Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 12353 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 12353 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
TERZA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME
NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME NOMECOGNOME nato a Mesagne (BR) il 12/10/1995, avverso l’ordinanza del 16/10/2024 del Tribunale di Lecce; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 16 ottobre 2024, il Tribunale di Lecce ha respinto il riesame proposto dal ricorrente avverso l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Lecce del 16/09/2024, con la quale Ł stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME in relazione al delitto di cui all’art. 416-bis, commi 1, 2 e 6, cod. pen. (capo A), nonchØ in relazione a due episodi del delitto di cui agli artt. 110, 629, comma 2, in relazione all’art. 628, commi 1 e 3, n. 3, 416-bis.1 cod. pen. (capi A1 e A2) ed in relazione al delitto di cui agli artt. 74, commi 1, 2, 3 d.P.R. n. 309/1990, 416-bis.1 cod. pen. (capo B).
In particolare, NOME COGNOME Ł gravemente indiziato di far parte di due consorterie, l’una di tipo mafioso nella quale egli forniva il proprio contributo alla programmazione ed esecuzione degli atti intimidatori e punitivi nei confronti degli spacciatori che, non rispettando le regole del clan, acquistavano la sostanza stupefacente da terzi, l’altra dedita al traffico di sostanze stupefacenti, capeggiata da NOME COGNOME e da NOME COGNOME, nella quale NOME COGNOME aveva il compito di referente per la droga leggera sulla piazza di spaccio di San Donaci (BR), secondo le direttive di NOME COGNOME
Avverso la predetta ordinanza, NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, sollevando sei motivi.
2.1 Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., inosservanza ed errata applicazione di legge penale in relazione all’art. 416-bis cod. pen. ed agli elementi individualizzanti la fattispecie anche in tema di concretizzazione della condotta partecipativa; lamenta, inoltre, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., nullità del provvedimento impugnato per illogicità, carenza ed insufficienza della motivazione in punto di gravità indiziaria in ordine al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., in particolare in relazione alla esistenza della associazione di stampo mafioso di cui al capo A) della imputazione provvisoria, nonchØ in relazione alla effettiva adesione e partecipazione dell’indagato.
Premette il ricorrente che l’ordinanza impugnata si limita a riportare acriticamente l’esito delle indagini che in ordine alla esistenza di un sodalizio mafioso capeggiato da NOME COGNOME, fondato essenzialmente sulla esistenza di precedente condanna a carico dello stesso COGNOME per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. e sulla elencazione generica delle caratteristiche che contraddistinguono un sodalizio come mafioso.
Lamenta il ricorrente che la precedente condanna di COGNOME per associazione mafiosa non costituisce presupposto indiziario sufficiente, per la mancanza – nell’associazione contestata al capo A) – della caratteristica connotazione mafiosa, vale a dire per l’assenza di una forza intimidatrice del gruppo che travalichi il semplice dato della presenza nel sodalizio di soggetto già condannato per mafia. Aggiunge la difesa, in proposito, che gli episodi estorsivi contestati ai capi A1 e A2 della provvisoria incolpazione non sono sufficienti a sostenere la caratteristica mafiosa del sodalizio, proprio perchØ la violenza ed il pestaggio danno atto della inefficacia di forza intimidatrice propria e legata alla mafiosità, integrando metodi violenti comuni a qualsiasi gruppo di persone che perseguono scopi illeciti nel mondo degli stupefacenti, contendendosi zone di mercato della droga.
2.2 Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., inosservanza ed errata applicazione di legge penale in relazione all’art. 416-bis cod. pen. in relazione alla asserita partecipazione di NOME NOME alla associazione di cui al capo A) della imputazione; lamenta, inoltre, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. e dell’art. 125 cod. proc. pen., nullità del provvedimento impugnato per illogicità, carenza ed insufficienza della motivazione in punto di gravità indiziaria in ordine alla partecipazione di NOME all’associazione di cui al capo A) della imputazione.
