle dinamiche operative interne del clan COGNOME e, conseguentemente, la volontà di contribuire all’attuazione del fine comune di trarre profitto dal commercio della droga, consapevolezza e volontà di cui non poteva che essere partecipe anche
COGNOME che, all’interno del clan di COGNOME, coadiuvava COGNOME nella gestione della piazza di spaccio curando i rapporti con gli emissari di Soleti che trasportavano la droga e riscuotevano il prezzo.
L’ordinanza, quindi, descrive un rapporto stabile di fornitura dello stupefacente assicurato dall’associazione di San Donaci a COGNOME e COGNOME, concretizzatosi, nei mesi cui si riferiscono le attività d’indagine, in una pluralità di cessioni, talvolta a distanza di pochi giorni, per quantitativi di cocaina ingenti, che consentono, da una parte, di inferire all’MrEataè capacità di COGNOME e COGNOME di smerciare la droga di cui disponevano e, dall’altra, proiettano le singole operazioni, per il contenuto economico delle transazioni, rapportabile a valori espressi in decine di migliaia di euro, e del carattere ripetitivo degli acquisiti, in una dimensione più ampia che delinea una struttura stabile, volta a facilitare l’attività illecita della consorteria fornitrice, garantendo alla medesima la disponibilità di un canale affidabile per l’immissione al consumo della sostanza stupefacente.
Lo sforzo difensivo volto a proporre una lettura alternativa dei indizi finalizzata a ridimensionare i rapporti fra COGNOME e COGNOME, da una parte, e il clan COGNOME, dall’altra, in modo da ricondurlo a rapporti sinallagmatici contrattuali inter partes senza alcun coinvolgimento dei primi nell’attuazione dei programmi criminosi dell’organizzazione di COGNOME s’infrange, quindi, con gli elementi probatori richiamati nell’ordinanza e con la logica che sorregge il ragionamento probatorio fondante l’opposta ricostruzione cui pervengono i giudici del merito.
Va, anche, aggiunto che le censure difensive travalicano l’ambito del sindacato riservato a questa Corte sul provvedimento impugnato, risultando finalizzate ad ottenere una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice del merito, senza individuare profili di manifesta illogicità della motivazione in relazione al significato dimostrativo in essa assegnato agli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie ( Sez. U., n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, R.v. 215828; Sez. 5, n. 17185 del 21/3/2024, Palermo).
Va ribadito che allorquando sia denunciato con il ricorso per cassazione il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante
la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 19751 del 17/4/2024, Monticelli, 286527; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, COGNOME e altri, Rv. 237475).
Sono quindi inammissibili le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, proponendo una differente lettura delle vicende indagate o dello spessore degli indizi, mirano a ottenere una riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate ( Sez. 4, n. 19751/21; Sez. 1, n. 7445 del 20/11/2020, Lolli).
Con la doverosa precisazione che, quanto alla nozione di «gravi indizi di colpevolezza», la stessa non è omologa a quella che qualifica lo scenario indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, COGNOME, Rv. 268683; Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, COGNOME, Rv. 257576). Al fine dell’adozione della misura, infatti, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati. I detti indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192 cod. pen. proc., comma 2 (per questa ragione l’art. 273 cod. proc. pen., comma 1-bis richiama l’art. 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale, oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi).
Infondato risulta anche il motivo volto a contestare la sussistenza della concretezza e attualità delle esigenze cautelari e la necessità della custodia in carcere.
Il Tribunale, innanzitutto, richiama la doppia presunzione regolata dall’art. 275 comma 3 cod. proc. pen. per poi mettere in evidenza che non emerge elemento alcuno per ritenere che COGNOME avesse preso le distanze dalle passate scelte delinquenziali, valorizzando a tal fine il rifiuto di rispondere in sede di interrogatorio e le spontanee dichiarazioni mendaci rilasciate, ritenute espressione della persistente adesione dall’indagato alla logica mafiosa che rifugge da qualunque forma di collaborazione con l’autorità giudiziaria.
