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Esigenze cautelari: il tempo non cancella il rischio

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, il quale chiedeva la revoca della custodia cautelare in carcere. La difesa sosteneva che le esigenze cautelari fossero venute meno a causa del tempo trascorso dai fatti (oltre due anni). La Corte ha invece confermato la misura, sottolineando che per reati così gravi vige una presunzione di persistenza della pericolosità sociale, e il decorso del tempo da solo non è sufficiente a superarla, specialmente in presenza di una rete criminale organizzata.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esigenze Cautelari: Quando il Tempo Non Basta a Eliminare il Pericolo di Reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 20588/2024) affronta un tema cruciale nella procedura penale: la valutazione delle esigenze cautelari e la loro persistenza nel tempo. Il caso in esame riguarda un soggetto indagato per partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, al quale era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere. La difesa ha contestato la misura sostenendo che, essendo trascorsi oltre due anni dai fatti contestati, la pericolosità sociale dell’indagato non fosse più attuale. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso, offrendo importanti chiarimenti sui criteri di valutazione.

I Fatti del Caso

Il Tribunale del Riesame di Trento confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di un individuo, gravemente indiziato di far parte di un’associazione dedita al traffico di droga. Contro questa decisione, la difesa presentava ricorso per cassazione, basandolo su un unico motivo: il difetto di motivazione riguardo all’attualità delle esigenze cautelari.

Secondo il ricorrente, il provvedimento non aveva adeguatamente considerato che il reato più recente risaliva a ottobre 2021. Questo notevole lasso di tempo, unito alla presunta dissoluzione dell’associazione e all’assenza di nuove attività criminali, avrebbe dovuto portare a una rivalutazione della pericolosità dell’indagato e, di conseguenza, a una misura meno afflittiva.

La Valutazione delle Esigenze Cautelari nei Reati Associativi

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale del Riesame. Il punto centrale della motivazione risiede nella natura del reato contestato. La partecipazione a un’associazione criminale, specialmente se legata al traffico di stupefacenti, fa scattare una presunzione legale di persistenza delle esigenze cautelari, come previsto dall’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale.

Questo significa che, per reati di tale gravità, si presume che il pericolo di reiterazione del reato continui a esistere, a meno che non emergano elementi concreti e specifici che dimostrino il contrario. Il solo decorso del tempo, secondo la Corte, non è un elemento sufficiente a vincere questa presunzione.

L’Importanza della Struttura Criminale

Un altro aspetto fondamentale evidenziato dalla Corte è il contesto in cui l’indagato operava. La sua partecipazione a una rete organizzata, caratterizzata da solidi legami interpersonali e una comprovata capacità criminale, è stata considerata un fattore che aumenta il rischio di una futura “riorganizzazione” delle attività illecite. La fitta rete di contatti e la familiarità con le dinamiche criminali rendono il pericolo di recidiva concreto e attuale, anche a distanza di tempo dai singoli episodi contestati.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio consolidato: il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio di merito. La Suprema Corte non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella del giudice che ha esaminato il caso, ma può solo verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione. Nel caso di specie, il Tribunale del Riesame aveva fornito una motivazione logica e coerente, valorizzando elementi come:

* La qualificata capacità criminale dell’indagato.
* L’affidabilità dimostrata all’interno del sodalizio.
* L’esistenza di un precedente specifico.
* La struttura organizzata della rete criminale, che potrebbe facilmente riattivarsi.

Questi elementi, nel loro insieme, giustificavano la persistenza della misura cautelare più grave, poiché il pericolo di reiterazione dei reati non poteva essere scongiurato con misure meno afflittive. La Corte ha ribadito che il giudizio sulla pericolosità non deve basarsi solo sulla gravità del fatto, ma su una valutazione complessiva della personalità dell’indagato e del contesto in cui ha agito.

Le conclusioni

La sentenza n. 20588/2024 rafforza un principio cardine in materia di misure cautelari per i reati associativi: la pericolosità sociale derivante dalla partecipazione a un sodalizio criminale ha una forza intrinseca che non si esaurisce con il semplice passare del tempo. Per ottenere un’attenuazione della misura, è necessario fornire prove concrete che dimostrino un reale e definitivo allontanamento dal circuito criminale. In assenza di tali elementi, la presunzione di pericolosità, supportata da una struttura organizzativa ancora potenzialmente attiva, legittima il mantenimento della custodia cautelare in carcere per tutelare la collettività.

Perché la Cassazione ha confermato la custodia in carcere nonostante fossero passati due anni dai fatti?
La Corte ha ritenuto che per il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti esista una presunzione di persistenza delle esigenze cautelari. Il solo decorso del tempo non è sufficiente a superare questa presunzione, specialmente in presenza di una rete criminale organizzata e di solidi legami tra i sodali, che rendono concreto il pericolo di una riorganizzazione delle attività illecite.

Cosa significa la ‘presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.’?
Significa che per alcune tipologie di reati particolarmente gravi (come quelli di mafia o di associazione finalizzata al traffico di droga), la legge presume che le esigenze cautelari, in particolare il pericolo di reiterazione del reato, continuino a esistere. Spetta alla difesa fornire elementi concreti per dimostrare che tale pericolo è venuto meno.

Il ricorso per cassazione può riesaminare le prove e i fatti del caso?
No. Il ricorso per cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o le prove, ma si limita a verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione del provvedimento impugnato sia logica e non contraddittoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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