Deduce la difesa che i fatti su cui il compendio indiziario Ł fondato – gli episodi di cui ai capi A1 e A2 della provvisoria incolpazione, verificatisi il 13/12/2000 – sono episodici a fronte di un reato permanente commesso sino al luglio del 2021 e con avvio delle indagini ad aprile 2020. Aggiunge la difesa che il ricorrente non Ł coinvolto in nessuna delle attività rilevanti e ritenute indicative della esistenza del sodalizio mafioso (settore del gaming, mercato oli esausti e dello stupefacente del tipo cocaina) e che nessuno dei collaboratori di giustizia, che hanno rilasciato dichiarazioni indizianti, ha menzionato il ricorrente, tra l’altro incensurato. L’eventuale gestione della piazza di spaccio di marijuana può essere indicativa della commissione di reati ex art. 73 d.P.R. n. 309/1990, neanche in forma associativa, mancando un assetto tale da garantire il controllo, posto che anche piccoli spacciatori, acquistando autonomamente stupefacente, possono decidere di cederlo in proprio. 2.3 Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., inosservanza ed errata applicazione di legge penale in relazione all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 quanto alla asserita partecipazione di NOME NOME alla associazione di cui al capo B) della imputazione; lamenta, inoltre, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. e dell’art. 125 cod. proc. pen., nullità del provvedimento impugnato per illogicità, carenza ed insufficienza della motivazione in punto di gravità indiziaria in ordine alla partecipazione di NOME all’associazione di cui al capo B) della imputazione.
Deduce la difesa che, anche in questo caso, i fatti su cui il compendio indiziario Ł fondato sono gli
episodi di cui ai capi A1 e A2 della provvisoria incolpazione, emergenti dalle captazioni del 13/12/2000 e del 14/12/2020, non essendo piø intercettato, nØ coinvolto in sequestri di sostanza stupefacente o in alcuno dei fatti contestati nella provvisoria incolpazione, segnalando che, nell’unico episodio di traffico di stupefacenti del tipo marijuana, contestato al capo B22 e riconducibile all’associazione, il ricorrente non Ł coinvolto. Aggiunge, inoltre, la difesa che emergendo un solo episodio di traffico di marijuana, contestato al capo B22, ciò rende chiaro che questo tipo di sostanza fosse fuori dalle dinamiche di interesse del gruppo. Non può attribuirsi, dunque, all’indagato un ruolo all’interno dell’associazione di cui al capo B), sia perchØ l’associazione non ha interesse alla commercializzazione di marijuana, sia perchØ il ricorrente non ha alcun ruolo attivo, dinamico o funzionale agli scopi associativi.
2.4 Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., inosservanza ed errata applicazione di legge penale in relazione all’art. 416-bis.1 cod. pen. Deduce la difesa che le condotte poste in essere e descritte ai capi A1 e A2 non hanno i connotati dell’agire mafioso, nØ può ritenersi che il ricorrente fosse consapevole di agevolare un sodalizio mafioso, in considerazione della dinamica degli avvenimenti, del tutto privi di percezione di assoggettamento passivo delle vittime o indicativi di minaccia proveniente da ambienti mafiosi. 2.5 Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., inosservanza ed errata applicazione di legge penale in relazione agli artt. 274 e 275, comma 3, cod. proc. pen., per la errata applicazione dell’art. 275 cod. proc. pen. nella parte relativa alla presunzione di sussistenza di esigenze cautelari; lamenta, inoltre, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. e dell’art. 125 cod. proc. pen., nullità del provvedimento impugnato per illogicità, carenza ed insufficienza della motivazione in punto di valutazione della attualità e concretezza delle esigenze cautelari e della valutazione del c.d. tempo silente.
Premette la difesa che la associazione di cui al capo A), atteggiandosi come una associazione neonata il cui promotore era già partecipe di associazione storica, ha caratteristiche certamente meno pregnanti in termini di capacità di assoggettamento al territorio e che il reato associativo si assume commesso sino al luglio 2021, con contestazione ‘chiusa’.
Deduce conseguentemente la difesa un affievolimento della presunzione di esigenze cautelari, poichØ, tra la data di consumazione del reato (luglio 2021), ed in particolare delle condotte addebitate al ricorrente (dicembre 2020), e il momento di applicazione della misura cautelare (settembre 2024) sono decorsi 3 anni e 6 mesi – 4 anni.
Aggiunge la difesa che il Tribunale cautelare non ha valutato adeguatamente la fisionomia della condotta partecipativa dell’indagato, avente carattere episodico (12-13/12/2020) e relativa ad un’attività marginale dell’associazione, come il traffico di droga leggera.
Aggiunge ancora la difesa, con riferimento al c.d. tempo silente, che, in sede di riesame, era stato dedotto come il ricorrente, negli ultimi sei anni, avesse lavorato costantemente presso un’azienda agricola, in una casa colonica nella quale si era poi trasferito, insieme alla compagna ed al figlio, aumentando l’apporto collaborativo, fungendo anche da custode fisso dell’azienda e dei mezzi.