Si è, quindi, in presenza di un’argomentazione articolata che sviluppa una valutazione prognostica, fondata sulle modalità realizzative della condotta, connotata dal coinvolgimento dell’indagato in contesti criminosi di notevole livello, sulla personalità del medesimo, stabilmente dedito allo svolgimento di attività
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delinquenziali, e sul contesto socio ambientale, da cui l’indagato non aveva preso le distanze, volta a dimostrare l’attualità e concretezza delle esigenze cautelari, che affianca e corrobora le presunzioni di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen.
11. Va ricordato che sulla valenza delle presunzioni di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. penale esistono orientamenti giurisprudenziali non omogenei. Secondo un primo orientamento, affermato più volte in relazione alle c.d. mafie storiche, “la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con la prova del recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente iò via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un’attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volti a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari. (Sez. 5, n. 16434 del 21/02/2024, COGNOME, Rv. 286267; in senso conforme, Sez, 5, n. 36389 del 15/07/2019, COGNOME, Rv. 276905;s, Sez. 2, n. 38848 del 14/07/2021, Giardino, Rv. 282131; Sez. 5, n. 36389 del 15/07/2019, Rv. 276905; Sez. 5, n. 52303 del 14/07/2016, COGNOME, Rv. 268726 01)” (Sez. 6, n. 4920 del 15/10/2024, COGNOME).
Altro orientamento ritiene che il tempo trascorso dai fatti contestati, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, anche nel caso in cui non risulti una dissociazione espressa, potendo lo stesso assurgere a fattore sintomatico della inattualità del vincolo associativo o della sua definitiva dissoluzione e, quindi, dell’insussistenza delle esigenze cautelari (Sez. 6, n. 11735 del 25/1/2024, COGNOME, Rv. 286202; Sez. 6, n. 19863 del 04/05/2021, COGNOME, Rv. 281273 – 02; Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, COGNOME, Rv. 285272 – 01).
Nell’ambito di questo secondo orientamento, tuttavia, è stato in maniera condivi9ibile precisato che l’incidenza sulla valutazione giudiziale della dimensione temporale non è fissa e sempre omogena ma è strettamente collegata con la storia e la personalità dell’indagato (Sez. 6, n. 4920 del 15/10/2024, (dep. 2025), COGNOME) e con le caratteristiche del sodalizio mafioso in cui risultava inserito con la conseguenza che “l’astratta e generica deduzione del tempo trascorso non costituisce un’argomentata censura avverso la riconosciuta valenza della presunzione…in assenza di qualsivoglia riferimento al tipo di sodalizio e alla qualità e alla durata della partecipazione… al fine di superare la presunzione si impone il confronto con quelle caratteristiche e quella partecipazione, onde poter
prospettare la valenza di una protratta mancanza di ulteriori manifestazioni, quale dato sintomatico di un sostanziale allontanamento (unico dato di per sé decisivo: sul punto si rinvia a Sez. 6, n. 15753 del 28/3/2018, COGNOME, Rv. 272887)” (Sez. 6, n. 37352 del 18/7/2024, Pravatà).
In assenza della prova della rescissione dai sodalizi e, anzi, di condotte tenute nel procedimento che manifestano una persistente adesione ai valori del contesto criminale pregresso, e di una motivazione che sorregge la presunzione richiamata mediante la valorizzazione di elementi di fatto dimostrativi dell’attualità e concretezza delle esigenze cautelari ritenute di pregnanza significativa preponderante rispetto al tempo trascorso dai fatti, l’enfatizzazione del tempo silente, privo di agganci a elementi ulteriori atti a dimostrare l’allontanamento dall’ambiente del crimine organizzato non può che ritenersi totalmente aspecifico e, comunque, inidoneo a vulnerare la motivazione contestata in punto di esigenze cautelari.
All’infondatezza del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 19/2/2025.