Contestava l’argomentazione del Tribunale in base alla quale non potesse uscire dalla organizzazione senza subire ripercussioni, considerato che NOME COGNOME era stato tratto in arresto già il 25/02/2021 e che la struttura dell’associazione non consentiva di ritenere vi fosse pericolo per i consociati in caso di dissociazione.
Quanto ai due carichi pendenti, la difesa sosteneva trattarsi di episodi precedenti a quelli in contestazione e di natura bagatellare.
Infine, la difesa richiamava il piø recente orientamento giurisprudenziale in base al quale era stato superato il concetto di presunzione assoluta cautelare per i reati associativi, lasciando il posto ad una presunzione relativa superabile con la dimostrata assenza di perduranza della pericolosità e del
vincolo mafioso.
2.6 Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., errata applicazione dell’art. 275 cod. proc. pen., nella parte relativa alla presunzione di sussistenza di esigenze cautelari in relazione al capo B) della imputazione; lamenta, inoltre, ai sensi dell’art. 606, lett. d), cod. proc. pen., motivazione erronea, insufficiente e contraddittoria in punto di valutazione del ‘tempo silente’ e di attualità e concretezza delle esigenze cautelari in relazione al reato di cui al capo B) della imputazione; mancata valutazione di misura piø gradata ed altrettanto idonea a preservare le esigenze cautelari.
Lamenta la difesa che il Tribunale cautelare non ha fornito alcuna motivazione sulla gradazione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari presso l’abitazione familiare, anche con dispositivo di controllo elettronico, non essendoci ragioni per un eventuale mancato futuro rispetto delle prescrizioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo del ricorso Ł inammissibile perchØ nuovo, non essendo stato dedotto in sede di riesame.
Infatti, secondo il riepilogo dei motivi di impugnazione proposti davanti al Tribunale del riesame, come riportato nella ordinanza impugnata e rimasto incontestato, la difesa ha censurato la ricostruzione accusatoria sotto il profilo della sussistenza dei gravi indizi in merito alla condotta di partecipazione del ricorrente all’associazione di cui al capo A. E deve essere in proposito rammentato, sia che sussiste un onere di specifica contestazione del riepilogo delle contestazioni, così come dei motivi di appello, contenuto nel provvedimento impugnato, allorquando si ritenga che non sia stata menzionata la medesima questione come già proposta in sede di gravame, sia che in ragione di tale principio, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione, e quindi tardivo (Sez. 3, n. 29366 del 23/04/2024, COGNOME, Rv. 286752).
Il principio secondo cui non sono proponibili questioni coinvolgenti valutazioni in fatto mai prima sollevate trova applicazione anche nel caso di ricorso avverso ordinanza del Tribunale del riesame in tema di misura cautelare personale (Sez. 1, n. 26997 del 31/03/2023, Portale; Sez. 2, n. 33732 del 08/06/2017, Surgo; Sez. 5, n. 11099 del 29/01/2015, El Baghdadi, Rv. 263271, secondo cui non sono deducibili per la prima volta davanti alla Corte di cassazione le questioni giuridiche che presuppongono un’indagine di merito; Sez. 3, n. 35889 del 01/07/2008, Itri, Rv. 241271, in materia di cautela reale).
Sussiste, infatti, violazione del divieto di “novum” nel giudizio di legittimità quando siano per la prima volta prospettate in detta sede questioni coinvolgenti valutazioni in fatto, mai prima sollevate ovvero siano dedotti motivi di censura attinenti capi e/o punti della decisione ormai intangibili per non essere investiti da tempestiva doglianza nella fase di merito e, perciò, assistiti dalla presunzione di conformità al diritto (Sez. 4, n. 7985 del 18/05/1994, Bentam, Rv. 199216; v. Sez. 3, n. 32699 del 27/02/2015, Diano, Rv. 264518).
Tale regola Ł ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen. e trova la sua ” ratio ” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione del provvedimento di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal controllo del giudice dell’impugnazione, perchØ non segnalato con i motivi di gravame (Sez. 1, n. 26997 del 31/03/2023, cit.; Sez. 2, n. 33732 del 08/06/2017, Surgo; Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 256631).
Deve, quindi, concludersi nel senso che, in tema di impugnazioni cautelari personali, la parte che
propone richiesta di riesame, per la natura di mezzo di gravame della stessa, Ł tenuta ad articolare appositi motivi, sicchØ, ove successivamente proponga ricorso per cassazione avverso la decisione del Tribunale del riesame, Ł tenuta a dedurre motivi corrispondenti a quelli con i quali erano state fatte valere le questioni a questo prospettate, pena l’inammissibilità delle deduzioni, siccome nuove (cfr. Sez. 3, n. 42838 del 27/02/2014, COGNOME, Rv. 261243).
2. Venendo, quindi, alle censure, contenute nel secondo motivo di ricorso, relative alla sussistenza del requisito dei gravi indizi relativamente all’associazione di cui al capo A, il ricorso non si confronta con lo sforzo argomentativo profuso dal Tribunale per dimostrare l’esistenza dell’associazione e il ruolo di referente del narcotraffico di droga ‘leggera’ del ricorrente nell’ambito di un programma criminoso finalizzato alla commissione di una serie indeterminata di reati e volto ad affermare il controllo sul territorio. In particolare, le censure non fanno menzione delle risposte che ai rilievi difensivi viene data dal Tribunale e, soprattutto, obliterano del tutto gli elementi utilizzati dai giudici di merito per configurare l’associazione, dando conto l’ordinanza di una pluralità di indizi che dimostravano l’esistenza di un sodalizio di stampo mafioso, facente capo a NOME COGNOME, in grado di esercitare un controllo sulle attività, lecite e illecite, che avevano luogo in un esteso territorio pugliese e che aveva nel narcotraffico una delle principali fonti di proventi. A tal fine l’ordinanza mette in evidenza gli elementi emersi dall’attività captativa che avevano chiaramente rivelato come il mantenimento della piazza di spaccio di San Donaci per conto del clan fosse la principale finalità dell’agire del ricorrente che coadiuvava, nella gestione della piazza di spaccio, relativamente al settore della droga leggera, NOME COGNOME quest’ultimo referente e diretto collaboratore di NOME Soleti, dando il proprio contributo nella programmazione ed esecuzione degli atti punitivi nei confronti degli spacciatori che non rispettavano le regole del clan e versando il ‘punto’ sui profitti realizzati nelle casse del sodalizio: rilevano in proposito i due episodi estorsivi di violenza posti in essere nei confronti di coloro che si erano resi colpevoli di aver acquistato sostanza stupefacente da fornitori terzi, rivendendola, senza autorizzazione del clan, all’interno di San Donaci, territorio di pertinenza della frangia mafiosa facente capo a NOME COGNOME; la gerarchia esistente all’interno del gruppo, per cui il ricorrente e NOME COGNOME dovevano ottenere l’assenso di NOME COGNOME per porre in essere le azioni punitive; la ferocia, l’impiego delle armi e la conduzione delle vittime in luoghi isolati dove esercitare violenza nei loro confronti a conferma di una gestione aziendale della piazza di spaccio secondo rapporti gerarchici ben delineati.
Non maggiore attenzione il ricorso riserva ai riferimenti che il Tribunale cautelare opera all’inserimento del ricorrente nel gruppo associativo di cui al capo B, avendo l’ordinanza impugnata adeguatamente valorizzato gli elementi emergenti dall’attività captativa e dall’attività di osservazione posta in essere dai militari operanti: COGNOME e NOME erano stati notati in attività di ricognizione sul luogo dove i militari avevano rinvenuto e sequestrato due chilogrammi di stupefacente; i militari avevano inoltre osservato e anche ripreso gli incontri tra i sodali immediatamente precedenti le spedizioni punitive e le armi che sarebbero state utilizzate a questo fine; nell’intercettazione ambientale del 13/12/2020, nella quale il ricorrente, insieme a NOME COGNOME sono impegnati nella spedizione punitiva nei confronti di NOME COGNOME indica chiaramente a quest’ultimo che deve rivolgersi a NOME COGNOME per la fornitura di droga leggera da rivendere sul territorio di loro competenza, mentre Ł COGNOME a spiegare il meccanismo secondo il quale la droga da rivendere sul territorio deve essere fornita dal clan attraverso la sua persona.
L’ordinanza impugnata precisa, inoltre, che la circostanza che al NOME non siano stati addebitati reati fine non Ł ostativa al suo inserimento nell’ambito del sodalizio finalizzato al narcotraffico. Il Tribunale cautelare si Ł così conformato a principi ripetutamente affermati da questa Corte, secondo
cui, in materia di reati associativi, la commissione dei “reati-fine”, di qualunque tipo essa sia, non Ł necessaria nØ ai fini della configurabilità dell’associazione nØ ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, COGNOME, Rv. 280703; Sez. 3, n. 9459 del 06/11/2015, dep. 2016, Venere, Rv. 266710; Sez. 3, n. 40749 del 05/03/2015, COGNOME, Rv. 264826; Sez. 2, n. 24194 del 16/03/2010, Bilancia, Rv. 247660). La fattispecie incriminatrice dell’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 richiede esclusivamente una condotta di partecipazione che Ł a “forma libera”, integrabile cioŁ da un qualunque comportamento non tipizzato nel modo, purchØ causale rispetto all’evento tipico, che apporti cioŁ un contributo, ancorchØ minimo ma non insignificante alla vita della struttura ed in vista del perseguimento del suo scopo, con la conseguenza, a fini dimostrativi della partecipazione ad un sodalizio criminale, della irrilevanza della mancanza di prova della consumazione del partecipe dei reati-fine, e, per converso, del carattere non transitivo della prova della consumazione di piø reati-fine a scopi immediatamente dimostrativi dell’appartenenza al sodalizio, posto che la condotta di “partecipazione” Ł strutturalmente impermeabile alla consumazione del “reato-fine” (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, cit.).
4. In definitiva, le censure difensive sull’inserimento del ricorrente nei gruppi associativi travalicano l’ambito del sindacato riservato a questa Corte sul provvedimento impugnato, risultando finalizzate ad ottenere una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dai giudici del merito, senza individuare profili di manifesta illogicità della motivazione in relazione al significato dimostrativo in essa assegnato agli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U., n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, Rv. 215828; Sez. 5, n. 17185 del 21/3/2024, Palermo).
Va ribadito, al riguardo, che allorquando sia denunciato con il ricorso per Cassazione il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 19751 del 17/4/2024, COGNOME, 286527; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, COGNOME, Rv. 237475).
Sono quindi inammissibili le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, propongono una differente lettura delle vicende indagate o dello spessore degli indizi, mirando a ottenere una riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate.
Con la doverosa precisazione che, quanto alla nozione di «gravi indizi di colpevolezza», la stessa non Ł omologa a quella che qualifica lo scenario indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, COGNOME, Rv. 268683; Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, Kolgjini, Rv. 257576). Al fine dell’adozione della misura, infatti, Ł sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati. I detti indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. pen. proc. (per questa ragione l’art. 273, comma 1-bis, cod. proc. pen. richiama l’art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale, oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi: Sez. 4, n. 6660 del 24/01/2017, COGNOME, Rv. 269179;
conformi Sez. 2, n. 8948 del 10/11/2022, dep. 2023, Pino, Rv. 284262; Sez. 2, n. 48276 del 24/11/2022, COGNOME, Rv. 284299).
Quanto alla doglianza relativa alla configurabilità della circostanza di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., va richiamata la giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Sez. 3, n. 20891 del 18/06/2020, COGNOME, Rv. 279508), secondo cui sussiste l’interesse dell’indagato a ricorrere per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame che abbia ritenuto sussistente una circostanza aggravante ad effetto speciale, sempre che da questa conseguano immediati riflessi sulla valutazione della gravità del fatto ovvero sul computo della durata massima della custodia cautelare (Sez. 6, n. 7203 del 08/02/2013, COGNOME, Rv. 254507; nello stesso senso, piø di recente, Sez. 5, n. 26561 del 17/05/2021, COGNOME, Rv. 281655). Va allora precisato che, nel caso di specie, l’interesse a stabilire se le aggravanti contestate sussistano o meno non sarebbe rinvenibile con riferimento ai termini di durata della custodia cautelare, in considerazione del fatto che, in fase, la semplice contestazione del reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 comporta il ricorso al termine piø lungo; nØ il ricorrente ha fornito deduzioni in merito.
Sono anche infondate le doglianze sul difetto di motivazione in ordine alla attualità e concretezza delle esigenze cautelari, di cui al quinto e sesto motivo di ricorso, per non aver il Tribunale cautelare tenuto conto della contestazione chiusa del reato associativo, del tempo trascorso dalle condotte addebitate al ricorrente (3 anni e 6 mesi – 4 anni), periodo nel quale aveva costantemente lavorato presso azienda agricola, della condotta partecipativa episodica e marginale del ricorrente, infine della risalenza e natura bagatellare dei due carichi pendenti.
Deve infatti essere ricordato che, in materia, opera la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., sulla esatta interpretazione della quale si sono delineati nel tempo orientamenti giurisprudenziali non omogenei.
Secondo un primo orientamento, affermato piø volte in relazione alle c.d. mafie storiche, ‘la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con la prova del recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un’attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volti a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari’ (Sez. 5, n. 16434 del 21/02/2024, COGNOME, Rv. 286267; Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282766; in senso conforme, Sez. 2, n. 38848 del 14/07/2021, Giardino, Rv. 282131; Sez, 5, n. 36389 del 15/07/2019, COGNOME, Rv. 276905; Sez. 5, n. 52303 del 14/07/2016, COGNOME, Rv. 268726).
Altro orientamento ritiene che il tempo trascorso dai fatti contestati deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, anche nel caso in cui non risulti una dissociazione espressa, potendo lo stesso assurgere a fattore sintomatico della inattualità del vincolo associativo o della sua definitiva dissoluzione e, quindi, dell’insussistenza delle esigenze cautelari (Sez. 6, n. 11735 del 25/1/2024, COGNOME, Rv. 286202; Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, COGNOME, Rv. 285272; Sez. 6, n. 19863 del 04/05/2021, COGNOME, Rv. 281273). Nell’ambito di questo secondo orientamento, tuttavia, Ł stato in maniera condividibile precisato che l’incidenza sulla valutazione giudiziale della dimensione temporale non Ł fissa e sempre omogena ma Ł strettamente collegata con la storia e la personalità dell’indagato (Sez. 6, n. 4920 del 15/10/2024,
dep. 2025, COGNOME) e con le caratteristiche del sodalizio mafioso in cui risultava inserito, con la conseguenza che ‘l’astratta e generica deduzione del tempo trascorso non costituisce un’argomentata censura avverso la riconosciuta valenza della presunzione…in assenza di qualsivoglia riferimento al tipo di sodalizio e alla qualità e alla durata della partecipazione… al fine di superare la presunzione si impone il confronto con quelle caratteristiche e quella partecipazione, onde poter prospettare la valenza di una protratta mancanza di ulteriori manifestazioni, quale dato sintomatico di un sostanziale allontanamento (unico dato di per sØ decisivo)’ (Sez. 6, n. 37352 del 18/7/2024, Pravatà; Sez. 6, n. 15753 del 28/3/2018, Pisano, Rv. 272887).
Alla stregua di tali premesse, deve rilevarsi che, anche nel giudizio sulle esigenze di cautela sociale formulato dal Tribunale del riesame, rispetto alle fattispecie oggetto delle imputazioni provvisorie elevate nei confronti del ricorrente, non Ł dato rilevare profili di irragionevolezza o di omessa motivazione, avendo il Tribunale evidenziato che il ricorrente era il braccio esecutivo del clan e prendeva ordini direttamente da COGNOME e COGNOME, senza l’emersione di alcun elemento in grado far ragionevolmente ritenere la rescissione del legame con l’associazione criminosa e senza che il ricorrente abbia mostrato alcun atteggiamento collaborativo nel corso del procedimento, mentre l’attività lavorativa svolta a far data dal 2018 non gli aveva impedito di porre in essere azioni violente nel 2020, nØ di annoverare ulteriori carichi pendenti per fatti di reato commessi sempre nel periodo lavorativo, nØ infine di mostrare compiacimento per aver posto in essere tali azioni.
E, dunque, in assenza della prova della rescissione dai sodalizi e, anzi, di condotte tenute nel procedimento che manifestano una persistente adesione ai valori del contesto criminale pregresso, e di una motivazione che sorregge la presunzione richiamata mediante la valorizzazione di elementi di fatto dimostrativi dell’attualità e concretezza delle esigenze cautelari ritenute di pregnanza significativa preponderante rispetto al tempo trascorso dai fatti, l’enfatizzazione del tempo silente, privo di agganci a elementi ulteriori atti a dimostrare l’allontanamento dall’ambiente del crimine organizzato non può che ritenersi totalmente aspecifico e, comunque, inidoneo a vulnerare la motivazione contestata in punto di esigenze cautelari.
In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
Alla cancelleria spettano gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 19/02/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME